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Antonio Stoppani, dogma e scienza per la nuova Italia*

del Prof. Aldo A. Mola

L’Italia al voto e un prete deputato?

5 novembre 1876. Gli elettori del regno d’Italia vennero chiamati alle urne. Erano 605.000. Al voto ne andarono 368.000: quasi il 61%. Alle urne affluì soprattutto il Mezzogiorno (oltre il 67%) seguito dall’Italia settentrionale (58%). La Centrale si fermò sulla soglia del 56%. Peggio di tutti fece il Lazio: superò di poco il 49%. Proprio Roma, la tanto agognata capitale d’Italia, fu il fanalino di coda. Sei anni dopo “Porta Pia” l’“idea di Italia” faticava ad affermarsi. Perché rimaneva “scomunicata” da Pio IX? O per atavica indolenza di chi, tutto veduto, rimaneva scettico dinnanzi a cambiamenti che non si sostanziavano in benefici immediati e tangibili?

In quelle votazioni gli elettori dovevano decidere se confermare la fiducia alla “Sinistra storica” capitanata da Agostino Depretis, deputato di lungo corso, presidente del Consiglio dalla “rivoluzione parlamentare” del 18 marzo, o riportare al governo la “Destra” di Giovanni Lanza, Quintino Sella e Marco Minghetti. La sfida riguardava poù i deputati che gli elettori, e meno ancora i cittadini senza diritto di voto, cioè la stragrande maggioranza degli italiani, in massima parte analfabeti, sottoalimentati, ricorrentemente preda di pandemie e, di quando in quando, di epidemie come il letale chòlera morbus. La partita, nondimeno, era decisiva. La Sinistra aveva in programma riforme di peso, a cominciare dalla riduzione del prezzo del sale, la riorganizzazione delle forze armate, il varo di opere pubbliche assolutamente indispensabili per liberare tante regioni dall’arretratezza e avviarle alla crescita.

Il re, Vittorio Emanuele II, non si schierò. Tra i maggiorenti della Sinistra, il presidente del Consiglio, Agostino Depretis, era una garanzia di continuità. Francesco Crispi sin dal 1864 aveva dichiarato che la monarchia univa mentre la repubblica avrebbe diviso. Il Ministro dell’Interno, Giovanni Nicotera, massone come tanti capifila della Sinistra, sopravvissuto alla fallita spedizione di Carlo Pisacane, fatta a pezzi presso Sapri da contadini che scambiarono i “liberatori” per briganti, fece più che il possibile per far vincere la Sinistra. Mobilitò prefetti, questori e tante associazioni ondivaghe e “a noleggio”, scrupolosamente censite dalla direzione generale di pubblica sicurezza. La Sinistra stravinse nel Mezzogiorno. Nell’Italia centrale ottenne 91 seggi contro i 31 andati all’opposizione. Nell’Italia settentrionale Destra e Sinistra risultarono quasi alla pari. Come in elezioni precedenti, la partecipazione al voto risultò modestissima in province lombarde, come Bergamo. Altrettanto avvenne nel Veneto euganeo.

Nel collegio di Lecco, caro ad Alessandro Manzoni che vi aveva campeggiato I promessi sposi, il 12 novembre fu eletto l’avvocato Mario Martelli, in ballottaggio, con 485 voti contro i 266 andati al dottor Angelo Villa-Pernice, deputato dal 1867. Martelli ottenne più di un terzo degli elettori (1125). L’“Italia”, dunque, confermò il governo Depretis, che però durò poco. Fu sostituito da un ministero presieduto da Benedetto Cairoli, a sua volta di breve durata. Tornato al governo Depretis passò da una crisi all’altra sino a quando nel 1887 morì, presidente in carica. Gli subentrò Crispi, costretto alle dimissioni perché in Aula fu accusato di bigamia. Nessuno ne rimproverava la licenziosità (anche Camillo Cavour ne era stato un campione), ma il disordine dei “documenti ufficiali” ancora creava problemi.

Quelle elezioni avrebbero potuto aprire un capitolo di tutta un’altra storia se il 29 ottobre 1876, poche settimane prima dell’apertura delle urne, don Antonio Stoppani non avesse annunciato che non accettava la candidatura alla Camera. Chi era e perché proprio un prete avrebbe potuto vincere trionfalmente?

Antonio Stoppani (Lecco, 15 agosto 1824-Milano, 1 gennaio 1891) fu presbitero e scienziato di fama mondiale. Quinto di quindici figli di un artigiano, Giovanni Maria, che produceva candele e cioccolata, e della longeva Lucia Pecoroni, poco più che decenne Antonio entrò in seminario. Fervido ammiratore di Manzoni e di Gioberti, nel 1848, quando ancora era seminarista aiutò i milanesi nelle Cinque giornate contro gli “Austriaci”. Dopo l’ordinazione sacerdotale (1848) alla cura d’anime preferì gli studi di paleontologia e glaciologia. Inviso al governo austriaco, entrò precettore nella casa del conte Alessandro Porro, la stessa che trent’anni prima aveva avuto insegnante privato Silvio Pellico, iniziato alla Carboneria e redattore di “Il Conciliatore” di Federico Confalonieri, massone.

Nel 1857 Stoppani dimostrò per primo l’unità delle Alpi lombardo-svizzere. Nel 1859 impegnato a curare i feriti delle patrie battaglie inneggiò ai franco-piemontesi guidati da Napoleone III e da Vittorio Emanuele II che si battevano contro l’Austria per, egli scrisse, “ridare agli italiani la nazionale indipendenza”: uno “status” che per la verità non avevano mai avuto dalla decadenza dell’Impero romano. Ma così si credeva e si diceva. Pioniere dello studio del petrolio, don Stoppani tornò in linea nella guerra del 1866 per assistere i militari feriti. Meritò il pubblico plauso. Tra i fondatori dell’Istituto geologico del Regno d’Italia, concorse poi alla redazione della carta geologica dell’Italia, importante anche per la vulcanologia e lo studio dei terremoti. Apprezzato da Quintino Sella, nel 1873 fu il primo presidente del Club Alpino Italiano insediato a Milano.

Docente e autore di un “Corso di geologia” ammirato per chiarezza espositiva, nel 1874 si avventurò in un viaggio verso la Terra Santa. Toccate la Grecia e la Turchia, dopo una tappa in Libano, mosse verso la Siria, ma per un incidente (la zampata di un cavallo gli ruppe una gamba) dovette rientrare in Italia. Lasciò memoria della peregrinazione nel “Racconto di una carovana milanese nel 1874”, pubblicato quattordici anni dopo.

Il Bel Paese di un prete patriota

La sua opera più nota fu e rimane Il Bel Paese, pubblicato nel 1876 ebbe subito immensa fortuna. E’ la narrazione delle bellezze naturali dell’Italia in forma di racconto di uno zio al nipote: formula indovinata e accattivante. Il volume venne presentato al concorso bandito nel 1874 per il miglior libro di lettura “per il popolo”. La giuria lo elogiò ma lo pose a pari merito con un lavoro del poligrafo moderatissimo Cesare Cantù, “Attenzione. Riflessi di un popolano”.

Don Stoppani non entrò in dispute teologiche. Parlò dell’Italia, dell’incanto dei suoi paesaggi e ne esaltò il Creatore. Per lui, come per altri ecclesiastici lungimiranti, come Carlo Passaglia e Luigi Tosti, l’unificazione era un fatto compiuto. Bisognava guardare alla pace e alla fratellanza operosa. Istruì ed educò senza alzare la voce. Come scrive Monsignor Mario Delpini in “Antonio Stoppani. Prete, scienziato, patriota” e documenta padre Ludovico Maria Gadaleta in “Vincere lo scandalo con lo scandalo” per lui scienza e fede, ragione e spiritualità non sono affatto contrastanti, come non lo erano la Nuova Italia, la libertà di religione e il papa stesso, tutelato dalla legge delle Guarentigie.

Ammiratore dell’abate Antonio Rosmini, anche sull’onda del successo scientifico e letterario nel 1876 don Stoppani si candidò alla Camera dei deputati. Bisognava “dare l’esempio” e confutare l’astensione dalle urne imposto ai cattolici con il “non expedit” che vietava di partecipare alla vita politica del Paese. La direttiva “né eletti, né elettori” regalava l’Italia agli anticlericali militanti, che si trovavano la via spianata per varare leggi laicistiche. La sua “discesa in campo” costituì un fatto “politico”. Don Stoppani ci credette davvero. Il 9 ottobre pubblicò un appello contro l’oligarchia dei conservatori e il pericolo dell’internazionalismo. La candidatura suscitò un vespaio di critiche. Chi aveva ragione? Era proprio necessario che un presbitero sedesse alla Camera? La quasi totalità dei parlamentari era di cattolici, osservanti senza ostentazione e senza strumentalizzazioni della propria fede. Il calendario della vita civile del regno era scandito da cerimonie religiose, senza scandalo per nessuno. Negli stessi anni la Terza Repubblica francese registrava il ritorno al primato della chiesa cattolica, dopo gli eccessi della Comune parigina. Nel dicembre 1869 aveva suscitato scandalo la convocazione a Napoli di un Anticoncilio contrapposto al Consiglio ecumenico indetto in Roma da Pio IX. I laicisti avevano validi motivi per arginare l’invadenza asfissiante del clero nella vita quotidiana delle persone con precetti anacronistici e irrazionali. Dal canto suo il papa non aveva torto e ritenere che la Chiesa fosse sotto assedio, a temere la scristianizzazione e una nuova persecuzione dei cattolici.

Pressato da più parti, don Stoppani si rassegnò. Annunciò formalmente di non considerarsi candidato. Aveva altri strumenti per incidere nella vita pubblica: la parola (celebri le sue conferenze settimanali, non “prediche”, svolte sempre con un sorriso, in forma dialogica) e gli scritti, attesi da un pubblico via via crescente e affezionato. Negli anni seguenti, lasciata temporaneamente Milano per Firenze, si concentrò su due nodi di perenne attualità: il regresso dei ghiacciai nelle Alpi (che, da alpinista provetto, conosceva di persona) e la qualità dell’acqua. Questioni attualissime. Chiamato nel 1882 a dirigere in Milano il Museo di storia naturale ed eletto presidente della Società geologica italiana, don Stoppani percepì che le critiche nei confronti della sua politicizzazione avevano un bersaglio più alto: la polemica nei confronti della lunga battaglia per conciliare Patria e Libertà, Cattolicesimo e scienza. Nel colpire lui si mirava a oscurare per sempre il magistero di Antonio Rosmini, il filosofo che a metà Ottocento più e meglio di Vincenzo Gioberti aveva invitato alla pacatezza, a percorrere una “via italiana” verso la compatibilità tra “il dogma e le scienze positive”. Lo ripeté in un’opera del 1884, pesantemente criticata dal quindicinale della Compagnia di Gesù. Nel 1887 il decreto Post Obitum condannò una lunga serie di frasi di Rosmini, estrapolate dalle sue opere. La guerra degli “integralisti” contro i “conciliatoristi” era ormai totale. Lacerava le coscienze della Nuova Italia. Nel giugno 1889 travolse Stoppani con la condanna della rivista da lui temerariamente intitolata “Il Rosmini”. Poiché tutto va storicizzato, va ricordato che nelle stesse settimane venne scoperto in Campo dei Fiori a Roma il monumento bronzeo di Giordano Bruno, antologia di omaggi agli eresiarchi, presenti decine di labari massonici.

Gli ultimi anni riservarono a don Stoppani molte amarezze ma non ne turbarono la serenità. Operava sui tempi lunghi. Lo mostrò propugnando l’erezione di tre monumenti ad altrettante figure rappresentative della “speranza”: non solo Rosmini ma anche Alessandro Manzoni e Giovanni Battista Piatti. Meno celebre della triade, questi era l’inventore della perforatrice ad aria compressa che rese possibile realizzare la galleria del Fréjus (Bardonecchia-Modane). Come ricordano Marco Albera e Giorgio Enrico Cavallo in “L’altro Risorgimento. Cronache del Traforo del Fréjus” (con introduzione di Aldo A. Mola, Centro Studi Piemontesi, 2024) Piatti descrisse il progetto in un’opera a stampa. Lo presentò al ministro “piemontese” Pietro Paleocapa che lo affidò a una commissione. Venne bocciato. Ma gli “ingegneri ferroviari” Germano Sommeiller, Sebastiano Grandis (che ne avevano esaminato il progetto) e Severino Grattoni se ne impadronirono e lo usarono. Don Stoppani volle richiamare gli “scienziati” alla onestà e alla collaborazione internazionale tra i ricercatori.

Il “Bel Paese” di Antonio Stoppani continua a essere stampato (anche in edizioni di pregio) e letto da un pubblico di tutte le età. Incuriosisce che né quell’opera né altre sue figurino nel famoso “Dizionario Bompiani delle opere e dei personaggi di tutti i tempi e di tutte le letterature”.

Sacerdote, scienziato, pedagogista, patriota, saggista e divulgatore, Antonio Stoppani lasciò fare al tempo, che è galantuomo. Oggi è letto e apprezzato.

Il poligrafo Mauro Macchi e “don” Ausonio Franchi

Altrettanto efficace di quella di don Stoppani fu l’opera divulgativa di Mauro Macchi (Milano, 1818- Roma, 1880). Discepolo di Carlo Cattaneo e collaboratore del “Politecnico”, anch’egli, come il chierico Stoppani e il suo “maestro” Alessandro Pestalozza, prese parte alle Cinque Giornate milanesi del Quarantotto. Macchi concorse alla redazione dell’Archivio triennale delle cose d’Italia di Carlo Cattaneo. Espulso dal Canton Ticino, ove si era rifugiato, migrò nel regno di Sardegna, voltò le spalle a Mazzini dopo il fallimento della rovinosa cospirazione del febbraio 1853 e si dedicò a organizzare le società operaie di mutuo soccorso. Massone, Mauro Macchi collaborò alla promozione del “Libero Pensiero” con don Giuseppe Bonavino. Lasciata la talare, questi prese nome di Ausonio Franchi, si fece iniziare in loggia e assunse la guida del Rito Simbolico Italiano. Sulla fine tornò in religione. Garibaldino, Macchi fu vicepresidente della Lega per la pace e la libertà nel 1867 adunata a Ginevra, ove Garibaldi predicò la pace universale, ma tra popoli liberi dalla tirannide. Poche settimane dopo il settantenne Generale non esitò a salire a cavallo per liberare Roma dal potere temporale di Pio IX. L’impresa finì sfortunatamente a Mentana, anche per colpa di Mazzini.

L’opera più vasta e durevole di Macchi fu l’Almanacco istorico d’Italia pubblicato dal 1868. La scrisse da solo, a lume di candela, tra mille difficoltà. Era il suo modo di credere nella Patria. I maggiori studiosi di statistica lo vollero al proprio fianco: Leone Carpi, Angelo Messedaglia, Cesare Correnti, tutti massoni o amici di massoni e fautori dell’“idea di Italia” condivisa da tutti i veri patrioti. Per lui storia e statistica non erano erudizione, né arida informazione. Costituivano le basi per la ricognizione del passato e additavano la via verso il futuro, lo Stellone d’Italia che ciascuno era ed è libero di interpretare a proprio piacimento. Nel 1879 il “repubblicano” Macchi fu nominato senatore del regno: rango presagito anche per don Stoppani, ma da lui non raggiunto per le polemiche suscitate intorno alla sua opera scientifica, filosofica e divulgativa. Il laticlavio, mai conferito a un ecclesiastico dopo l’Unità, avrebbe costituito un precedente assoluto. Positivo. Sarebbe stato segnale della pacificazione della Terza Italia, il Bel Paese ove i sapienti erano uniti come nella “Scuola di Atene” di Raffaello Sanzio.

A fare l’Italia tanto concorsero cospirazioni e battaglie, ma altrettanto fecero studiosi che si dedicarono al giornalismo e alla divulgazione ed ebbero spiccata sensibilità per la letteratura e la lingua popolare, incluse le lingue regionali. Fu il caso di Macchi come di Costantino Nigra, solitamente ricordato come incaricato d’affari e ambasciatore a Parigi, di Felice Govean, autore di romanzi storici e fondatore della “Gazzetta del Popolo” di Torino, e di Luigi Pietracqua, il cui nome non figura nella maggior parte dei “dizionari di letteratura”. Forse perché ebbe la generosità di scrivere romanzi popolari in piemontese proprio quando l’avvento della Nuova Italia costrinse Vittorio Emanuele II a trasferire la capitale da Torino a Firenze e poi a Roma.

Tutti insieme, scrittori, divulgatori e giornalisti, ecclesiastici e massoni, furono, come il re, “padri della Patria”.

DIDASCALIA: Don Antonio Stoppani durante la Terza guerra per l’indipendenza (1866).

La sua figura e la sua opera sono illustrate negli Atti del convegno tenuto al Museo di Storia Naturale di Milano il 14 febbraio 2025 “Antonio Stoppani: luci dagli archivi nel bicentenario della nascita” (Edizioni Rosmianiane Sodalitas, Stresa, 2025). Comprende saggi di suor Benedetta Lisci, curatrice del volume e già segretaria  generale della Postulazione per la causa di beatificazione di Antonio Rosmini, Luciano Lanna, Annalisa Rossi, Monsignor Mario Delpini, p. Ludovico Maria Gadaleta, Enrico Muzio, Vittorio Pieroni, Mauro Rossetto. Enrica Panzieri vi propone “Antonio e Pietro (suo nipote) Stoppani: una comunanza d’idee tra scienza, riformismo e missione educativa”.

* (da Il Giornale del Piemonte e della Ligutia del 29 giugno 2025)

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