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Nel Conclave la tormentata ricerca di un Papa che sia soprattutto interprete del Vangelo

di Salvatore Sfrecola

Da cattolico praticante, fedele all’insegnamento della Chiesa, sono molto disturbato dalle polemiche che contrappongono i componenti del Sacro Collegio tra conservatori e progressisti. Non perché neghi l’esistenza di orientamenti diversi, dovuti alla realtà degli ambienti nei quali i Cardinali vivono ed operano, ma perché credo, e ne sono fermamente convinto, che al di là delle contingenze anche importanti messe in risalto da situazioni di grave squilibrio sociale e di tensioni di guerra, l’insegnamento della Chiesa abbia un dato comune che è nella tradizione propria di una religione rivelata che può evidentemente aggiornarsi in alcuni riti purché questi abbiano sempre la connotazione originaria come delineata nelle Sacre Scritture.

Ed è per questo che guardo con serenità e fiducia all’apporto dello Spirito Santo nella scelta che i Cardinali si apprestano a fare nell’individuare il nuovo Papa che a me sembra sbagliato indicare come necessariamente prosecutore dell’opera di Papa Francesco. Il tentativo di contrapporre Papi qualificando alcuni “buoni”, che poi è l’effetto della conoscenza dell’ultimo Papa che hanno i più, mi sembra sbagliata perché ogni Papa si è trovato a vivere in una realtà diversa spesso molto difficile. Pensate soltanto, nel corso del 900, a Benedetto XV che denuncia “l’inutile strage” nella Prima Guerra Mondiale, una catastrofe immane che ha sconvolto l’intera Europa. E a Papa Pio XII che si è trovato a vivere un’analoga, difficile situazione quando i cattolici erano perseguitati in alcuni paesi d’Europa invasi dai nazisti che avevano avviato lo sterminio di milioni di persone, ebrei, cristiani, oppositori e di quanti non corrispondevano ai requisiti della razza Ariana e della fedeltà al Terzo Reich. Difficile per questi due Papi guidare la Chiesa quando stati cattolici combattevano fra loro, difficile l’invito alla carità in condizioni di conflitto feroce.

È evidente che la situazione che si trovano di fronte i padri riuniti nel Conclave è particolare, rispetto alle precedenti, perché è evidente un diffuso disorientamento nell’umanità e fra i cattolici dovuto anche al fatto che, portatore di istanze e di una cultura tipica del Sudamerica, che vive da sempre grosse difficoltà sociali, il Pontificato di Papa Francesco può aver involontariamente  alimentato divisioni interne alla Chiesa e perduto in tempi di globalizzazione dell’economia che trascina anche la politica, la centralità della Chiesa che è espressione dell’insegnamento del Vangelo di cui si è data da sempre carico la comunità occidentale. Questo non vuol dire che la civiltà occidentale sia divisiva rispetto alle altre realtà e civiltà presenti nel mondo in Africa o in Asia o in Oceania. Ma che l’Occidente è un riferimento per tutti, proprio per la sua capacità inclusiva che gli deriva dalla storia che dalla Grecia, attraverso Roma, ha dato al cristianesimo il senso dell’universalità.

Roma era espressione dell’universalità del suo tempo che è rimasta come guida degli uomini d’Occidente, che guardano all’Africa, all’Asia e all’Oceania non con uno spirito di conquista o con il senso di avere una qualche primazia ma con la serena capacità inclusiva che è propria dell’esperienza romana. Ora la Chiesa vive un momento difficile, da quando si è ecceduto nell’aprire alle realtà locali sicché oggi non ha neanche una voce comune tanto che i padri presenti in Conclave non si conoscono e non si parlano in latino, che era la lingua della Chiesa. C’è una evidente assenza della Chiesa anche in Occidente, forse più in Occidente che altrove, come dimostra il recente episodio della scuola elementare del “cattolico” Veneto la cui direttrice decide di portare i bambini in una moschea non a visitarla ma a pregare con l’Iman.

Manca l’impegno dell’evangelizzazione. D’altra parte l’esperienza ci dice che non esistono più gli oratori, che un tempo erano un luogo certamente di svago ma anche di preghiera, di riflessione su tematiche culturali dove i ragazzi e le ragazze erano indotti a riflettere su temi spirituali. Complice anche i purtroppo diffusi episodi di pedofilia che forse non sono stati repressi con la dovuta fermezza a salvaguardia della dignità della Chiesa, i giovani si sono allontanati da queste realtà che erano comunque una scuola di vita comune dove l’insegnamento religioso aveva capacità di penetrazione nei cuori e nelle menti.

Questa assenza si sente pesantemente in una società secolarizzata, nella quale i giovani sono isolati, non leggono come si faceva un tempo, comunicano fra loro attraverso i social che può sembrare stimolante ma che in realtà risola li fa dialogare in un modo formale con altri che spesso non conoscono e che spesso non sono quelli che appaiono. C’è dunque bisogno di richiamare i valori dell’insegnamento cristiano, c’è bisogno di un Papa che dia speranza, che reintroduca il discorso della fede che non è in contrasto con l’umiltà, con l’aiuto agli ultimi che la Chiesa ha sempre fatto. Chi può negare che nel corso dei secoli istituzioni sanitarie intestate a santi sono stati istituzioni di cura famosi, come il romano San Camillo o il Santo Spirito? Chi può negare che la Chiesa nel tempo ha istruito soprattutto i meno abbienti attraverso le scuole cattoliche senza bisogno di gloriarsi perché era la sua vocazione naturale. Ecco occorre un Papa che ci dica che è tutto naturale che non è diverso da altri e che ripristini in qualche modo il senso dell’unità che è dato anche dalla lingua. Un tempo si pregava nelle chiese in latino. Capisco che non è possibile ovunque e sempre ma almeno una preghiera il Padre Nostro o l’Ave Maria che tutti recitino nella stessa lingua in tutto il mondo è il segno della unità. E poi la centralità di Roma “onde Cristo è romano” ci ha detto padre Dante perché, come ha scritto Aldo Cazzullo, “se oggi siamo cristiani, è perché Roma diventò cristiana”.

Ebbene, questo insegnamento che lungo i secoli ha fatto grande la Chiesa mi auguro che lo abbiano presenti i Cardinali che venendo da ogni parte del mondo sono espressione, come dicevo, di diverse culture che devono essere inserite, come sono sempre state, nell’insegnamento della Chiesa ricordando che la Chiesa e le Parrocchie non sono un’O.N.G. di carità, perché la carità la Chiesa l’ha sempre fatta nel silenzio. Ed ecco quindi che i padri nel Conclè necessario ricordino l’insegnamento dei Papi, con attenzione a quello di Papa Benedetto XVI che tutti sentivano un campione della fede che a qualcuno è sembrato che ciò fosse poco, sbagliando.

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