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Un romanzo di Loredana Lipperini: “Il segno del comando”

di Gianluigi Chiaserotti 

Il Segno del comando” (Rai Libri, Roma, 2024, pp. 348) è l’ultimo romanzo della giornalista e conduttrice radiofonica Loredana Lipperini, ispirato allo omonimo sceneggiato che la RAI mandò in onda, nella primavera del 1971, in cinque puntate, con un cast veramente eccezionale che spaziava da Ugo Pagliai a Rossella Falk, da Massimo Girotti a Franco Volpi, da Carla Gravina a Paola Tedesco, solo per citarne i principali. Uno sceneggiato ambientato a Roma, ove vennero messe in risalto le parti più antiche, più nobili, ma anche più misteriose e, oserei dire, paranormali della Città Eterna.

Per comprendere la situazione, è necessario porre in evidenza, che è la storia di Lancelot Edward Forster, docente di letteratura inglese presso l’università di Cambridge. Egli ha scoperto casualmente un inedito diario di Lord Byron, scritto durante il soggiorno romano del 1817, ed è alle prese con la sua pubblicazione, di cui ha già fatto uscire la prima parte su una prestigiosa rivista letteraria inglese.

In un passo del diario, Byron ha annotato: «21 aprile 1817, notte, ore 11. Esperienza indimenticabile, luogo meraviglioso, piazza con rudere di tempio romano, chiesa rinascimentale, fontana con delfini, messaggero di pietra, musica celestiale, tenebrose presenze». 

La pubblicazione del diario attira l’attenzione di George Powell, addetto culturale dell’ambasciata inglese a Roma, che invita Forster a tenere una conferenza presso il British Council in occasione della settimana byroniana. 

Il professore però riceve anche un secondo invito a recarsi nella Città Eterna, e da un misterioso pittore, un certo Marco Tagliaferri, che gli invia una fotografia della piazza citata da Byron (che Forster ritiene invece un luogo inventato), sfidandolo a trovarla.

Incuriosito dalla coincidenza, Forster si precipita nella capitale italiana.

Appena arrivato, fa visita allo studio di Tagliaferri, in via Margutta 33. Ad aprirgli è Lucia, la modella del pittore, che, scalza e semisvestita, lo tiene sulla porta e rimanda l’incontro con l’artista a quella stessa sera in una locanda di Trastevere, la Taverna dell’Angelo. Su consiglio di Lucia, Forster va ad alloggiare all’Hotel Galba, dove gli assegnano la stanza 33. Vi incontra la direttrice, la signora Giannelli, che nega di conoscere la modella, e una sua vecchia fiamma, Olivia, anche lei ospite dell’albergo insieme al compagno Lester Sullivan, detto il Barone rosso, antiquario e faccendiere irlandese a Roma per affari.

Forster cerca di contattare telefonicamente Tagliaferri. 

Con grande sorpresa scopre che il pittore è morto. 

Recatosi al British Council, incontra Powell e ha occasione di conoscere la sua segretaria italiana, Barbara, studentessa di archeologia, che si offre di individuare la fantomatica piazza.

Si fa sera e arriva l’ora dell’appuntamento con Lucia. La modella conduce Forster per i vicoli di Trastevere fino alla Taverna dell’Angelo, dove però Tagliaferri non si presenta. Forster, dopo aver bevuto del vino, inizia a sentirsi strano e, in preda a spaventose allucinazioni, perde i sensi.

Svegliato si ritrova solo, riverso nella propria automobile: la sua valigetta, contenente la riproduzione in microfilm del diario byroniano, è sparita.

Deluso e sempre più confuso, Forster torna alla sua automobile, dove trova il medaglione con l’effigie di una civetta indossato da Lucia. Un fischio lontano, che si spegne tra i vicoli deserti, attira la sua attenzione, ma della taverna sembra non esserci più traccia. Fatto giorno, Forster torna allo studio di Tagliaferri, dove l’attende una rivelazione sconcertante: il pittore romano è sì morto, ma un secolo prima.

Da questa premessa si articola tutto il romanzo, con colpi di scena, luoghi inventati, musiche misteriose, personaggi strani, negromanti, streghe, occultisti legati al nazismo, studiosi di alchimia.

Nel suo soggiorno romano, il professor Forster scopre di essere la reincarnazione del pittore Tagliaferri nato il 28 marzo 1835 e morto il 28 marzo 1871, la stessa data di nascita del protagonista, ma 100 anni dopo. Così come 200 anni prima tali date furono dell’orafo Ilario Brandani, autore ed incisore di quello che dovrebbe essere “il segno del comando”. 

Ma la storia del romanzo della Lipperini è simile, ma molto diversa. Fedele per personaggi, situazioni, luoghi allo sceneggiato, ma contemporaneamente, oserei dire, che molto lo tradisce.

Infatti, è un romanzo che ha per sfondo gli anni Settanta, usciti da poco dalla c.d. “rivoluzione culturale” del 1968 (si capta, e bene quanto accadde il giorno 1° marzo 1968 a Valle Giulia). 

Tra le righe si articolano appunto ragazzi ribelli, cospiratori, alchimisti e streghe (metaforiche e reali).

È una bella fotografia di quegli anni in cui appaiono le prime trasformazioni degli Anni Settanta del Secolo Scorso. 

Ma in tutto il romanzo c’è un’attenta descrizione di Roma e dei suoi luoghi storici, ma anche misteriosi, ricchi di leggende, come quelle del Rione Monti (quello intorno al Colosseo), alitato sempre da un velo di mistero.

Anche il romanzo, come lo sceneggiato pone in risalto i riti propri delle Logge Massoniche.

Ti fa vivere, ti fa essere partecipe a tante situazioni paranormali, ma che poi precipitano doverosamente nella realtà. 

Il professor Forster era un predestinato?

Lord Byron nel soggiorno romano aveva scoperto qualcosa di paranormale?

Il romanzo nel complesso termina come lo sceneggiato, ma con qualcosa di veramente inaspettato.

«Il mondo che ci appare è un’illusione. Tutto quel che ci circonda lo è: solo chi è in grado di vedere al di là del velo, e di sollevarlo, comprende la vera essenza della realtà.» (dalla quarta di copertina).

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