martedì, Ottobre 15, 2024
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L’Italia dei dossier, tra pettegolezzi e sicurezza dello Stato. Con qualche riferimento storico al SIFAR ed all’inglese “scandalo Profumo”

di Salvatore Sfrecola

Dopo aver infiammato le prime pagine di giornali e telegiornali, la vicenda della fuga di notizie su indagini in corso e su presunti dossieraggi a carico di politici, denunciata dal Ministro della difesa, Guido Crosetto, è sparita dall’orizzonte dell’informazione. Forse in ragione del fatto che, essendo in corso una indagine della Procura della Repubblica di Perugia, diretta da un magistrato, Raffaele Cantone, che non lascia spazio alla diffusione di notizie, tutti devono aver pensato che sia meglio attendere la conclusione dell’istruttoria.

Naturalmente non so nulla e non ho intenzione di occuparmene. Ma ritengo utile per i miei lettori metterli a parte di una esperienza particolare che feci da giovane studente universitario, Presidente del circolo culturale Il Sagittario, presentando in un’affollata conferenza il generale Giovanni De Lorenzo, ex Comandate del SIFAR, il Servizio informazioni delle Forze Armate, ex Comandante Generale dell’Arma dei Carabinieri. Lo avevo incontrato, per il tramite di amici comuni, nella sua abitazione privata, quando era ancora Capo di Stato Maggiore dell’Esercito nel bel mezzo delle polemiche giornalistiche e politiche intorno al modo con cui il SIFAR aveva raccolto informazioni a carico di esponenti della classe politica. Era un tema di grande interesse mediatico, per cui chiesi al Generale di parlarne ai frequentatori del Circolo, prevalentemente giovani che in precedenza avevano ascoltato oratori illustri, dal Rettore dell’Università degli studi di Roma, Giuseppe Ugo Papi, economista, alla professoressa Emilia Morelli, titolare della cattedra di Storia del Risorgimento, all’on. Ottorino Monaco, parlamentare liberale, al Prof. Edgardo Beltrametti, giornalista, corrispondente di guerra de Il Tempo dal Vietnam, al Prof. Marino Bon Valsassina, costituzionalista, solo per fare alcuni nomi fra i più noti. 

Il Generale De Lorenzo mi disse che avrebbe accettato il mio invito quando avesse lasciato l’Esercito. Fu una garbata conversazione. Mi chiese di mio padre, magistrato alla Corte dei conti, e delle mie aspirazioni professionali. Mi disse di suo padre, alto ufficiale dell’Esercito e, con orgoglio, del figlio, che aveva intrapreso la carriera nell’Arma.

Come aveva promesso, lasciato il servizio attivo, il suo primo intervento pubblico fu a Il Sagittario in una sala affollata di giovani e giornalisti che avevo informato della conferenza del Generale. Tutti con l’aspettativa di conoscere qualche segreto dell’attività investigativa che aveva diretto. Fu molto istituzionale, come deve chi ha ricoperto un elevato incarico al servizio dello Stato, vincolato da un giuramento che impone di esercitare la relativa funzione con “disciplina ed onore”, come si legge nell’art. 54 della Costituzione. 

Anche senza rivelare né sfiorare segreti, la sua relazione fu di estremo interesse per alcune informazioni di carattere generale sulle regole che i servizi di intelligent seguivano e che, spiegò, sono definiti in sede NATO, nel senso che in ogni paese vengono raccolte le medesime informazioni. Il dibattito fu vivace, le domande stimolanti, le risposte altrettanto interessanti. In particolare, l’affermazione che i servizi, i quali hanno il compito di tutelare la sicurezza della Repubblica, non possono trascurare di acquisire eventuali informazioni le quali indichino che una personalità politica, con elevate responsabilità istituzionali, si trovi nella condizione di poter essere monitorata da ambienti che, attraverso una relazione d’affari o personale o altro, potrebbero acquisire notizie pregiudizievoli per la sicurezza dello Stato. O addirittura condizionare il politico nella sua attività istituzionale.

Fu immediato nei presenti il ricordo del cosiddetto “affare Profumo”, lo scandalo che aveva travolto il Segretario di Stato alla Difesa del Regno Unito del governo Tory, John Profumo, astro nascente del Partito conservatore inglese in un governo presieduto da Harold Macmillan. Fu uno scandalo politico a sfondo sessuale. La scoperta nel 1963 di una sua breve relazione, intrattenuta nel 1961, con la modella Christine Keeler, al contempo amante anche di una presunta spia sovietica, Eugenij Ivanov, addetto navale dell’ambasciata russa a Londra. Quella “conoscenza”, negata dal Ministro alla Camera dei Comuni apparve una falsa testimonianza, già di per sé grave agli occhi dell’opinione pubblica inglese, che costrinse Profumo il 5 giugno alle dimissioni dal gabinetto ed anche da membro del Parlamento e del Privy Council. La relazione era durata solo poche settimane. Non gli fu perdonato di aver mentito alla Camera, ma soprattutto fu molto enfatizzato dalla stampa e dall’opposizione il rapporto della donna con l’agente russo, in tempi di “guerra fredda“, per le potenziali conseguenze in termini di sicurezza nazionale. Non c’era alcuna prova che accusasse la Keeler e Ivanov di spionaggio, ma i sospetti erano molti. In una intervista alla “ragazza delle feste” venne fuori l’argomento missili nucleari e la giovane, da parte sua, utilizzò il termine payload riferendosi ad essi. Quel termine non era del linguaggio comune e questo convinse l’intervistatore che ci fosse stato un tentativo da parte di Ivanov di usare la Keeler per ottenere informazioni riservate da Profumo.

Tutto questo per dire, come sosteneva il Generale De Lorenzo, che non è indifferente ai servizi che debbono occuparsi della sicurezza dello Stato sapere se una personalità politica con responsabilità istituzionali si trovi nella condizione di essere in qualche misura pressato se non addirittura ricattato. Ricordo che all’esito di un’inchiesta interna alla Difesa, c.d. Commissione Beolchini, nel gennaio 1967, il Ministro della Difesa Roberto Tremelloni, rispondendo ad alcune interrogazioni parlamentari sui fascicoli personali a suo tempo raccolti dal SIFAR, ammise che si erano verificate “deviazioni”, in quanto durante il suo lungo comando (sette anni), De Lorenzo aveva dato luogo ad un’opera di schedatura degli esponenti più in vista in istituzioni e gruppi sociali. Il Ministro, nel riferire al Senato, disse che i servizi avevano acquisito elementi in ordine a condizioni ed a relazioni personali, a operazioni finanziarie e d’affari, tutte situazioni che potevano essere di pregiudizio nei confronti dello Stato e della sua sicurezza.

Il 15 aprile 1967, dopo aver rifiutato un’uscita di scena più discreta, che De Lorenzo non intese accettare, il Generale fu destituito dall’incarico di Capo di Stato Maggiore dell’Esercito.

Fu tutto archiviato anche se non in fretta. Si parlò di violazione della riservatezza delle persone indagate. Per iniziativa de L’Espresso il Generale fu accusato di mire eversive, quando era stato al vertice dell’Arma, d’intesa con il Presidente della Repubblica. Il titolo a caratteri cubitali: “14 luglio 1964 – Complotto al Quirinale. Segni e De Lorenzo preparavano il colpo di Stato”. Era il cosiddetto “Piano Solo”, niente di eversivo, naturalmente, ma misure ordinarie di prevenzione per assicurare l’ordine pubblico in caso di gravi disordini, come la storia ha accertato e come ha ricordato in un suo libro Mario Segni, figlio del Presidente, “Il colpo di Stato del 1964 – la madre di tutte le fake news” (Rubbettino, 2021) richiamando “fatti, documenti e argomenti di grande importanza per fare chiarezza”, come scrive Agostino Giovagnoli nell’Introduzione. Soprattutto atti dei processi che avevano coinvolto i giornalisti autori dello scoop, e le conclusioni della Commissione parlamentare d’inchiesta. 

Una storia, dunque, da riscrivere. Forse fu “solo” una “guerra” tra generali e tra politici ambiziosi.

Resta da capire chi deve disporre delle eventuali informazioni che possono far dubitare della affidabilità di un politico con responsabilità istituzionali.

È un ricordo che affido all’attenzione dei miei lettori.

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