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Che differenza c’è tra chi serve lo Stato e chi lo danneggia? Le riflessioni di un altissimo manager pubblico

di Salvatore Sfrecola

Porto molto volentieri a conoscenza dei lettori di “Un Sogno Italiano”, nell’anonimato, le considerazioni con le quali un altissimo manager pubblico ha voluto sottolineare alcuni aspetti della vicenda “scudo erariale” che ho affrontato ieri, a partire dal “lento ma costante svuotamento del principio di responsabilità nella gestione della cosa pubblica”. Che offende quanti quotidianamente adempiono “con disciplina ed onore” le funzioni pubbliche loro affidate.

Mi auguro che faccia riflettere quanti chiedono o consentono lo “scudo erariale” confondendo chi serve lo Stato e chi lo danneggia. E con esso i cittadini.

Caro Salvatore,

ti scrivo per dirti quanto ho apprezzato il tuo articolo sulla proroga dello “scudo erariale”. Hai centrato con grande lucidità un nodo cruciale del nostro tempo: il lento ma costante svuotamento del principio di responsabilità nella gestione della cosa pubblica.

Mi ha colpito la chiarezza con cui hai smascherato il paradosso: si protegge chi ha provocato un danno allo Stato, cioè ai cittadini, in nome del timore che, senza tale protezione, i funzionari si astengano dall’agire. Ma come si può temere la responsabilità solo perché esiste la possibilità di essere chiamati a risponderne? Se la colpa è “grave”, come tu stesso ricordi con precisione giuridica e culturale, allora è giusto che chi la commette risponda. Altrimenti, che differenza c’è tra chi serve lo Stato e chi lo danneggia?

Hai citato giustamente quella “culpa lata” che i Romani equiparavano al dolo. E non è solo una questione da addetti ai lavori: è la radice di una giustizia che vale per tutti, oppure non vale. Mi è tornata in mente una frase di Don Milani, che suona ancora attualissima: “Non c’è nulla di più ingiusto che fare parti uguali tra disuguali.” Ecco: è profondamente ingiusto che il cittadino qualunque debba pagare per un errore formale, mentre chi gestisce denaro pubblico possa restare impunito anche quando sbaglia in modo macroscopico.

Sai bene quanto sarebbe più serio – e utile – rafforzare la selezione, la formazione, la competenza, piuttosto che costruire protezioni intorno all’inefficienza. Lo “scudo” non difende i bravi funzionari: difende chi non dovrebbe essere lì. Come scriveva Tocqueville, “una democrazia non può durare senza una forte moralità pubblica”. E la moralità pubblica si costruisce sulla certezza che ogni funzione comporta una responsabilità, non un privilegio.

Hai fatto bene a ricordare che l’indignazione del cittadino non si spegne così facilmente. Il cattivo uso del denaro pubblico resta nella memoria collettiva, e riaffiora – come dici tu – almeno nel tragitto verso il seggio elettorale.

Grazie per aver detto le cose come stanno, con rigore e passione civile. È un sollievo sapere che voci come la tua continuano a richiamarci all’essenziale.

Con amicizia e stima.

Mi auguro che queste riflessioni favoriscano un ripensamento in quanti, per pigrizia mentale e scarsa conoscenza delle pubbliche amministrazioni, hanno condiviso l’assurda teoria del “timore della firma”.

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