di Salvatore Sfrecola
Possiamo ben dire che ieri pomeriggio, con questa conversazione sulla pubblica amministrazione intesa come strumento di crescita e di sviluppo per l’Italia, il Centro studi storici, politici e giuridici “Vittorio Emanuele Orlando” ha reso omaggio alla personalità cui è intestato, il giurista e il politico illustre che ha attraversato gran parte della storia d’Italia, sempre fedele agli ideali di libertà e di democrazia per i quali è stato costantemente impegnato come giurista e politico, da giovanissimo.
Sarebbe stato difficile trovare un modo migliore per ricordare il Maestro che far parlare di Pubblica Amministrazione due importanti giuristi di oggi, il Presidente di sezione della Corte dei conti Vito Tenore, tra l’altro da pochi giorni abilitato con giudizio unanime all’insegnamento universitario di prima fascia in Diritto Amministrativo, autore di importanti scritti e di cui abbiamo presentato una delle sue ultime fatiche letterarie, il “Manuale del pubblico impiego privatizzato”, e l’Avvocato dello Stato Paola Maria Zerman, socio fondatore del Centro Studi, cui si devono importanti contributi anche nell’insegnamento, anch’essa impegnata sul fronte della Pubblica Amministrazione con scritti importanti, l’ultimo dei quali in e-book “L’integrità del pubblico funzionario”, edito da Il Sole 24 Ore, il giornale al quale collabora da oltre trent’anni commentando leggi, decreti e sentenze. Abbiamo richiamiato anche il recente volume, sempre in e-book, pubblicato da Il Sole-24 Ore, di Antonella Bianconi, già Segretario Generale dell’Autorità Nazionale Anticorruzione (A.N.A.C.), su “La motivazione 3.0 come fattore di trasformazione della PA”. In precedenza la dottoressa Bianconi aveva riscosso notevoli consensi con il libro “Fiducia”, presentato alla Società Dante Alighieri, per iniziativa dell’Associazione Italiana Giuristi di Amministrazione.
In apertura abbiamo richiamato, anche per stimolare l’interesse di alcune giovani praticanti dell’Avvocatura Generale dello Stato, Vittorio Emanuele Orlando ed i suoi scritti che sono parte essenziale della nostra cultura di giuristi. Giovanissimo, a venti anni, nel 1880, non ancora laureato, Orlando vince un concorso indetto dall’Istituto Lombardo di Scienze e Lettere per uno studio sulla riforma elettorale, tema in quegli anni molto dibattuto, tanto che la riforma elettorale fu approvata dal Parlamento l’anno successivo. Con questo studio, una volta laureato, ottiene la libera docenza e la cattedra in Diritto costituzionale all’Università di Palermo. Disciplina che insegnerà a Modena, Messina e Roma. Nel 1889 ottiene la cattedra di Diritto amministrativo, dove insegna per un periodo anche Istituzioni di diritto romano (scrisse anche un manuale della materia).
Le sue due opere più importanti risalgono a quegli anni, i Principi di diritto costituzionale del 1889ed i Principi di diritto amministrativo del 1890. Tra il 1897 ed il 1925 cura la stesura del Primo trattato completo di diritto amministrativo, con il contributo degli autori più autorevoli della materia. L’opera si basa sul cosiddetto “metodo descrittivo” che indica i principi dell’organizzazione e dell’attività amministrativa ed esamina le finalità dell’amministrazione.
Queste due opere di manualistica generale sono l’atto fondativo della moderna giuspubblicistica italiana. Con esse Orlando attuava una vera e propria rivoluzione metodologica, al centro della quale stava la necessità di espellere dallo studio del diritto pubblico, ogni sociologismo e ogni osservazione di carattere politico, storico o filosofico. Lo scopo di Orlando era quello di rendere il diritto pubblico (in particolare quello costituzionale) una disciplina autenticamente scientifica, al pari del diritto privato.
Ma creare un diritto pubblico italiano non bastava. Occorreva anche creare un ceto di giuristi preparati ad interpretarlo. Per questo Orlando fondò una vera e propria scuola giuridica nazionale, palestra della quale fu la rivista “Archivio di diritto pubblico”, fondata a Palermo nel 1891.
Il merito principale di Orlando è quello di aver costruito una teoria generale dello Stato di diritto italiano, in linea con quanto la dottrina tedesca andava facendo in Germania sulla direttrice teorica che da Gerber conduceva a Laband e infine a Jellinek. I principali capisaldi di questa teoria furono: la distinzione tra ordine politico e ordine giuridico, l’affermazione della personalità giuridica dello Stato, la teoria del governo di gabinetto (fondata sul principio della doppia investitura, parlamentare e monarchica) e, infine, il diritto di voto interpretato non già come diritto individuale ma come esercizio di una pubblica funzione.
Lo statualismo di Orlando, condiviso dall’intera giuspubblicistica liberale europea, presupponeva necessariamente una netta separazione tra Stato e società, nonché l’interpretazione della sovranità come attributo proprio dello Stato stesso. Nonostante l’assoluta centralità dello Stato, occorreva però trovare una collocazione teorica anche alla dimensione sociale. A questo scopo, Orlando ricorre al concetto di popolo, anch’esso derivato dalla dottrina tedesca e più in particolare dalla lezione di Savigny. Un popolo, quello di Orlando, visto come una realtà storico-naturale, custode dei costumi, delle tradizioni, della lingua e dei diritti propri della nazione.
Personalità straordinaria nel panorama giuridico universitario e professionale, grande giurista, illustre avvocato, Orlando sarà anche un esponente di primo piano della cultura liberale, Presidente “della Vittoria”, perché Presidente del Consiglio dei ministri al momento della conclusione della Prima Guerra Mondiale, avendo in precedenza rivestito i ruoli di ministro dell’istruzione, dell’Interno e della Giustizia. In questa veste a lui si deve l’avvio di una concreta trattativa con la Santa Sede per definire la questione romana che era rimasta aperta dal 1870, con l’annessione di Roma al Regno d’Italia.
Nel 1897 fu eletto deputato del collegio di Partinico, vicino a Palermo, dove fu sempre rieletto fino al 1925, quando si dimise da parlamentare a seguito del discorso di Mussolini che preannunciava la svolta illiberale. Schierato con Giolitti, dovette subito affrontare da parlamentare, nel periodo politico più agitato e pericoloso del Regno, prima dell’avvento del fascismo, il compito di contrastare vittoriosamente, insieme con socialisti, repubblicani, radicali e giolittiani, mediante il ricorso all’ostruzionismo parlamentare, le iniziative del Presidente del Consiglio Luigi Pelloux, apertamente reazionarie, a seguito dell’assassinio del Re Umberto I.
Orlando, parlamentare nelle legislature XX, XXI, XXII, XXIII, XXIV, XXV, XXVI, XXVII, fu più volte Presidente della Camera dei deputati. Deputato all’Assemblea Costituente è stato Senatore della Repubblica.
Dopo Caporetto, il 30 ottobre 1917 fu chiamato alla presidenza del Consiglio dei ministri, in sostituzione di Paolo Boselli. Nelle difficili circostanze del momento volle mantenere anche Ministero dell’interno. Concordò con il Re la nomina di Amando Diaz a Capo di Stato Maggiore dell’Esercito. Fu una scelta felice. Volle incitare gli italiani ad avere fiducia nella vittoria e il 22 dicembre 1917 alla Camera il suo richiamo fu perentorio: “La voce dei morti e la volontà dei vivi, il senso dell’onore e la ragione dell’utilità, concordemente, solennemente ci rivolgono adunque un ammonimento solo, ci additano una sola via di salvezza: resistere! resistere! resistere!”. Altri avrebbero, in seguito, richiamato quel perentorio invito.
È noto al grande pubblico anche per aver rappresentato il Regno d’Italia alla Conferenza di pace di Parigi del 1919 insieme al Ministro degli esteri Sidney Sonnino, a seguito della vittoria italiana al fianco della Triplice Intesa contro gli Imperi centrali. Nonostante l’esito delle trattative da lui condotte fosse stato giudicato da larghi settori dell’opinione pubblica come una “vittoria mutilata” rispetto alle aspettative e alle indicazioni del Trattato di Londra, Orlando si considerò soddisfatto degli esiti politici della guerra. Il 15 dicembre 1919 dichiarò in Senato: “l’Italia è oggi un grande Stato, non già per virtù di un’indulgente concessione diplomatica, ma perché essa ha rivelato una capacità di azione e di volere che la pareggia effettivamente ai più grandi Stati storici e contemporanei. È questo, secondo me, il primo e principale ingrandimento…non vi sono solo questioni economiche e territoriali che senza dubbio hanno per l’Italia un’importanza incomparabile ma vi è altresì tutto l’assetto etico e politico del mondo…”.
Lasciato il governo, dal 1919 al 1920 fu presidente della Camera dei deputati e nel 1921 fu rieletto alla Camera.
L’avvento del Fascismo, dopo una iniziale benevola attesa Orlando, come altri esponenti liberali, con Antonio Salandra, e Gaetano Mosca fece parte della commissione incaricata di esaminare il progetto di legge Acerbo, che assegnava al partito o alla coalizione che avesse ottenuto alle elezioni almeno il 25% dei voti i due terzi dei seggi parlamentari. Don Sturzo scrisse in seguito a questo proposito: “Vedi la strana sorte di questi illustrissimi uomini di diritto, professori e consiglieri di Stato, quali Salandra, Orlando, Perla e Mosca. Appartenenti alla più pura tradizione liberale e Orlando per di più democratico di razza, sono obbligati a cancellare il loro passato, a dichiarare la bancarotta del liberalismo, a forzare la storia del diritto pubblico, a proclamare il dogma del diritto delle minoranze soverchiatrici, per arrivare a costituire un governo che non è più il governo del Re, né il governo del popolo, ma il governo della fazione dominante vestita della legalità di pseudo – maggioranza…”.
Nel 1931, il collocamento a riposo dall’insegnamento universitario per raggiunti limiti d’età gli risparmiò di dover scegliere se giurare fedeltà al regime, e nel 1934 si dimise, insieme a Benedetto Croce, dall’Accademia dei Lincei per non farlo.
Orlando, con altri esponenti del prefascismo, fu consultato riservatamente dal Re Vittorio Emanuele III nella primavera del 1943 in preparazione della defenestrazione di Mussolini che avvenne il 25 luglio a seguito del voto del Gran Consiglio del Fascismo che restituiva al Re i poteri statutari. Redasse di suo pugno il testo del proclama firmato da Badoglio che annunciava la caduta del Fascismo e la continuazione della guerra; appoggiò i governi di unità nazionale, ma fu diffidente verso i successivi governi centristi, cui rimproverava di non porre in primo piano i motivi politici dell’indipendenza e della dignità nazionale.
Con il decreto-legge luogotenenziale 25 giugno 1944, n. 151, il Presidente del Consiglio Ivanoe Bonomi lo nominò Presidente della Camera dei Deputati, fino al 25 settembre 1945. Consultore nazionale dal novembre 1945 al giugno 1946, Presidente della commissione esteri, fu eletto deputato alla Costituente nella lista “Unione Democratica Nazionale”, dal 1946 al 1948. Fece clamore nel 1947, il suo discorso in occasione del dibattito parlamentare per la ratifica del trattato di pace, in cui accusò De Gasperi di “cupidigia di servilismo”.
Fu senatore di diritto nella I legislatura repubblicana, dal 1948 alla morte. Fece la sua ultima battaglia parlamentare a 92 anni, in opposizione alla riforma della legge elettorale che introduceva il premio di maggioranza, proposta bollata come “legge truffa”. Dal 1950 al 1952 fu anche Presidente del Consiglio Nazionale Forense.
Muore a Roma il 1° dicembre 1952. Pochi mesi prima aveva vittoriosamente difeso dinanzi alla Seconda sezione civile della Corte di cassazione. È sepolto nella Basilica di Santa Maria degli Angeli e dei Martiri a Roma.
Imponente la sua produzione scientifica che prese avvio dal volume “Della riforma elettorale”, Milano, 1881. Poi “Le fratellanze artigiane in Italia”, Firenze, 1884; “Della resistenza politica individuale e collettiva”, Torino, 1885; “Principi di diritto costituzionale”, Firenze, 1889; “Principi di diritto amministrativo”, Firenze, 1890; “Teoria giuridica delle guarentigie della libertà,” Torino, 1890; “Primo trattato completo di diritto amministrativo”, in 10 volumi tra il 1900 e il 1932; “La giustizia amministrativa”, Milano, 1901; “Le régime parlamentaire en Italie”, Parigi, 1907; “Lo Stato e la realtà”, Milano, 1911; “Discorsi per la guerra”, Roma, 1919; “Crispi”, Palermo, 1923, “Discorsi per la guerra e per la pace”, Foligno, 1923; “Diritto pubblico generale e diritto pubblico positivo”, Milano, 1924; “Recenti indirizzi circa i rapporti fra diritto e Stato”, Tivoli, 1926; “L’opera storica di Michele Amari”, Milano, 1928; “Su alcuni miei rapporti di governo con la Santa Sede”, Napoli, 1929; “Immunità parlamentari e organi sovrani”, Tivoli, 1933; “Diritto pubblico generale”, Milano, 1940; “Scritti vari di diritto pubblico e scienza politica”, Milano, 1940; “Memorie (1915 – 1919)”, Milano, 1960 (a cura di Rodolfo Mosca); “Discorsi parlamentari”, Bologna, 2002.
Torniamo al dibattito di ieri pomeriggio nella sala della Parrocchia Santa Lucia dove abbiamo parlato dell’Amministrazione pubblica per il suo ruolo fondamentale nella crescita e nello sviluppo del Paese. Abbiamo ricordato che la pubblica amministrazione è da sempre lo strumento fondamentale del governo per realizzare gli obiettivi di politica economica e sociale che sono indicati nell’indirizzo politico dell’Esecutivo e nell’indirizzo politico emerso dalle elezioni. Infatti, la realizzazione di questi obiettivi avviene attraverso la pubblica amministrazione e le leggi i regolamenti i decreti che ne disciplinano l’attività.
Ricordo un grande uomo politico italiano, straordinario amministratore, sicuramente il più grande secondo le indicazioni degli storici non solo italiani, Camillo Benso di Cavour. Divenuto Presidente del consiglio, come prima cosa mise mano al riordinamento della Pubblica Amministrazione definendo le attribuzioni dei ministeri. Di alcuni delineò meglio le attribuzioni, altri li accorpò, altri soppresse per poter disporre di un’amministrazione capace di realizzare gli obiettivi che lui politicamente si proponeva. È un esempio straordinario sul quale gli storici in generale e gli storici del diritto in particolare si sono soffermati e del quale dovremmo tutti essere consapevoli, come ne sono consapevoli i nostri relatori che, in posizioni diverse, rivestono funzioni importanti nell’ambito delle istituzioni dello Stato. Il Presidente Tenore perché magistrato della Corte dei conti, una magistratura che svolge funzioni di controllo alle quali, ad esempio, Cavour teneva moltissimo, e funzioni giurisdizionali sempre in funzione della tutela del patrimonio pubblico, secondo le parole di Quintino Sella, Ministro delle finanze in occasione della inaugurazione della Corte dei conti del Regno d’Italia nel 1862.
D’altra parte l’avvocato Zerman, come avvocato dello Stato, quindi come difensore dello Stato nei giudizi dinanzi ai giudici civili, penali e amministrativi e come consulente ministeriale, è stata Consigliere della Presidenza del consiglio ed oggi è consulente del Ministro per le l’ambiente, conosce bene la realtà dell’amministrazione pubblica e percepisce l’adeguatezza o l’inadeguatezza degli strumenti legislativi o organizzativi e personali del servizio pubblico.
Ha iniziato l’Avv. Zerman che ha richiamato l’incipit del suo libro e quindi la regola che è “meglio prevenire che curare”, come dimostra la cultura della prevenzione, la strada più efficace per tutelare valori individuali e collettivi, quali ad esempio, l’ambiente, la sicurezza stradale (ad es. con l’imposizione dell’obbligo delle cinture di sicurezza), la salute.
Ricorda come non passi giorno senza che ci si ricordi l’importanza di avere uno stile di vita sano, un’alimentazione corretta e di svolgere un adeguato esercizio fisico. Tutto questo, infatti, oltre che essere di immediato beneficio per la salute, si ripercuote positivamente sulla riduzione dei costi per il servizio sanitario nazionale. Similmente, si sta agendo per la prevenzione di quei fenomeni, come la corruzione e gli innumerevoli sprechi di risorse, che hanno effetti devastanti non solo sulle finanze pubbliche, ma anche sul clima di fiducia tra p.a. e cittadino. Sin dalla legge Severino (n. 190 del 2012) il legislatore ha cercato di anticipare, rispetto alla condanna penale, il contrasto ai fenomeni corruttivi, valorizzando quegli istituti che si pongono “a monte” della corruzione, quali l’obbligo di trasparenza, il conflitto di interessi, i corsi di etica, i codici di comportamento dei pubblici dipendenti. Con quest’ultimi, sono stati individuati numerosi obblighi di condotta, che, se violati, assumono rilievo disciplinare, e non solo. A giudizio dell’Avv. Zerman, tuttavia, sembra tuttora mancare un approfondimento sistematico delle dinamiche che sono alla base degli obblighi comportamentali, che si riflettono non solo sulla liceità della condotta dei singoli, ma sul clima di benessere e quindi di efficienza dell’intero ufficio pubblico. Ed è quello che ha cercato di fare con il suo libro, pur consapevole dei limiti posti da una materia al confine tra diritto, etica, morale e teoria dell’organizzazione pubblica.
Continua osservando come la messa a terra del PNRR richieda la cooperazione di funzionari pubblici che siano integerrimi, oltre che efficienti e competenti, ne è consapevole il legislatore, laddove, nel recente DL 36/22 convertito in legge 79/22 (“Ulteriori misure urgenti per l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza”) prescrive, a favore dei neoassunti e in caso di mutamento di funzioni, lo svolgimento obbligatorio di un ciclo formativo sui temi dell’”etica pubblica e sul comportamento etico”.
Del resto, non vi è dubbio che la regola di comportamento onesto (ethos) che l’individuo si impone, costituisce il più sicuro presidio a garanzia della correttezza dell’utilizzo del denaro pubblico, al di là di tutte le strategie di controllo predisposte dall’ordinamento.
Il rischio, tuttavia, che la finalità della norma rimanga inattuata, è elevato. Non solo per la difficoltà di dare un contenuto univoco al concetto di “comportamento etico”, quanto, soprattutto, per la non remota ipotesi in cui la teoria insegnata al neo-dipendente, vada ad inserirsi in un contesto lavorativo ingiusto, che tollera favoritismi e scavalcamenti di ruolo grazie al binomio simpatia/antipatia o ad atteggiamenti negligenti o nullafacenti. Da cui può derivare, per i migliori, una demotivazione frustrante che può sconfinare nel c.d. “quiet quitting” (licenziarsi in silenzio, o licenziarsi senza licenziarsi), a fenomeni di mobbing e, per altri, alla permeabilità a tentazioni di comportamenti illegali e corruttivi.
Per questo, la giurisprudenza che in più occasioni si è trovata a valutare responsabilità penali o contabili del funzionario pubblico, ha richiamato -oltre agli specifici obblighi imposti dalla legge – la necessità del rispetto dei principi di etica pubblica, non solo nella dimensione “statico-soggettiva”, ma anche “dinamico-collettiva”, come qualità dell’organizzazione pubblica di essere strumento di rafforzamento della responsabilità individuale e non già di “dispersione o diluizione” della stessa (Corte dei Conti, n. 341 e 207 del 2021).
Ne deriva l’urgenza di concretizzare i principi di etica pubblica in soluzioni organizzative che rafforzino nel funzionario pubblico la motivazione di servizio al cittadino, come richiesto dalla Costituzione, e l’orgoglio di adempiere le proprie funzioni con “disciplina” e “onore” (art. 54). Compito che spetta al dirigente, tenuto, secondo il codice di comportamento dei dipendenti pubblici (D.P.R. n. 62 del 2013) a curare il “benessere organizzativo nella struttura cui è preposto” (art. 13). Frutto non solo, come richiesto dalla norma, di un atteggiamento “leale e trasparente” oltre che “esemplare e imparziale” nel rapporto tra i colleghi, ma anche di un’intelligente organizzazione del lavoro, che gratifichi i dipendenti grazie, tra gli altri, a spirito di squadra, cooperazione interpersonale, crescita professionale.
Tale prospettiva appare indispensabile anche per la missione di modernizzazione della P.A. prevista dal PNRR (M1C1.2). E richiama le conclusione di un suo articolo per Il Sole 24 Ore del 19 dicembre 2022. La realizzazione di una “buona amministrazione, presuppone il superamento della mentalità burocratica nella logica del migliore servizio al cittadino, ove si coniughi la qualità, la rapidità del servizio offerto e la sua economicità, intesa come migliore utilizzazione del denaro pubblico.
Molto interessante la relazione del Presidente Tenore, il quale ha ripercorso le tappe della sua vita professionale, partendo dalla magistratura ordinaria per passare a quella militare, quindi all’Avvocatura dello Stato, infine alla Corte dei conti, per segnalare come queste istituzioni abbiano un ruolo fondamentale dell’ordinamento dello Stato e come, da ognuna di esse, lui abbia tratto spunti significativi di approfondimento nel diritto e di conoscenza attraverso l’incontro con i dirigenti i funzionari ed i giovani studenti dei corsi nei quali ha insegnato. Ha ricordato le eccellenze della nostra Amministrazione, come l’Arma dei Carabinieri che, non a caso, riscuote un altisssimo grado di apprezzamento dell’opinione pubblica. Ha sottolineato problemi di adeguatezza della normativa nei singoli settori, richiamando l’esigenza della semplificazione normativa in assenza della quale molteplici sono gli ostacoli che impediscono l’efficienza dei servizi pubblici, con l’effetto di allontanare il cittadino dallo Stato.
Il Presidente Tenore ha invitato i giovani presenti ad impegnarsi nello studio e nella partecipazione ad iniziative concorsuali in settori che potrebbero costituire per loro una importante esperienza professionale. Si è detto difensore della Pubblica Amministrazione sottolineando come essa debba corrispondere in tempi rapidi alle esigenze provenienti dal potere politico e per soddisfare le aspettative dei cittadini. Sotto questo profilo ha criticato alcune espressioni della provvista di personale dirigente attraverso lo spoil system e il ricorso all’articolo 19, comma 6, del decreto legislativo n. 165 del 2001, una scelta alla quale spesso ricorre la politica che non consente sempre l’acquisizione di elementi di provata professionalità e capacità direttiva.
A suo giudizio c’è una rilevante degrado degli studi che dalla scuola si riversano sull’università e quindi sulla preparazione professionale di coloro i quali accedono ai pubblici impieghi.
La sua è stata una esposizione che ha riscosso notevole interesse, stimolante sia per i giovani che per quanti si occupano di Pubblica Amministrazione ricordando i tratti salienti della pubblicistica in materia di pubblico impiego alla quale lui ha concorso con molteplici lavori, compreso il “Manuale del pubblico impiego privatizzato”, giunto alla quinta edizione, ultima sua fatica.
Tra i numerosi presenti l’ex Procuratore generale della Corte dei conti Furio Pasqualucci, il Presidente aggiunto della Corte dei conti Rita Arrigoni, il Presidente on. della Corte dei conti Alfonso Maria Rossi Brigante, il Presidente aggiunto Anna Maria Lentini, il dottor Paolo Nizza, già componente del Comitato scientifico del FORMEZ, il dottor Valentino De Nardo, già Presidente di Sezione della Corte di Cassazione, l’ex Avvocato dello Stato Giuseppe Nucaro.