Site icon Un sogno Italiano

Quando il Cardinale Montini, futuro Papa Paolo VI, disse che la Provvidenza ha voluto Roma, centro della Cristianità, Capitale d’Italia

di Salvatore Sfrecola

Nella polemica antirisorgimentale, che da tempo impegna quelli che riassuntivamente sono definiti circoli “neo-borbonici”, accanto alla rivendicazione di “primati”, veri, dubbi e inesistenti, di un Regno delle Due Sicilie dipinto come terza potenza economica mondiale, si sente ripetere che il brigantaggio non sarebbe stato un fenomeno criminale endemico, come molti ritengono. Avrebbe, invece, incarnato una rivolta popolare in difesa della patria perduta, della cultura, delle tradizioni e della religione. E ciò perché, una volta annesse al Regno d’Italia, nelle province meridionali alcune bande di briganti, sollecitate o finanziate da Francesco II di Borbone, rifugiatosi a Roma sotto la protezione del Papa, venivano incitate alla lotta anche da ambienti del clero locale, che alimentavano la polemica anti-unitaria ritenendo il nuovo Stato ispirato a valori laici, liberali e massonici. E desiderosi di fare di Roma la Capitale del nuovo Stato, come auspicato dal Presidente del Consiglio, Camillo Benso di Cavour in un celebre discorso nell’aula della Camera, convinto che “senza Roma Capitale d’Italia, l’Italia non si può fare”. Con una chiara indicazione del superamento del potere temporale dei Papi al quale mirava anche Giuseppe Garibaldi che aveva appena consegnato il Regno dei Borbone a Vittorio Emanuele II. Il Generale delle “Camicie rosse” era storicamente un mangiapreti, nemico giurato di Papa Pio IX, il Papa Re, strenuo difensore del suo ruolo di Capo di uno Stato che aveva ricevuto dal suo predecessore e che, pertanto, era impegnato a trasmettere a chi gli sarebbe succeduto. Per cui avrebbe continuato a dirsi prigioniero in Vaticano, con invito ai cattolici ad attuare una protesta della quale al Sud si erano impadroniti i nostalgici del Regno dei Borbone. Un conflitto che si sarebbe concluso solamente con il concordato del 1929. 

Tuttavia, in ambienti cattolici permane ancora oggi una certa freddezza nei confronti dello Stato italiano che, per alcuni, è sempre quello che ha espropriato a Roma palazzi e conventi per farne sedi di uffici pubblici, dal Convento di Sant’Agostino, oggi sede dell’Avvocatura generale dello Stato, al Palazzo di Montecitorio, sede della Camera dei deputati, al Palazzo della Consulta che, ospita la Corte costituzionale. Per non dire del Quirinale divenuto dopo il 20 settembre 1870 la Reggia dei Savoia. Solo per fare qualche esempio.

È stata la riflessione più pregnante e illuminante di un cattolico sull’Unità d’Italia e sulla “questione romana”. A cominciare da quel 20 settembre 1870 quando “la Provvidenza aveva ingannato tutti, credenti e non credenti”. Fedele a questa interpretazione Paolo VI fu il Papa che, con le sue radicali riforme, diede gli ultimi colpi di piccone a quello che rimaneva del potere temporale e dello sfarzo della Chiesa. 

La Provvidenza aveva ingannato i credenti, che dalla fine del potere temporale temevano il crollo della Chiesa-istituzione; aveva ingannato i non credenti che quel crollo desideravano e attendevano: “Perduta l’autorità temporale, ma acquistata la suprema autorità nella Chiesa, il papato riprese le sue funzioni di maestro di vita e di testimone del Vangelo”.

E, pertanto, il Cardinale non trascurò di segnalare che il giorno dopo si sarebbe aperto “il Concilio Ecumenico Vaticano II, un fatto grande e singolare”. La Roma del 1962 è “in condizioni ben diverse dalla Roma che accolse il Concilio Vaticano I. Il confronto fra l’Urbe del 1870 e la città del 1962 sorge spontaneo per rilevare che l’aspetto esteriore è enormemente e splendidamente migliorato. La presenza del Concilio nel 1870 “non valse a placare il fermento politico né a contenere la pressione degli avvenimenti, che portarono alla caduta del potere temporale del Papa e insieme, con la bolla “Postquam Dei munere” del 20 ottobre 1870, alla sospensione e alla fine dello stesso Concilio. Parve un crollo, e per il dominio territoriale lo fu. Parve a molti ecclesiastici e a molti cattolici non potere la Chiesa romana rinunciarvi, si pensò doversi quel potere temporale ricuperare e ricostituire. Ad avvalorare questa opinione – per cui la vita politica italiana fu così travagliata e priva delle più cospicue sue forze, quelle cattoliche – fu l’antagonismo tra Stato e Chiesa. Nell’opinione pubblica era diffusa la convinzione che la secolare istituzione pontificia sarebbe caduta come ogni altra istituzione umana, col cadere dello sgabello terreno sul quale appoggiava da tanti secoli”.

Ma “La Provvidenza aveva diversamente disposto le cose. Il Concilio Vaticano I aveva da pochi giorni proclamata somma e infallibile l’autorità spirituale del Papa (il voto sull’infallibilità avvenne nella quarta sessione il 18 luglio 1870, n.d.r.) che praticamente perdeva in quel fatale momento la sua autorità temporale. Il Papa usciva glorioso dal Vaticano I per la definizione dogmatica delle sue supreme potestà nella Chiesa, e usciva umiliato per la perdita delle potestà temporali. Ma fu allora che il papato riprese con inusitato vigore le sue funzioni di maestro di vita e di testimonio del Vangelo, così da salire a tanta altezza nel governo spirituale della Chiesa e nell’irradiazione morale sul mondo. Oggi ci è difficile e quasi molesto comprendere le passioni che tanto commossero e amareggiarono le vicende di quel tempo. Qualche cosa mancò alla vita italiana nella sua prima formazione, non fosse altro la sua interiore unità, la sua consistenza spirituale, la sua unanimità patriottica e la sua piena capacità a risolvere i problemi di una società disuguale, tanto bisognosa di nuovi ordinamenti, e già attraversata da fiere correnti agitatrici e sovversive”.

Per proseguire: “Per nostra fortuna abbiamo raggiunto una soddisfacente composizione con la Conciliazione del 1929 e con l’affermazione della libertà e della democrazia nel nostro Paese. Il prossimo Concilio è la dimostrazione della possibilità del Papa di avere rapporti con la Chiesa e con il mondo, la sua capacità di celebrare i più grandi avvenimenti della vita della Chiesa in casa propria; la sua indipendenza, la sua libertà, la sua funzionalità, che costituì il nucleo essenziale della Questione romana. Roma ne gode. Plaudono la Chiesa e il mondo”.

“Non diciamo nulla di originale – soggiunge – se ricordiamo che sopravvive un’altra Roma, sopra un altro piano, la Roma della fede cattolica, Roma eterna, non solo quella degli imperatori ma anche quella degli apostoli. La Chiesa di Cristo, collocandosi a Roma, non diventa cattolica e cioè universale ma si ritrova quella ch’essa già è per nativa costituzione, cioè cattolica. Il fatto meraviglioso e misterioso è che il capo degli apostoli, Pietro, abbia scelto per sede del suo ministero di vicario di Cristo la città capitale del mondo civile di quel tempo”.

Il futuro Paolo VI conclude con le parole pronunciate da Giovanni XXIII il 4 ottobre da Assisi: “E tu, Italia diletta, alle cui sponde venne a fermarsi la barca di Pietro – e per questo motivo da tutti i lidi vengono a te, che sai accoglierle con sommo rispetto e amore, le genti tutte dell’universo – possa tu custodire il testamento sacro che ti impegna in faccia al cielo e alla terra”.

Exit mobile version