mercoledì, Novembre 12, 2025
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I toni della politica

di Salvatore Sfrecola

Non mi piace la politica urlata, da chiunque provenga. Non da chi parla dai banchi dell’opposizione o dai palchi delle manifestazioni di piazza. Non mi piace, ovviamente, quando ad alzare la voce sono esponenti del governo. Gli uni e gli altri pensano che sia opportuno farlo per rimarcare le proprie ragioni, per far comprendere al proprio elettorato che sono “tosti”, che se salta loro la mosca al naso sanno replicare con estrema determinazione. 

Ma, mi chiedo, produce veramente consensi o li conferma una politica urlata? Ne dubito. Credo che ognuno di noi desideri riconoscere nel politico che stima e che ha votato o potrebbe votare una persona consapevole delle idee che professa, pronto a difenderle con forza e determinazione, che si esprime con un tono di voce fermo, con un argomentare ben scandito in un buon italiano. Anche se, a volte l’ironia, si esprime più agevolmente con qualche battuta che riveli nell’accento la terra di provenienza. 

Una premessa per dire che la polemica politica dai toni elevati e concitati ci può pure stare, ma sempre tenendo conto che del contesto. Perché dibattere tra maggioranza e opposizione in tono critico rivendicando fatti e comportamenti si può, ma se si commentano decisioni di istituzioni dello Stato occorre procedere con rispetto delle istituzioni che non deve mai venire meno nei rappresentanti del governo. Perché l’ordinamento prevede forme di risoluzione dei conflitti, se di questo si tratta. Se, invece, la pronuncia è negativa e non c’è possibilità di ricorrere ad altra istanza va rispettata senza dire di essere vittima di un’ingiustizia, senza indicare che lì c’è un nemico. È il minimo che si può pretendere. Purtroppo, da qualche tempo questo stile è saltato con effetti negativi sull’immagine della politica che non è indifferente al livello di partecipazione al voto, soprattutto al voto politico.

Naturalmente, sbaglia tanto chi critica una sentenza che non piace, sostenendo che è ispirata a idee e principi politici avversi, come sbaglia gravemente il magistrato che faccia affermazioni politiche, che partecipa a iniziative che non siano di studio, avendo cura di non frequentare quelle promosse dai partiti o dai movimenti politici. Lo deve alla dignità della sua toga, lo deve ai suoi colleghi che non possono essere coinvolti in un giudizio negativo quali uomini “di parte”. Naturalmente c’è sempre qualcuno che sbaglia per primo, spesso la politica, che ama la polemica perché la ritiene funzionale al consenso. 

Mi auguro una politica meno urlata, come troppo spesso abbiamo ascoltato almeno dagli anni ‘90. Anche ieri, quando si è saputo della deliberazione della Corte dei conti che non ha ammesso al visto di legittimità il provvedimento riguardante il ponte sullo Stretto di Messina qualcuno ha alzato la voce in modo da disturbare quanti, come me, hanno un’idea nobilissima della politica, anche per aver collaborato con politici della cosiddetta prima Repubblica, con Andreotti, Forlani, Cossiga. E ricordo Giulio Andreotti che stringe la mano al Pubblico Ministero Giancarlo Caselli al termine di una dura requisitoria nell’aula del Tribunale di Palermo. Uno stile che non escludeva critiche ad iniziative non condivise, ma in un contesto di reciproco rispetto.

Ho notato con soddisfazione che, dopo qualche dichiarazione fuori contesto, passata qualche ora, i toni si sono abbassati e chi di dovere ha detto che avrebbe atteso le motivazioni della decisione della Corte dei conti, ciò che mi pare il minimo che si possa pretendere. Ho apprezzato come sempre chi riflette e poi parla, re melius perpensa.Si chiama cultura di Governo ed è anche un modo per proseguire in un contesto di leale e proficua collaborazione.

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