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Giugno 2008

Stato: il patrimonio si può vendere, non svendere
di Salvatore Sfrecola

Se lo Stato fosse amministrato come una famiglia certamente da tempo sarebbe stata attuata una riconversione del patrimonio, in gran parte male non funzionale alle esigenze attuali delle pubbliche amministrazioni. E’ bene ricordare, infatti, che in gran parte gli immobili dello Stato provengono dai secoli passati, per corrispondere alle necessità delle corti e degli uffici, delle caserme e delle prigioni, manufatti spesso splendidi esempi di arte architettonica arredati con mirabili opere d’arte. Immobili in località panoramiche, come i forti, che dovevano assicurare la difesa dai nemici esterni, o al centro delle città, palazzi destinati alla corte od agli uffici delle autorità più importanti. E, ancora caserme, scuole, prigioni, spesso nel centro delle città, come nel caso del carcere romano di Regina Coeli. Nel frattempo le esigenze sono cambiate, ma lo Stato non ne ha preso atto e continua a mantenere immobili inutilizzati o sottoutilizzati, che richiedono dispendiose spese di manutenzione, non a norma per quanto riguarda la sicurezza. Se costituissero beni di una famiglia quel patrimonio sarebbe stato riconvertito, alienato a ottimo prezzo, per il valore che quei locali rivestono sul mercato delle sedi prestigiose di banche ed istituzioni, italiane e straniere. E, ancora, sul mercato degli immobili destinati al turismo, come accade in tutto il mondo dove i palazzi e le ville, che un tempo ospitavano re e principi, sono divenuti alberghi di lusso. In Italia non c’è stata una politica della riconversione del patrimonio immobiliare dello Stato, tanto è vero che, mentre conserviamo manufatti non utilizzabili, uffici statali, civili e militari, sono in affitto da privati che, tra l’altro, sono spesso creditori di canoni arretrati perché le amministrazioni non hanno soldi (ricordate il Ministro Amato che invitava i pompieri, in carenza di fondi, a comprare la benzina piuttosto che pagare gli affitti?). Insomma è una pessima gestione quella della “famiglia Stato”, che possiede un ricco patrimonio e poi va in affitto! Non lo farebbe nessuna famiglia! Non c’è una politica di ristrutturazione del patrimonio anche per la diffidenza di parte della classe politica di fronte ad esperienze di dismissione di compendi immobiliari che sono state soprattutto una svendita, che ha arricchito i privati intermediari, senza sostanziali vantaggi per gli enti proprietari o, quanto meno, con vantaggi inferiori a quelli che era lecito attendersi. E’ stato come nel caso degli immobili degli enti in gran parte alienati agli stessi inquilini ad un prezzo che ha permesso alle varie “società veicolo” di lucrare prezzi che non hanno portato vantaggi significativi al bilancio degli enti ma solo a quelli delle società. Con una conseguenza sociale gravissima, che, in un periodo nel quale l’aumento dei prezzi è stato particolarmente elevato, le famiglie si sono indebitate riducendo notevolmente la loro presenza sul mercato interno. In sostanza, famiglie che pagavano canoni di locazione di quattrocento mila lire si sono trovare a pagare altrettanto e più euro di mutuo, cioè più del doppio. Non sarebbe stato meglio che gli enti avessero venduto direttamente ai propri inquilini con mutui assistiti da un pool di banche a tassi agevolati? Gli enti avrebbero tratto lo stesso vantaggio in termini finanziari e le famiglie non sarebbero state gravate al limite delle loro possibilità, con effetti gravi sui consumi. Oggi si torna a parlare di vendita del patrimonio, “per sanare il deficit”, titola Francesco De Dominicis su LiberoMercato di oggi richiamando la relazione della Corte dei conti al Parlamento, in occasione del giudizio sul rendiconto generale dello Stato per l’esercizio finanziario 2007. Il titolo parla di “deficit” ma molto correttamente il Procuratore Generale, nella sua requisitoria, di cui l’articolo dà conto, si riferisce all’esigenza di ridurre il debito. Non è piccola differenza, una cosa è il disavanzo di bilancio, altro il debito. Il patrimonio costituisce un valore attivo speculare al debito, che rappresenta contabilmente una passività. La preoccupazione è quella di evitare che il desiderio, naturale in ogni governo che ha esigenza di ottenere risultati politici, di disporre di maggiori risorse finanziare, realizzi, in realtà un “fare cassa” con alienazioni immobiliari. Un po’ come hanno fatto i comuni, che sono ricorsi ai derivati per avere maggiori disponibilità immediate senza preoccuparsi dei debiti che hanno contratto e che le comunità pagheranno negli anni futuri, quando probabilmente ci saranno altre maggioranze a guidare le amministrazioni. La preoccupazione non nasce da un processo alle intenzioni, ma dall’esperienza del passato di cui si è appena detto, quando privatizzazioni e dismissioni sono parse espressione più che di una saggia riconversione del patrimonio un espediente per fare cassa e per far guadagnare qualche imprenditore rampante. Ci sono troppi politici “bottegai” in giro, come diceva Montanelli, per stare tranquilli.
27 giugno 2008

Un libro ed un impegno del Distretto Rotary 2080
La Famiglia una certezza nella società che cambia

di Giovanna Luciana de’ Luciani

Da oggi troviamo in libreria per i tipi di Nuove Idee “La famiglia, una certezza nella società che cambia” ( pp 103, € 12,00), che pubblica gli atti di un Convegno, tenutosi l’11 dicembre 2007 nella Sala Vanvitelli dell’Avvocatura Generale dello Stato, a Roma, organizzato dalla Commissione famiglia del Distretto Rotary 2080. Relatori, oltre al nostro direttore, Salvatore Sfrecola, Vice Procuratore generale della Corte dei conti, che ha trattato i profili costituzionali della famiglia, Giuseppe De Rita, Segretario Generale del CENSIS, che ha svolto una approfondita riflessione introduttiva di taglio eminentemente sociologico, Paola Maria Zerman, Avvocato dello Stato, che ha parlato delle politiche per la famiglia, sulla base di un’analisi comparata delle misure adottate nelle società più sviluppate, Giovanna Scittarelli, Psicologa e Psicoterapeuta che ha affrontato il tema dei Modelli di comunicazione familiare, Mons. Sergio Nicolli, della Conferenza Episcopale Italiana, che ha parlato di “Famiglia, valore fondamentale”. Il libro si apre con una presentazione di Paola Marrocco Ugolini, Responsabile Distrettuale della Commissione Famiglia. “La famiglia – ha scritto – non è semplicemente un rapporto privato, ma è lo snodo tra persona e società i cui cardini si basano sul diritto naturale. È il nucleo originario in cui si formano i valori individuali e su cui è fondato, in ogni civiltà, il processo di socializzazione umana. Il periodo di crisi che la società odierna sta attraversando, di cui il diffuso malessere dei giovani è forse il segno più preoccupante, è strettamente legato alla messa in discussione della famiglia come istituzione, una istituzione in cui credenti di tutte le fedi e non credenti possono riconoscersi”. Importanti riflessioni introduttive sono quelle dell’Avvocato Generale dello Stato, Oscar Fiumara, e del Governatore del Distretto Rotary 2080, Franco Arzano. Entrambi hanno ricordato che l’iniziativa si colloca nell’ambito del “servizio” che il Rotary offre alla comunità affrontando un argomento che oggi è più che mai attuale. Fiumara, in particolare, ha ricordato a questo proposito che Famiglia “viene da famulus servo, servitore nel senso più nobile della parola”. Ed ha sottolineato che l’Avvocatura Generale ha contribuito all’iniziativa, non solo mettendo a disposizione la splendida sala Vanvitelli del vecchio Convento di Sant’Agostino, ma anche con un relatore di grande valore, l’Avvocato Paola Maria Zerman. Ha ricordato, inoltre, che l’Avvocatura vanta un beato di Santa Romana Chiesa Luigi Beltrame Quattrocchi, elevato nel 2001 alla gloria degli altari insieme alla moglie Maria Corsini. Il Governatore Franco Arzano ha ricordato che la Famiglia “giustamente viene considerata la cellula base di ogni vivere sociale, riveste infatti un ruolo primario nella formazione ai valori morali dell’uomo e chiama in causa la capacità che essa ha di formare donne e uomini liberi”. Ed ha ricordato recenti parole di Papa Benedetto XVI: “Chi anche inconsapevolmente osteggia l’istituto famigliare rende fragile la pace perché indebolisce quella che di fatto è la principale agenzia di pace. Infatti tutto ciò che direttamente o indirettamente ne frena la disponibilità all’accoglienza responsabile di una nuova vita, ciò che ne ostacola il diritto ad essere la prima educatrice dell’educazione dei figli costituisce un oggettivo impedimento sulla via della pace”. Un libro, dunque, con tanti stimoli sui vari aspetti della famiglia, da quelli giuridici a quelli psicologici e delle politiche sociali, con una relazione conclusiva, quella di Mons. Nicolli, che sottolinea in maniera mirabile i valori civili e religiosi della Famiglia. Speriamo che serva ad archiviare anche solo l’idea di PACS, DICO e CUS, formule nelle quali molti si sono esercitati nella scorsa legislatura, senza pensare ai problemi veri delle famiglie, che non sono certo quelli di istituire il “matrimonio” degli omosessuali.
25 giugno 2008

Un Convegno al Circolo Magistrati della Corte dei conti
ETICA e FINANZA un binomio, una speranza che sta diventando realtà

di Salvatore Sfrecola

Per iniziativa della Fondazione “Etica ed Economia – Universitatis Romanae Schola de Negotiis Gerendis” (Scuola d’impresa della comunità romana, per chi avesse perso contatti con la lingua dei Padri) si è tenuto ieri sera, nei locali del Circolo Magistrati della Corte dei conti, appena rinnovati, un interessante Convegno sul tema “Etica e Finanza”. Dopo un indirizzo di saluto del Presidente del Circolo, il Consigliere della Corte dei conti Giovanni Palazzi, il tema del Convegno, le finalità e le iniziative della Fondazione, anche in collaborazione con istituzioni similari e con il Movimento Mondiale delle Scuole di Etica ed Economia, sono state presentate dal dottor Arnaldo Acquarelli, Presidente della Fondazione, che ha letto un breve intervento del Prof. Carlo Marzano, Presidente del CNEL, impossibilitato ad intervenire. Il Movimento delle Scuole “Etica ed Economia” nel mondo, ha ricordato Acquarelli, costituitosi ufficialmente a Roma il 17 maggio 2001, in occasione di un’udienza particolare concessa dal Santo Padre Giovanni Paolo II, trae origine, nei primi anni ’90, dall’incontro e dalla condivisione di alcuni ideali da parte di imprenditori, professionisti e docenti universitari del Nord – Est italiano. Dopo la nascita della Fondazione “Etica ed Economia” di Bassano del Grappa, capofila e Scuola di pensiero del Movimento, esso si e’ diffuso nei cinque continenti, attraverso una rete di “Scuole” fra loro autonome ma accomunate dall’ispirazione ai medesimi principi e dalla tensione allo stesso obiettivo: diminuire il divario fra i Nord e i Sud del pianeta, realizzando progetti concreti di sviluppo atti a coniugare l’efficienza propria dell’operare in economia e la solidarietà, unica possibile via per il perseguimento del bene comune. Tutte le Istituzioni aderenti al Movimento (circa cinquanta) sono impegnate nella proposizione di modalità alternative alle tradizionali forme di cooperazione internazionale, ritenendo la condivisione delle conoscenze, soprattutto fra operatori economici, i mezzi più efficaci per creare non solo nuove opportunità di sviluppo per i Sud ma anche condizioni di crescita per i Paesi già progrediti sul piano economico e tecnologico. In questa direzione il Movimento e’ promotore, ogni due anni, del Forum mondiale “Nord – Sud”, gli ultimi svoltisi a Roma nell’ottobre del 2003 ed in Ecuador nel 2005. Il Presidente ha, altresì ricordato i principi ispiratori della Fondazione:
“centralità della persona in qualsiasi ambito, specialmente in quello economico;
“solidarietà e sussidiarietà come elementi fondanti uno sviluppo permanente e diffuso;
“conservazione e valorizzazione delle risorse a disposizione del genere umano per una migliore distribuzione nel pianeta e fra le generazioni”.
Il Movimento, ha spiegato Acquarelli, ha come finalità quelle di promuovere ed attuare progetti di economia reale, fondati sulla vocazione imprenditoriale, per diminuire il divario tra il Nord e il Sud del mondo; realizzare programmi didattici internazionali, anche a livello universitario, per favorire una formazione economica rispettosa della centralità dell’uomo e dell’ambiente; attivare programmi culturali e di ricerca pertinentemente le proprie tematiche di competenza, collegate ad una cognizione etica dell’economia in relazione allo scenario planetario; favorire e organizzare eventi artistici, manifestazioni culturali e sportive e ogni altra iniziativa capaci di divulgare gli ideali affermati.
Protagonisti del Convegno i Professori Cesare Imbriani, Carlo Santini e Luciano Hinna che hanno affrontato il tema dei rapporti tra etica, economia e finanza sulla base di riflessioni e di esperienze, maturate negli studi e sul campo, anche con rinvio ai progetti messi in campo dalla Fondazione ed ampiamente illustrati sul sito della stessa www.unieticaroma.it.
Tema di grande fascino ed attualità, con riferimento alle esperienze più diversificate che caratterizzano da un lato alcuni paesi progrediti dall’altro quelli in via di sviluppo, come attestano alcune forme di microcredito che si vanno diffondendo (il credito è un diritto umano, ha detto il Prof. Imbriani), il rapporto tra etica e finanza ha continuato a tenere banco nel corso della cena tra gli ospiti, imprenditori, professionisti della finanza, magistrati. Sarebbe difficile indicarli tutti e pur certo di far torto a qualcuno voglio ricordare l’On. Alfonso Papa, il Presidente di Cassazione Ferdinando Imposimato, il Giudice Angelo Gargani, il Generale di Corpo d’Armata dei Carabinieri Goffredo Mencagli, l’Ing. Mario Feruglio, la Signora Festa Campanile.
24 giugno 2008

Se 10.000 vi sembran pochi!
di Salvatore Sfrecola

10.000 accessi dal 4 dicembre 2007, da quando Un sogno italiano è andato sul web “per non arrendersi al pessimismo”, non sono pochi. Per un giornale che vuol essere la voce di un gruppo ristretto di amici che credono nella democrazia e nelle istituzioni ed intendono far conoscere le loro riflessioni a botta calda, quando c’è la notizia, quando è impossibile non scrivere per chi ha a cuore i destini di questo meraviglioso Paese che è l’Italia. Nonostante tutto, l’aumento dei prezzi che impoverisce le classi medie e riduce alla miseria una parte sempre più ampia della popolazione che non regge agli aumenti tariffari ed al carico fiscale. Far quadrare risparmio della Pubblica Amministrazione, incentivi allo sviluppo, speranze alle famiglie, intorno alle quali ruota l’intera economia non è obiettivamente facile, né conseguibile in tempi ristretti, come tutti vorremmo. Tuttavia, “poiché il pessimismo non è nel nostro DNA, nonostante la nostra classe politica, di governo e d’opposizione, faccia di tutto per limitare le prospettive di questo Paese”, scrivevo nel pezzo di presentazione del giornale, abbiamo, i miei amici ed io, riflettuto su ipotesi di riforme e politiche che avessero prospettive possibili e credibili, per ritrovare il filo di un percorso capace di portare l’Italia verso lidi migliori, “per il perseguimento del bene comune, compito primo dello Stato e delle istituzioni. Per restituire alla gente il gusto di fare, per dare un contenuto concreto a quel principio di sussidiarietà che non può rimanere sulla carta dopo la riforma costituzionale dell’art. 118. La sussidiarietà intesa come aiuto economico, istituzionale, legislativo offerto alle entità sociali più piccole, attività a fronte delle quali i pubblici poteri dovrebbero astenersi soprattutto da quelle forme di burocratizzazione ingiustificate che deresponsabilizzano la società e le persone”. Abbiamo scritto, senza fare sconti a nessuno, a Destra ed a Sinistra, continuando a sognare un’Italia libera e prospera, capace di cogliere le opportunità che la storia, la cultura, il territorio, il genio dei suoi abitanti consentono di intravedere. Un’Italia nella quale siano riconosciuti il merito e i diritti di ciascuno e delle comunità. Continueremo a scrivere ed a dire la nostra, senza preoccuparci se qualcuno potrà dispiacersi, anche tra i nostri amici, ovunque militino, perché la libertà è espressione prima della dignità dell’uomo ed è il seme dalla vita e del progresso, perché solo dal confronto libero delle idee è per l’uomo possibile progredire. Libertà, “al centro del discorso politico occidentale fin dai suoi albori”, come ha scritto Maria Laura Lanzillo nell’introduzione ad un volumetto (Libertà, Laterza, Bari, 2008), che pubblica scritti tra i più significativi sul tema, tratti da opere di filosofi, storici, politologi e giuristi, da Tucidide ad Hayeck, da Platone a Croce, da Cicerone a Hegel, da Montesquieu a Kelsen, per non citarne che alcuni. Da tutti si potrebbero trarre citazioni importanti. Ho scelto da Tucidide (II, 37) la frase che era stata posta in apertura del preambolo al progetto di Trattato che istituisce una Costituzione per l’Europa: La nostra Costituzione… si chiama democrazia perché il potere non è nelle mani di pochi, ma dei più. Alla libertà, al “gusto” per la libertà, come ho scritto in altra occasione non verremo mai meno io ed i miei amici, il caro Senator, coraggioso difensore della Costituzione, Marco Aurelio, saggio storico della Roma repubblicana ed imperiale, Gianni Torre, una delle migliori penne del giornalismo politico, Oeconomicus, esperto di economia e finanza, Giovanna Luciana de’ Luciani, attenta ai profili di costume della società italiana, Paola Maria Zerman, giurista ed esperta di politiche familiari. Ugualmente gli altri amici che ci seguono e che si sono candidati a mettere a disposizione di Un sogno italiano, la loro intelligenza ed il loro cuore di italiani.
22 giugno 2008

Rinvio dei processi penali
Compresso il diritto all’innocenza

di Senator

La norma che rinvia i processi penali fa male alla maggioranza e al Paese e nega un diritto degli imputati. Preciso che non ho nulla contro la sospensione dei processi a carico di una o più delle alte cariche dello Stato. E’, infatti, convincente l’argomentazione, cui ha fatto ricorso il collega Pecorella in un dibattito promosso da La7, in ordine agli effetti deleteri che avrebbe per il Paese, all’interno e sul piano internazionale, una sentenza di condanna del Premier, sia pure per fatti penalmente rilevanti che si assume abbia commesso nella precedente veste di imprenditore. Tuttavia, l’aver voluto introdurre con l’art. 2 bis alla legge di conversione del decreto sulla sicurezza, con effetto immediato e per la durata di un anno, la sospensione dei processi penali relativi a fatti commessi fino al 30 giugno 2002, giustificandola con il fine “di assicurare la priorità assoluta alla trattazione dei procedimenti di cui all’articolo 132-bis del decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271, nonché dei procedimenti da celebrarsi con giudizio direttissimo e con giudizio immediato”, provoca problemi non lievi di costituzionalità che non sono stati evidenziati nel dibattito politico parlamentare. In particolare non sono stati presi in considerazioni i diritti degli imputati ai quali non si può negare, oltre un interesse giuridicamente rilevante alla celere conclusione dei processi, anche il diritto di vedersi riconosciuta la propria innocenza. Infatti, se è vero che giuridicamente “l’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva”, come si legge nel secondo comma dell’art. 27 della Costituzione, questa presunzione è una importantissima affermazione di civiltà giuridica ma lascia il tempo che trova agli occhi dell’opinione pubblica e dell’ambiente nel quale il presunto “non colpevole” vive e lavora, con danni gravissimi di ordine personale e sociale. Di qui l’interesse a veder definita rapidamente la sua posizione giuridica, perché sia riconosciuta la sua innocenza. Con la nuova norma, che intende “assicurare priorità assoluta alla trattazione dei procedimenti” più gravi, tanti cittadini rischiano di rimanere a lungo in mezzo al guado. E’ vero, infatti, che, ai sensi dell’ottavo comma “l’imputato può richiedere al Presidente del tribunale di non sospendere il processo”, una richiesta sulla quale lo stesso Presidente provvede con ordinanza, “valutate le ragioni della richiesta, le esigenze dell’ufficio e lo stato del processo”. Considerato, tuttavia, lo stato dei ruoli di molti tribunali è molto probabile che spesso l’istanza non sarà accolta. E comunque è probabile che al termine del periodo di sospensione generalizzata si creino situazioni di appesantimento dei ruoli che possono dilazionare ulteriormente nel tempo la definizione dei processi. Anche perché mancano valutazioni attendibili sul numero dei processi e sugli effetti della norma, come osserva Luigi Ferrarella sul Corriere della Sera di oggi criticando i dati forniti dal Ministro e dall’Associazione Nazionale Magistrati (La guerra dei numeri sbagliati). Un pasticciaccio, insomma, che si poteva evitare, che intaserà le Cancellerie tenute ad un numero enorme di adempimenti, in primo luogo le notifiche conseguenti alle sospensioni. Mentre sarebbe stato necessario accelerare i processi, sia penali che civili, per rendere un vero “servizio giustizia”.
20 giugno 2008

Taxi a Roma: a volte il cliente è soddisfatto, spesso NO
di Marco Aurelio

Caro Sindaco Alemanno, sai che spesso non ho condiviso la tua strenua difesa dei tassisti della Capitale, pur comprendendone le ragioni politiche, le angherie, vere o presunte, della Giunta Veltroni, la gestione delle licenze, anche se presunti passati illeciti non possono giustificare l’arroganza di una lobby che per alcuni elementi (sottolineo “alcuni”) danneggia l’immagine della categoria e della Città, ed il suo turismo. Sarò sfortunato, posso anche ammetterlo, ma quando scendo da cavallo e prendo un taxi mi trovo spesso ad affrontare realtà di disservizio e cattiva educazione. E’ accaduto anche ieri, due volte. La prima volta quando, poco dopo le 17, ho fatto chiamare un taxi in viale Mazzini. Risposta del gestore, arriva…. in due minuti. Ne ho aspettati una decina. E’ arrivato con il tassametro che segnava 6,30 ed alla mia garbata protesta che un’aquila (pardon) avrebbe dovuto essere più veloce il personaggio ha risposto che era colpa del traffico, che in realtà era a trenta metri di distanza, ma aveva avuto difficoltà a trovare il civico. Preciso che si tratta del palazzo di una istituzione nota e segnalata con tanto di bandiere della Repubblica e dell’Unione europea. Maleodorante, con una disgustosa puzza di sudore ha snocciolato una serie di lamentazioni, il costo della benzina, il traffico, e via dicendo minacciando di lasciami per strada per ave evidentemente osato far presente, ma neppure più di tanto, che pagavo un di più per un disservizio che non mi poteva essere addebitato. Ho fatto una bella sudata perché il signore non usa l’aria condizionata. Al ritorno ho preso un altro taxi, a Piazza Venezia, cuore della Città e turismo. Sono salito su un taxi surriscaldato. Ho osato, ancora una volta sono stato un temerario, chiedere se avesse l’aria condizionata. Non l’avessi mai detto. Il tassista mi ha risposto che l’attiva solo oltre i 30 gradi e comunque, testuali parole, quando fa comodo a lui. Ho tentato di obiettare che dovrebbe attivarla quando fa comodo al cliente. Ometto la risposta. Gli ho fatto notare che sarebbe suo interesse non respirare per tutto il giorno l’aria inquinata della Città. Ma il becero non ha neppure fatto uno sforzo di capire. Caro Sindaco non è la prima volta e non solo per me. Il servizio taxi a Roma è scadente, è inutile nascondercelo. Nella migliore delle ipotesi i tassisti si arrogano una funzione turistica e ti fanno fare il giro di Roma. La settimana scorsa, partendo da Piazza Mazzini, approfittando del fatto che ero al telefono, il taxi mi ha condotto a via Ramazzini, Ospedale Forlanini, passando dal lungotevere, porta Portese, circonvallazione gianicolense, ecc. Quando sarebbe stato più veloce salire dall’Olimpica. Non può continuare così. Questo servizio per i romani ed i tanti turisti è un po’ l’immagine della Città. In passato sono dovuti intervenire i Carabinieri o la Polizia Municipale difronte a conti salati. All’estero, ovunque sono andato, è tutt’altra storia. Caro Sindaco, ne va anche del tuo ruolo e della tua immagine.
19 giugno 2008

Il “conflitto di interessi” nel Regno d’Italia
Quintino Sella e le imprese “di famiglia”

di Salvatore Sfrecola

Un mio amico, uomo colto e brillante, mi ha ricordato, nel corso di una conversazione di qualche giorno fa, tra storia e cronaca, un episodio che non conoscevo e che, immagino, anche altri lettori di questo giornale non conoscano. Riguarda Quintino Sella, anzi l’Ing. Quintino Sella, laureato a vent’anni in ingegneria idraulica, specializzato a Parigi in cristallografia, presto entrato a far parte del Regio Corpo delle miniere, un professionista che farà onore all’Italia in campo internazionale, un uomo politico al quale il Paese deve il risanamento del bilancio dello Stato dissestato dai costi delle guerre del Risorgimento e appesantito dal debito pubblico ereditato anche dagli Stati preunitari. Ebbene, nel 1862 Quintino Sella viene chiamato a ricoprire il prestigioso ed impegnativo incarico di Ministro delle finanze. Prima di accettare scrive al nonno, capo della famiglia, e gli chiede, cito a memoria, l’autorizzazione ad accettare l’incarico anche nel presupposto che, nel caso avesse accettato, “le imprese di famiglia dovranno lasciare gli appalti ottenuti da amministrazione dello Stato”. Il nonno risponde, cito ancora a memoria, ma con assoluta fedeltà: “per la famiglia Sella è un onore che un suo membro sia chiamato a ricoprire l’incarico di Ministro del Re, per cui contestualmente le imprese di famiglia abbandoneranno gli appalti stipulati con pubbliche amministrazioni”. Accadeva meno di centocinquant’anni fa, in Italia! E la chiamavano “Italietta”!!
18 giugno 2008

“Blasfemo intitolare quella clinica a Santa Rita”
di Salvatore Sfrecola

Dice bene il Senatore a vita Giulio Andreotti quando commenta così su Il Tempo di oggi una lettera che giudica “per lo meno di cattivo gusto” intitolare alla Santa di Cascia la clinica milanese giunta in questi giorni agli “onori” delle cronache per fatti dei quali si sta occupando la magistratura penale. In effetti a santi e sante sono spesso intitolali ospedali e cliniche, uomini e donne di chiesa che nei secoli hanno curato i malati ed i pellegrini, come San Camillo, od ai quali vengono riconosciute virtù taumaturgiche, come Santa Rita, appunto, Santa delle cause impossibili. Nella scelta di un nome c’è un riferimento che dovrebbe nobilitare l’iniziativa, darle una connotazione di grande professionalità e spirito di servizio, che nel caso della sanità dovrebbe essere svolto nei confronti dei più bisognosi, dei più deboli, dei malati. Dei “Signori Malati”, come vengono chiamati i pazienti nelle strutture ospedaliere del Sovrano Militare Ordine di Malta, per sottolineare lo spirito di servizio cui è informata quella Istituzione. Oggi tutto è governato dai conti della gestione, nel pubblico e nel privato. E’ certamente necessario tenere a posto i bilanci, ma il loro equilibrio non può trascurare le esigenze dei pazienti. E se nel pubblico i conti devono essere fatti quadrare tra organizzazione e spese di gestione, con rigido rispetto dei canoni di efficienza, efficacia ed economicità, evitando spese inutili e consulenze non necessarie, nel privato non possono tornare con interventi chirurgici non necessari, eseguiti solo per ottenere i rimborsi dalla Regione, a danno della salute dei pazienti. Ancora una volta in questo Paese mancano i controlli.
15 giugno 2008

La crisi dopo il voto irlandese
EUROPA: il pendolo della popolarità, i limiti del voto

di Salvatore Sfrecola

“Piccolo voto, grande crisi”, titolava ieri in prima Il sole 24 ore, dopo il voto del 53,4% degli irlandesi che si sono recati alle urne ed hanno votato no al Trattato di Lisbona determinando una stasi nel processo d’integrazione in Europa. Anche se tutti dicono di andare avanti, che un paese il quale rappresenta meno dell’1% della popolazione europea non può fermare la storia. Dicono bene Ciampi ed Amato, sempre su Il sole 24 ore, quando sostengono la necessità di “superare l’impasse” e di trovare strumenti giuridici nuovi, perché “non si può permettere a un’esigua minoranza di decidere contro tutti”. Ma è certo che l’Europa politica è in crisi di popolarità se un Paese che ha tratto grandi vantaggi dall’appartenenza all’Unione ha votato contro. Una crisi di popolarità che deriva dalla pratica assenza di scelte europee nello scenario mondiale, politico ed economico. Troppe volte l’Europa è apparsa divisa sui grandi temi della politica internazionale, rispetto alle guerre in medio oriente ed alla crisi energetica che rischia di strozzare l’economia del Continente. Caduto il progetto di Trattato che aveva immaginato una Costituzione per l’Europa, troppo lungo e confuso, eppure ambizioso, la versione ridotta approvata a Lisbona costituiva una ragionevole soluzione ad alcuni problemi, a cominciare dalla decisione di puntare ancora sul Rappresentante europeo della politica estera non più chiamato Ministro degli esteri, ma in sostanza voce unitaria dell’Unione. Il fatto è che l’Europa sembra soffrire di due mali, entrambi gravissimi. Da un lato la ritrosia degli Stati membri di cedere ulteriori spazi di sovranità in favore del “governo” europeo, dall’altra la difficoltà della gente di percepire che l’Unione è per tutti gli europei speranza di sicurezza, stabilità economica, benessere. Forse non lo fanno capire i governanti, ma anche l’Europa ce la mette tutta per non farsi amare. Nella materia della sicurezza, ad esempio, che è quella percepita immediatamente dai cittadini, sembra che l’Europa s’impegni poco, come nel caso dell’immigrazione clandestina e della circolazione di persone poco raccomandabili. Stenta a prendere coscienza, ad esempio, che per alcuni reati, soprattutto finanziari, la collaborazione tra le polizie e le magistrature dovrebbe essere più concreta, con eliminazione di tutti gli ostacoli che in atto si frappongono al perseguimento degli illeciti, in danno degli Stati e dell’Unione. Anche il Parlamento europeo sembra lontano dai popoli che pure lo eleggono. Per le cronache dei giornali si occupa quasi solo di omosessuali quasi fosse ossessionato dalla loro richiesta di vedersi riconosciuto il “diritto” di sposarsi contravvenendo alla regola del diritto romano secondo la quale Nuptiae , come diceva Modestino, sunt coniunctio mari et feminae et consortium omnis vitae, divini et umani iuris comunicatio (D. 23, 2, 1). L’Europa, in sostanza, sembra a volte lontana dai popoli, tecnocratica, artificiale. Per cui non è amata. E questo rispolvera, qua e là, l’orgoglio nazionale che le classi dirigenti dei vari paesi non riescono a rendere funzionale allo sviluppo della stessa idea di Europa. Le singole storie, le tradizioni dei popoli del Continente dovrebbero essere il migliore carburante nel motore delle istituzioni comunitarie. Dovrebbero, ma non è così. Da quando si è rinunciato a rivendicare le “radici cristiane”, scritte nella storia di secoli di cultura e spiritualità, l’Europa sembra a molti una sovrastruttura che non entusiasma, della quale non s’intravede un futuro. E’ un impegno per i governanti. Far capire che l’Europa è un valore aggiunto per i singoli popoli. E dimostrarlo con fatti concreti. Un impegno in mancanza del quale è difficile fare concreti passi avanti. Senza una consapevolezza del valore unitario si procede a stento. Si guardi all’esperienza del nostro Paese. A quasi centocinquant’anni dalla proclamazione dello Stato unitario i localismi sono ancora fortissimi e le tradizioni delle singole regioni continuano ad essere motivo di divisione più che di unità.
15 giugno 2008

A proposito del previsto limite alle intercettazioni
“C’è un serio pericolo d’autogol”

di Senator

Così titola oggi Il Tempo il suo fondo firmato da Roberto Arditti, ma devi arrivare all’ultimo capoverso per capire quale sia il temuto “autogol”. Non quello che molti reati non vengano più perseguiti per difficoltà investigative, ma che la nuova normativa, se sarà approvata come è uscita dal Consiglio dei ministri, abbia “un unico effetto: rendere punibili i giornalisti”, per concludere che “non c’è nulla da guadagnarci”. E’ vero, ridurre la libertà di stampa è un errore enorme che mina la democrazia. Ma il problema è più ampio e più grave. Mi riservo di parlarne in commissione ed in aula a Palazzo Madama. Ed anche su questo giornale se, caro Direttore, continuerai ad ospitarmi.
14 giugno 2008

Anche nell’ordine pubblico si difende la Patria
La “riscoperta” delle Forze Armate

di Salvatore Sfrecola

L’Esercito, dunque, concorrerà al controllo del territorio in alcune grandi città, pattugliandole, specialmente di notte, secondo l’impiego che decideranno i Prefetti. E’ una scelta buona, attesa da tempo, anche per la vigilanza su alcuni palazzi del potere, com’è avvenuto in passato a Palermo, per alleggerire le Forze di Polizia e restituirle all’originario loro compito investigativo e di collaborazione con la Magistratura nel contrasto alla criminalità organizzata e comune. Si poteva fare da tempo. Ma i vertici delle Forze Armate hanno sempre disdegnato funzioni diverse da quelle del combattimento. Sbagliando, a mio giudizio perché le Forze Armate, l’Esercito in particolare, hanno grandi capacità operative in settori di interesse vitale per il Paese. Basti pensare alla Protezione Civile che avrebbe potuto essere completamente in mano al Genio ed alla Sanità militare che dispongono di uomini e mezzi per far fronte ad ogni emergenza, nell’organizzazione e nella gestione dei soccorsi. Di fatto, avviene che unità dell’Esercito vengano impiegate dal Dipartimento della Protezione Civile, ma spesso insieme ad imprese private che costano cifre imponenti all’Erario. Così la Marina collabora al controllo della frontiera sul Mare Mediterraneo per limitare l’immigrazione clandestina e proteggere le nostre unità pescherecce dalle prepotenze dei paesi rivieraschi. Adesso, evidentemente, è’ cambiata mentalità. Le Forze Armate, che un tempo ritenevano esclusiva loro competenza la difesa della Patria contro possibile aggressioni provenienti dall’Est, oggi, dopo la caduta del Muro di Berlino, hanno dovuto rivedere il loro ruolo. Così, secondo una tradizione, che in Italia risale a Cavour ed all’intervento del Regno di Sardegna in Crimea nella guerra (1853 – 1856) dei paesi occidentali a fianco dell’impero Ottomano contro la Russia, oggi le Forze Armate sono presenti in vari scacchieri nell’ambito di scelte di politica estera in paesi che ricercano pace e democrazia, Un tempo i generali rifuggivano da iniziative non strettamente ed esclusivamente militari. Ricordo un episodio, dei primi anni ’90 quando il Procuratore Generale della Corte dei conti, in occasione delle annuali udienze per il giudizio sul rendiconto generale dello Stato e sul conto del patrimonio, mise ripetutamente in risalto l’esigenza di di smantellare ogni manufatto abusivo sul demanio marittimo. L’avevo scritte io quelle requisitorie, come collaboratore del Procuratore Generale. Sicché, essendo contemporaneamente Consigliere giuridico del Ministro della marina mercantile (che errore abolire quell’Amministrazione che il Ministro Prandini voleva trasformare in ministero “del mare”, per concentrare in un unico polo ogni competenza riferita al mare ancora sparsa tra varie amministrazioni), preparai per il Ministro una lettera al Collega della difesa, l’On. Zanone, per sollecitare l’intervento del Genio militare laddove non era stato possibile eliminare manufatti abusivi nonostante il Tesoro avesse messo a disposizione i fondi necessari. Le ditte partecipanti alle gare venivano “dissuase” e, se non capivano, i loro mezzi rischiavano di andare distrutti, La risposta del Ministro Zanone fu negativa. Ricordo una conversazione nell’ascensore, a Palazzo Chigi, mentre i due ministri si recavano al Consiglio. “L’Esercito, disse più o meno, non ritiene che possa essere un’attività compatibile con il ruolo delle Forze Armate”. Un’occasione perduta. Anche altre occasioni avrebbero potuto mettere l’Esercito al centro dell’attenzione della gente. Immaginiamo alcune opere necessarie per assicurare un buon assetto idraulico-forestale a tante regioni del Paese in perenne emergenza. Ma anche il rimboschimento. Quanto avrebbe avvicinato il popolo al suo Esercito se i giovani italiani, allora di leva, con una rilevante professionalità, ingegneri, architetti, geometri, tecnici vari, fossero stati impiegati in alcuni servizi di primario interesse nazionale, per la sicurezza delle popolazioni! Non sempre i vertici dell’Amministrazione hanno la lungimiranza necessaria. Non sempre la stessa capacità ha la classe politica.
14 giugno 2008

Vigili a Roma
Tenente con fischietto!

di Salvatore Sfrecola

George W. Bush viaggia per una Roma blindata e, ovviamente, la Città si riempie di Carabinieri, Poliziotti e Polizia Municipale. Questi ultimi, in particolare, sono stati tanti nei due giorni della visita del Presidente americano. Ho sentito dire da molti, “venisse tutti i giorni Bush”, naturalmente non con riferimento al traffico caotico ma alla presenza su strada di tanti vigili urbani, quelli che un tempo noi romani chiamavamo “pizzardoni”, da “pizzarda”, il copricapo che li caratterizzava prima che fosse introdotto il casco che fa tanto milanese, anzi londinese. Ma sembra che, in realtà, sia ispirato all’elmo romano. Tutto torna qui, dunque. La forte presenza di operatori della polizia municipale ha messo in risalto un profilo organizzativo che non è solo del Comune di Roma ma di quasi tutte le pubbliche amministrazioni, civili e militari. Queste ultime (ad ordinamento sostanzialmente militare è anche la Polizia Municipale) rendono ancora più evidente quello che spesso segnalo, la disarticolazione delle qualifiche professionali e delle posizioni funzionali rispetto alla struttura organizzativa. E’ presto detto. Si sono visti in questi giorni, ma al centro di Roma è normale, operatori della Polizia Municipale rivestiti di “gradi” di Tenente o Capitano, dirigere il traffico, fischietto in bocca. Questo significa che il grado è del tutto svincolato dalla funzione svolta, una situazione che disarticola gravemente la struttura amministrativa. Questo avviene perché non si è voluto separare la progressione economica dallo sviluppo della carriera, con danni gravissimi per un’organizzazione di carattere gerarchico, come tutte le organizzazioni, civili e militari. Significa, in sostanza, che a comandare una compagnia, per fare un esempio di facile comprensione, non è un capitano, tradizionale comandante di compagnia, ma da un maggiore o più. Come nel caso di un corpo di polizia municipale al quale, pur formato da circa cento uomini, è preposto un ufficiale che riveste i gradi di generale di brigata. Quando nei film polizieschi scopriamo che la polizia di grandi città americane al più riveste il gradi di Capitano! E’ sulla base di questa confusione di funzioni e trattamento economico che l’Italia pullula di generali di corpo d’armata e di direttori “centrali” o direttori di “uffici autonomi” spesso con una “forza”, si direbbe in gergo militare, di appena una decina di unità. In sostanza neppure quella che un tempo era la dotazione di una sezione, quella ricordata dal mitico Carlo Campanini in Monsieur Travet, un film delizioso nel quale non si sente mai parlare di direttore generale. All’orizzonte, come lontanissimo “vertice” dell’Amministrazione si scorge un Commendatore che era solo un Direttore di divisione. Analoga esperienza aveva fatto Renato Rascel in Policarpo de Tappetti, Ufficiale di scrittura. Mi sembra abbastanza per avere la consapevolezza che con questa Amministrazione “di generali” non si va da nessuna parte. Infatti! Prof. Brunetta, sono questi i problemi veri, difficili da affrontare, difficilissimi da risolvere. Ma qui si vedrà la sua nobilitate.
13 giugno 2008

Intercettazioni
Il giallo dell’ordine del giorno del prossimo Consiglio dei ministri
E’ un decreto legge, forse sì, forse no. E’ un errore materiale.
In quattro lo siglano ma nessuno l’aveva letto. Basta crederci

di Senator

I proverbi sono la saggezza dei popoli, si sa bene. Anche nel caso degli “amici” dai quali “ci guardi Iddio”. Così, un giornale “amico”, spesso, anzi, stucchevolmente allineato su ogni cosa che il Cavaliere dice o pensa, Libero di oggi, per la firma prestigiosa di Oscar Giannino, rivela che Palazzo Chigi “ci aveva provato”, come si direbbe a Roma, facendo uscire un comunicato con l’ordine del giorno del prossimo Consiglio dei ministri nel quale il provvedimento sulle intercettazioni era indicato con la formula del decreto-legge, ossia di quell’atto che il Governo adotta ai sensi del secondo comma dell’art. 77 della Costituzione, “sotto la sua responsabilità”, “in casi straordinari di necessità e d’urgenza”. Dove la straordinarietà di intervenire, dove la necessità e l’urgenza? Forse che è in corso qualche intercettazione eccellente? Contrordine compagni, si diceva un tempo nelle barzellette che avevano ad oggetto i comunisti nostrani e stranieri, e da Palazzo Chigi arriva la smentita. E l'”orrore” diventa un “errore materiale” su un comunicato che reca quattro-firme-quattro, tutte illustri, per ruolo politico o istituzionale. Hanno firmato senza leggere? Impossibile! In alto campeggia un decreto-legge recante “norme sulle intercettazioni telefoniche giudiziarie” (Giustizia). E’ il promo provvedimento, quello che precede tutti, l’altro decreto-legge, i decreti presidenziali, i decreti legislativi, i disegni di legge. Nessun errore, dunque. Pomeriggio di tensioni tra Colle, Palazzo Chigi e partiti, Lega in testa, che sa rispondere, più di altri, alle aspettative della gente, che non s’interessa assolutamente delle intercettazione, per l’ovvia considerazione che intercettabili sono i politici che gestiscono disinvoltamente il potere, gli imprenditori concussi e quelli che corrompono. In questa vicenda che ha del penoso, punte penosissime sono state raggiunte da personaggi che sarebbero inimmaginabili in ogni democrazia occidentale, tranne che in Italia, dove si racconta di un ministro di qualche anno fa che avendo saputo che un suo amico era oggetto di intercettazioni, alza la cornetta e lo chiama per avvertirlo! Aspettiamo venerdì, la proposta del governo, poi vedremo cosa avviene in Parlamento. Una cosa è certa, molti di noi tra Palazzo Madama e Montecitorio faranno brutte figure, pur di compiacere il Cavaliere e dintorni.
12 giugno 2008

Orrore alla Clinica Santa Rita
Intercettazioni: i medici milanesi “smentiscono” Berlusconi e Alfano

di Iudex

Smentita a giro di posta al duo Berlusconi-Alfano da parte dei medici milanesi che si sarebbero resi responsabili del più ignobile dei reati, approfittando di gente malata per eseguire operazioni non necessarie solo per incassare il compenso del Servizio Sanitario Nazionale. Hanno smentito la scelta del governo di limitare le intercettazioni ad alcuni reati perché quell’ignobile congrega è stata identificata solo grazie ad intercettazioni. “Gli indagati – hanno detto i pubblici ministeri milanesi – parlano in modo esplicito della necessità di operare per guadagnare”. Smentita anche da chi ha studiato il problema e non si è fatto fuorviare dalla leggenda del “siamo tutti intercettati”. Come Luigi Ferrarella che oggi sul Corriere della Sera, in prima, ridimensiona i dati relativi al costo delle intercettazioni rileggendo in modo intelligente stanziamenti di bilancio e statistiche spiegando anche che “il numero dei decreti con i quali i gip autorizzano le intercettazioni chieste dai pm non equivale al numero delle persone sottoposte ad intercettazione”. Quanto al costo eccessivo delle intercettazioni Ferrarella spiega che è conseguenza di una disfunzione organizzativa. In tutto questo dibattito, che è destinato a rivelarsi un boomerang per il Presidente del Consiglio sensibile ai lai dei colleghi imprenditori corruttori o concussi, nessuno parla degli effetti positivi delle intercettazioni, come nel caso dell’inchiesta Antonveneta, nelle indagini sui sequestri di persona (clamoroso il caso Tacchella), fino alla milanese clinica Santa Rita venuta agli onori (si fa per dire) della cronaca grazie alle intercettazioni che hanno dimostrato l’illecito concorso in una serie di paurosi reati commessi a carico di malati, approfittando di persone deboli e bisognose. Incauto e sfortunato il duo Berlusconi-Alfano. Avrebbero potuto chiedere in giro per l’Europa ed oltre Atlantico dove le intercettazioni sono uno strumento ordinario per identificare i delinquenti. L’abuso e la diffusione illegale dei tabulati e delle trascrizioni, ovviamente, sono altra cosa, come la propalazione di notizie di corna ed altro che non interessano la giustizia. Ma forse non è questo il problema che si vuole risolvere. O, almeno, non appare questo.
10 giugno 2008

Sarà escluso anche il reato di corruzione?
Applausi degli industriali a Berlusconi che annuncia limiti alle intercettazioni telefoniche

di Iudex

Applausi scroscianti e convinti dei Giovani industriali della Confindustria riuniti a Santa Margherita Ligure all’annuncio di limitazioni all’uso delle intercettazioni telefoniche da parte dei magistrati inquirenti. Il premier aveva appena sottolineato il ”grandissimo calore” della gente, con un ”Il nostro gradimento è al 65%, che l’ovazione si è fatta da stadio all’annuncio dell’introduzione, nel prossimo Consiglio dei ministri, del ”divieto per le intercettazioni tranne che per la criminalità organizzata, la mafia, la camorra e il terrorismo. Cinque anni per chi le fa e anche una forte penalizzazione economica per gli editori che le pubblicano”. La limitazione ha lasciato allibiti gli osservatori politici e tutti coloro che hanno senso dello Stato. Rimarrebbero fuori, a parte i delitti di sangue, i delitti di corruzione e concussione ed i reati finanziari, fatti che il più delle volte è impossibile individuare se non con l’ausilio di intercettazioni telefoniche ed ambientali. E’ vero che la corruzione spesso è associata alla criminalità organizzata, ma non sempre. Per cui se la norma preannunciata divenisse legge dello Stato andrebbero esenti da ogni responsabilità coloro che corrompono un pubblico funzionario per ottenere un favore illecito. Una conseguenza inammissibile in un Paese serio. Un regalo all’opposizione ed a Di Pietro. Forse il premier non era del tutto compos sui, come potrebbe far pensare il lieve malore che l’ha colpito al termine del suo intervento, che evidentemente gli ha fatto un brutto scherzo. Ci auguriamo che sia colpa del caldo. Attendiamo il Presidente del Consiglio alla prova dei fatti. Il Ministro Alfano ha detto che le intercettazioni sono costose. Forse c’è un problema di ragionevolezza nell’uso delle intercettazioni, ma non è dubbio che esse siano necessarie, anzi indispensabili per scoprire gli autori di alcuni delitti (la già ricordata corruzione). D’altra parte quando s’inizia ad intercettare non sempre si sa bene quali dimensioni abbia il fatto illecito sul quale s’indaga. L’uscita di Berlusconi dimostra che il Presidente del Consiglio ha bisogno di consiglieri più saggi e, soprattutto, meno sensibili alle “preoccupazioni” di taluni settori dell’imprenditoria rampante abituata a lucrare su commesse pubbliche.
7 giugno 2008
P.S. Con questa nota inizia a collaborare al nostro giornale un noto docente universitario che per tanti anni ha indossato la toga del giudice con dignità ed onore. Lo ringraziamo per la fiducia che ha voluto riservare al giornale che gli garantirà ampia libertà di espressione del suo pensiero, che sarà sempre manifestazione di attaccamento alle istituzioni e di prudente valutazione dei fatti che interessano la giustizia.
Ma il Partito democratico dice no
Per completezza di informazione riportiamo la dichiarazione di Lanfraco Tenaglia, Ministro ombra del Partito Democratico: “Berlusconi perde il pelo ma non il vizio. Ridurre la possibilita’ di effettuare intercettazioni solo a determinati reati impedira’ alla polizia e alla magistratura di scoprirne e perseguirne altri non meno gravi come le rapine, le concussioni, le corruzioni, le truffe ai danni dello Stato”. ”Altro che sicurezza e certezza della pena -aggiunge Tenaglia-, con questo provvedimento non si fa altro che garantire impunità e intralciare il lavoro delle forze dell’ordine, che rischieranno addirittura di essere loro stesse incriminate, arrivando al paradosso di mettere in carcere il controllore al posto del controllato. Noi ribadiamo -conclude il ministro ombra del Pd – che siamo favorevoli ad una legge che, senza limitare lo strumento di indagine, garantisca però in maniera stringente la privacy dei cittadini”.

Il Presidente del Consiglio Berlusconi ha incontrato Papa Benedetto XVI
La famiglia al centro delle politiche per la crescita del Paese

di Paola Maria Zerman

La centralità della famiglia, nell’ambito delle politiche “per ridare fiducia e slancio all’Italia”, chiarissima nel discorso programmatico del Presidente del Consiglio, è stata ribadita dallo stesso Berlusconi in occasione dell’incontro di ieri con il Santo Padre, Papa Benedetto XVI. Palazzo Chigi ha fatto sapere, infatti, che “il Presidente Berlusconi ha confermato al Santo Padre la priorità attribuita dal Governo italiano, nella sua azione sul piano interno ed internazionale, ai valori di libertà e tolleranza ed alla sacralità della persona umana e della famiglia”. Poche ore prima dell’udienza privata, Berlusconi era intervenuto sugli schermi di Canale 5. “Noi siamo dalla parte della Chiesa – aveva sottolineato il premier intervistato da Maurizio Belpietro- crediamo nei valori di solidarietà, giustizia, tolleranza, rispetto e amore dei più deboli. Siamo sullo stesso piano su cui opera la Chiesa da sempre”. Un clima positivo, dunque, necessario, per riforme significative, come quella che la famiglia attende da anni, una revisione del sistema fiscale che consenta di tener conto in qualche misura degli oneri che i genitori sostengono per il mantenimento, l’educazione e l’istruzione dei loro figli. In pratica quello che si chiama “quoziente familiare”, che divide il reddito complessivo della famiglia per il numero dei propri componenti, un sistema che con le variabili opportune che tengano conto delle diverse realtà assicura il rispetto dell’art. 53 della Costituzione che impone al legislatore di tener conto della “capacità contributiva” dei soggetti fiscali. Mantenere, educare ed istruire i figli è, del resto, un diritto-dovere, che sta scritto in Costituzione perché la procreazione è un interesse pubblico, in quanto assicura alla Comunità nazionale il mantenimento dell’equilibrio demografico che consente di salvaguardare l’identità nazionale e di assicurare alla società buoni cittadini e bravi professionisti. Vedremo le prossime iniziative del Governo, sul piano della struttura di riferimento delle iniziative che saranno assunte in proposito, a cominciare da quelle di carattere fiscale di cui abbiamo fatto cenno e che vanno costruite con intelligenza per dare immediatamente il senso della novità, anche se la riforma dovesse avere tempi definiti dalla disponibilità delle risorse. Intanto attendiamo la concreta individuazione dell’autorità deputata ae esercitare l’indirizzo ed il coordinamento delle iniziative che riguardano la famiglia. Il Sen. Giovanardi, indicato all’atto della formazione del Governo come delegato alla materia della famiglia non ha ancora avuto la delega. Forse perché qualcuno vorrebbe attribuirla al Ministro Carfagna? Occorre una decisione in tempi brevi per poter partire subito con proposte concrete e di immediata efficacia.
7 giugno 2008

Tutto previsto, tranne che dal Sindaco
Parcheggi: la rivolta dei residenti

di Marco Aurelio

Era previsto e prevedibile da ogni persona di buon senso, tranne evidentemente che dall’Amministrazione capitolina, che la sospensione della sosta a pagamento avrebbe determinato disagio ai residenti. I quali hanno subito protestato, in particolare a Prati, quartiere “giudiziario”, perché, invasi da auto private che in pratica rendono impossibile parcheggiare. “Senza ticket non viviamo più”, dice al Corriere della Sera di oggi (a pagina 3 della cronaca di Roma), Roberto Tavani, Assessore all’Ambiente di Prati, ricordando il caos degli anni scorsi e gli “affari d’oro” dei posteggiatori abusivi. Tutto prevedibile e previsto, tranne che dall’Amministrazione capitolina. Che annuncia tempi lunghi per ripristinare i parcheggi a pagamento, dopo una sospensione che la sentenza del TAR non richiedeva al di fuori del quartiere Ostiense. Né lo richiedevano le casse del Comune di Roma!
5 giugno 2008

Immigrazione clandestina: ipocrisie e idee confuse
di Senator

Caro direttore, consentimi su questo giornale, che è diventato spazio di libertà intelligente e coerente, di fare alcune considerazioni sulla polemica di questi giorni intorno alla norma che introduce nel nostro ordinamento il reato di immigrazione clandestina. C’è molta approssimazione, tante ipocrisie, un pizzico di malafede e parecchia ignoranza. Veniamo al problema. E’ normale, perché così è stato sempre nella storia, basti pensare alle invasioni barbariche, che popoli lontani, in condizioni precarie di sopravvivenza, per il clima o per situazioni politiche, cerchino di migrare verso aree più fertili, dove è possibile godere di migliori condizioni di sopravvivenza. Un tempo si muovevano interi popoli, oggi la fuga dall’Africa, da alcune aree del Medio Oriente e dell’Europa ex comunista interessa famiglie, singoli, gruppi disomogenei, in fuga dalla fame e dagli orrori delle guerre che in molte aree oppongono tribù ed etnie. L’Occidente è la meta di questi disperati che giungono sulle coste dell’opulenta (ma non troppo!) Europa in cerca di lavoro e di una condizione di vita migliore, se non quella che le televisioni fanno conoscere, soprattutto agli europei dell’Est. Come governare questa situazione? In primo luogo una qualche immigrazione è utile, anzi necessaria, in paesi, come l’Italia, nei quali la natalità è ai minimi storici e rischia di far saltare i conti della previdenza, oltre a rendere difficili produzioni e commercio, soprattutto in agricoltura. Il fenomeno, tuttavia, va disciplinato. In primo luogo perché nessun paese ordinato può consentire l’ingresso nel territorio dello Stato senza controlli, che, nel caso degli immigrati, significa anche verificare che abbiano almeno una possibilità di lavoro. Per l’ovvia considerazione, che sfugge a molti dei commentatori “della domenica”, che in mancanza di lavoro l’immigrato è necessariamente indotto a commettere reati, dal furtarello al mercato per sopravvivere alla rapina. In una condizione di assoluta impunità data dalla clandestinità e, pertanto, dalla difficoltà di essere individuato. C’è anche, ignorato, un problema sanitario, rivelato dalla presenza tra gli immigrati di malattie che per gli italiani sono solo un ricordo da decenni. Occorre, dunque, una politica dell’immigrazione, che non può essere solo italiana ma europea, in quanto il fenomeno interessa quanto meno alcuni grandi paesi del Continente, oltre l’Italia, la Spagna, la Francia e la Germania. Una politica dell’immigrazione che consenta ingressi controllati, per qualità e quantità, in modo che siano assicurate condizioni di vita umane a quanti vengono in Italia. Anche per i motivi di sicurezza ai quali si è fatto cenno. Qui viene in ballo la questione dell’accoglienza, della umana carità che deve caratterizzare un paese civile, soprattutto se si vanta di una antica civiltà e di un radicamento spirituale forte. Ma non si può essere ipocriti. La politica di attenzione alle condizioni delle popolazioni povere sollecitate all’immigrazione nei paesi “ricchi” si può fare in tanti modi. Oltre ad accogliere chi può lavorare è necessario attuare politiche che consentano lavoro anche nei paesi di provenienza, aiutando le loro economie con una politica di incentivazione di produzioni e di attività commerciali che consentano uno sviluppo economico delle aree interessate. Capisco l’obiezione e le difficoltà. L’obiezione è quella che potrebbe attuarsi una sorta di colonialismo economico se imprese dei paesi occidentali andassero a produrre in Africa o nell’Est, come in parte avviene già, a costi competitivi. La difficoltà sta nelle elite al potere in quei paesi, dove predomina corruzione politica ed incapacità di gestione delle risorse. Tuttavia non si può essere ipocriti. L’unico modo di frenare massicce fughe dai paesi poveri che pongono gravi problemi di ordine pubblico in Europa è quello di far diventare quei paesi un po’ meno poveri, contribuendo a migliorare le condizioni di vita delle popolazioni locali. E’ carità cristiana e intelligente politica della gestione delle risorse umane nel mondo. Con questa apertura necessaria non contrasta la normativa severa sull’immigrazione clandestina, fino alla introduzione del reato di ingresso clandestino nello Stato, previsione sulla quale oggi molti si stracciano le vesti, dimostrando di non aver compreso le dimensioni del fenomeno, di avere scarsa dimestichezza con le regole del diritto, a cominciare dai principi che sono scritti in Costituzione. In primo luogo lo strumento deve essere adeguato all’obiettivo. La normativa della legge Bossi – Fini si è dimostrata inadeguata sotto il profilo della deterrenza, che accompagna sempre e necessariamente ogni sanzione, sia penale o amministrativa, e della sua pratica applicazione. Le espulsioni sono teoriche e ledono l’immagine dello Stato e gravano pesantemente sul bilancio dello Stato. Inoltre l’uso di sanzioni amministrative in una materia che riguarda la libertà delle persone è stata giustamente censurata dalla Corte costituzionale che ha rilevato l’assenza delle garanzie che sono proprie nel nostro ordinamento delle sanzioni con effetti sulla libertà delle persone. Non sarebbe accaduto se si fosse fin dall’inizio introdotto un reato specifico, da applicare con una di quelle procedure semplificate che il nostro ordinamento conosce ma circondate dalle garanzie necessarie. Ha prevalso, e sembra prevalere in questi giorni per interventi incongrui dell’ONU e di personaggi vicini ad ambienti ecclesiastici, un’ipocrita censura della scelta penalistica legati ad una cultura che non è giuridica e neppure “dell’accoglienza”. a meno che non si vuole accogliere chiunque, infischiandocene se muore di fame e, pertanto, necessariamente è spinto a delinquere. Pur non essendo titolato ad esprimere valutazioni in punto di religione, devo dire che non è carità cristiana questa indiscriminata apertura fonte di disagi gravissimi per gli immigrati e per la popolazione residente (per loro nessuna carità, nessuna comprensione, nessuna umana attenzione?), mentre è gravissimo il danno all’immagine ed al prestigio dello Stato che porta con se altre gravissime disfunzioni. Quando lo Stato è privato della sua autorevolezza tutto è consentito, dal reato comune all’evasione fiscale. Da ultimo il reato di ingresso clandestino nel territorio dello Stato, oltre a non essere una novità nel cielo del diritto, perché presente nell’ordinamento di molti stati esteri, arieggia una fattispecie già prevista dal nostro codice penale, il reato di ingresso arbitrario in luoghi dove l’accesso è vietato nell’interesse militare dello Stato (art. 682 c.p.). E’ chiaro che è cosa diversa. Ma è evidente che i confini dello Stato sono materia sensibile sotto il profilo della sicurezza e, quindi, anche militare. La questione è seria e va trattata seriamente. In tutti i suoi aspetti, dell’aiuto nelle terre d’origini di questi disperati, dell’accoglienza, della sicurezza dei cittadini. Questione seria che è bene sia affrontata da chi ha le idee chiare, conosca l’economia e il diritto ed abbia buon senso. Merce sempre più rara in questo Paese.
4 giugno 2008

Evoluzione e futuro dell’uomo
di Oeconomicus

Tra cento anni, solo fra cento anni, come sarà l’uomo che abiterà il nostro Pianeta? Come sarà l’uomo di un Pianeta diverso da quello naturalmente concepito, con piogge acidulate da anidride solforosa, fiumi sterilizzati da perborato di sodio, mari deflorati da idrocarburi e zolle aggrovigliate da polietilene’. Ne consegue che è l’uomo a costruire una nuova Terra. L’uomo con la sua imperfetta razionalità, modifica l’Habitat avuto in eredità, e con gli innumerevoli strumenti derivati dalle conquiste dell’indagine scientifica, si accinge a ristrutturare anche la impalcatura della genetica. Spingiamo questo concetto al limite, e noteremo che l’uomo corre il grosso rischio di trovarsi in un ambiente da lui stesso plasmato a suo gradimento, ma in effetti ben lontano da quell’ Habitat a misura d’uomo che lui stesso si proponeva di realizzare. Ma è innegabile che un lungo periodo di permanenza in questo ambiente finirà col contaminare la sfera interiore dell’uomo, la sua stessa struttura organica e spirituale. Cicerone aveva sentenziato “ Historia magistra vitae”, ma la storia non è affatto maestra di vita- perché se lo fosse, gli uomini non continuerebbero gli stessi errori. Il discorso è complesso; non è semplice e non deve essere frainteso. Le osservazioni scientifiche, volte alla ricerca più avanzata, non devono mai allontanarci da quegli intendimenti democratici ed umani che devono sostenere sempre ogni scelta sociale, politica o filosofica, scelta che deve avere per obiettivo il benessere di tutti gli uomini, dell’intera collettività. Molte correnti filosofiche sostengono che l’evoluzione è iniziata nel momento stesso della nascita della terra, di conseguenza non si potrebbe mai parlare di involuzione. Ma per alcuni sociologi oggi l’individuo è culturalmente arretrato, e si citano le grandi crisi del sapere, crisi del libro, crisi delle arti, crisi della comunicazione. La solitudine oggi è catalogata come male sociale, anzi uno dei più angoscianti. Questa situazione innesca nell’individuo riflessione egoistiche, mentre sarebbe necessario una ricerca dell’aggregazione. La gente accusa grossi problemi materiali e spirituali, per non parlare del problema della fame. A tal proposito i leader mondiali oggi presso la FAO puntano a combattere la grave crisi alimentare della storia moderna, il messaggio del Santo Padre dovrebbe far pensare rivolgendosi a tutto il mondo nella risoluzione di una strada comune.
3 giugno 2008

Abolita la sosta a pagamento
Purché a Roma non torni il far west dei posteggiatori abusivi

di Marco Aurelio

La sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, Sez. II, n. 218 del 28 maggio 2008, che ha dichiarato illegittimi e, pertanto, annullato perché “viziati da eccesso di potere per carenza istruttoria e difetto di motivazione”, le deliberazioni comunali sulla delimitazione delle aree con sosta a pagamento, che il Comune ha fatto sapere di non voler appellare, apre un periodo d’incertezza che rischia di avere effetti gravi sulla gestione del traffico e sulle casse dell’Amministrazione capitolina. L’art. 7 del codice della strada, ricordano i giudici, consente all’Amministrazione comunale di creare parcheggi a pagamento, a condizione che vengano contemporaneamente realizzati, nelle immediate vicinanze, parcheggi gratuiti. La norma, tuttavia, consente l’istituzione di parcheggi a pagamento senza la contemporanea istituzione di parcheggi gratuiti solamente nelle zone di particolare rilevanza urbanistica, opportunamente individuate e delimitate dalla giunta, nelle quali sussistano esigenze e condizioni particolari di traffico. Ebbene nell’area Ostiense X-C il Comune di Roma ha fatto installare parcheggi a pagamento (con orario fino a notte inoltrata) senza riservare alcuna area a parcheggio libero. Inoltre le strisce blu (indicative delle piattaforme di parcheggio a pagamento) “sono state istituite persino su vie secondarie, prive di abitazioni e di negozi”. Nell’accogliere il ricorso il TAR ha spiegato che “la delibera non chiarisce la specifica ragione per la quale a zona è stata definita di particolare rilevanza urbanistica” essendosi limitato il Comune “a richiamare uno studio che non risulta allegato al provvedimento” e “che in ogni caso… non appare affidabile essendo stato realizzato, per espressa ammissione della stessa Amministrazione, proprio dalla societa’ s.t.a. s.p.a., la quale non e’ un soggetto terzo (ed imparziale), avendo un evidente interesse alla realizzazione dei parcheggi a pagamento”. In sostanza, concludono i giudici amministrativi “non v’e’ traccia – agli atti di causa – di uno studio che dimostri, con dati obiettivi, come (ed in base a quale criterio) il numero dei parcheggi sia stato commisurato al fabbisogno effettivo; ed in che modo le esigenze dei residenti siano state considerate”. La sentenza si presta a varie riflessioni.
In primo luogo attesta della superficialità con la quale è avvenuta l’individuazione delle aree di sosta a pagamento in rapporto alle esigenze dei residenti. Ma i residenti sostano gratuitamente, per cui se ne deve dedurre che i giudici amministrativi abbiano fatto una riflessione non esattamente esplicitata.
In secondo luogo la scelta del Comune di sospendere immediatamente in tutta la Città la sosta a pagamento, che può essere considerata una misura prudenziale per evitare un nuovo contenzioso anche sulle multe eventualmente elevate, apre una falla nel bilancio dell’Amministrazione capitolina, ma preoccupa per altri versi. Innanzitutto perché fa intravedere, se non saranno adottate decisioni in tempi brevissimi, un nuovo far west nelle aree centrali nelle quali, fino all’istituzione delle strisce blu era praticamente impossibile parcheggiare se non affidandosi ai posteggiatori abusivi, un ricatto su tutta la Città che una popolazione civile ed un’Amministrazione seria non possono accettare ed ammettere. Attenzione, dunque, neosindaco Alemanno che appare rispettoso della sentenza dei giudici amministrativi, con un pizzico di demagogia per aver dall’opposizione contestato le scelte che oggi la sentenza condanna. La Città, tuttavia, va amministrata e quello dei parcheggi è senza dubbio uno dei temi caldi, per la fruibilità delle aree centrali e di quelle dove sono insediamenti pubblici e servizi che esigono la possibilità per i cittadini di recarvisi. Per contenere l’inquinamento delle migliaia di auto che girano per le strade alla ricerca spasmodica di un posto. L’Amministrazione deve trovare nuovi spazi, anche con parcheggi sotterranei sfruttando ad esempio le zone collinari nelle quali non si corre il rischio di trovare reperti archeologici, come vicino al tribunale, a piazzale Clodio, usando la collina di Monte Mario all’interno della quale è possibile creare un immenso parcheggio. E’ una sfida che il Sindaco deve affrontare in tempi brevi, anzi brevissimi, Per non dare l’impressione di lasciare la Città in mano ai posteggiatori abusivi ed a quelli privati a pagamento dove mezzora costa come un aperitivo nel primo bar di Roma.
1° giugno 2008

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