sabato, Aprile 20, 2024
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Il partito dei balneari alla sfida dei cittadini-contribuenti

di Salvatore Sfrecola

“Il governo chiede alla Ue di graziare i balneari” (Libero); “La priorità di Fratelli d’Italia è salvare ancora i soliti balneari” (Domani); “Il governo studia il regalo ai balneari: nuova proroga” (Il fatto quotidiano); “FdI sui balneari “Stop alle gare”. Grana per Meloni: dovrà opporsi” (La Repubblica); “La rincorsa sui balneari dopo la spia rossa dei sondaggi” (Il Sole 24 Ore).

I titoli sono significativi. Immaginano un “partito” dei balneari che sarebbe impersonato da ambienti di Fratelli d’Italia, della Lega e di Forza Italia. Il Sole 24 Ore ipotizza una preoccupazione per quei piccoli segnali indicati “dalla prima Supermedia Agi-Youtrend del 2023 che danno una leggera flessione per la premier – (-0,7)”. Per cui sarebbe in atto un tentativo del Ministro Fitto di trattare con Bruxelles “per disinnescare un altro scontro con un pezzo di lettorato di destra”, come scrive Lina Palmerini sul quotidiano della Confindustria.

Vediamo di capirci un po’. I “balneari” sono i titolari di attività imprenditoriali, molto spesso a carattere familiare, che gestiscono stabilimenti che sulle spiagge esercitano attività turistico ricreative, con gestione di servizi di assistenza ai bagnanti, fornendo loro ombrelloni, sedie sdraio o lettini, ed attività di ristorazione e bar. Si tratta di attività importanti in un Paese che ha migliaia di chilometri di coste lungo le quali si sviluppa un turismo marinaro, interno ed internazionale, che costituisce una importante componente dell’economia del Paese. Tutto l’anno. Perché al Sud si va al mare praticamente da maggio ad ottobre e comunque, anche d’inverno, bar e ristoranti fronte mare sono un’attrattiva ovunque, non solamente nei fine settimana.

I gestori di stabilimenti balneari sono titolari di una concessione demaniale marittima. Cioè lo Stato mette a loro disposizione una parte della proprietà pubblica, la spiaggia, perché svolgano la loro attività a fronte del pagamento di un canone che, come tutti sanno, è particolarmente contenuto, per non dire, nella maggior parte dei casi, irrisorio. Ricordo che, in occasione del giudizio sul conto generale del patrimonio dello Stato, che dà conto dei dati della gestione dei beni pubblici, nel 1992, la Procura Generale della Corte dei conti segnalò, come esempio di cattiva amministrazione, il caso di una baia concessa per attività di acquacultura ad un canone di 650.000 lire l’anno. Ne parlarono tutti i giornali.

Questa categoria di imprenditori privilegiati dallo Stato deve oggi fare i conti con la direttiva n. 2006/123/CE del Parlamento europeo, nota come Bolkestein, dal nome del suo presentatore, che si propone di eliminare le barriere allo sviluppo del settore dei servizi tra gli Stati membri, garantendone una crescita sostenibile che rafforzi ancora di più l’integrazione tra i cittadini della Comunità e migliori il tenore e la qualità della vita dei cittadini e lavoratori anche attraverso la semplificazione delle procedure amministrative. Il comparto “servizi” assicura il 70% dell’occupazione in Europa, e la liberalizzazione delle attività, a detta di numerosi economisti, aumenterebbe l’occupazione ed il PIL dell’Unione Europea.

La direttiva è stata recepita dall’Italia con il decreto legislativo n. 59/2010 ma ancora non ha trovato applicazione in quanto il Governo italiano ha prorogato più volte la sua entrata in vigore sulla spinta degli interessati, preoccupati che la disciplina della concorrenza, che la direttiva ue richiede, con la messa a concorso le spiagge, priverebbe moltissime imprese (perlopiù a conduzione familiare) dell’unica fonte di guadagno. La tesi che ricorre su alcuni giornali, avallata da alcune forze politiche, è che la disciplina della concorrenza sarebbe un mezzo per “espropriare i legittimi concessionari al fine di svendere le spiagge ad investitori stranieri” i quali, s’immagina, potrebbero fare offerte più vantaggiose per lo Stato.

Questo il quadro. Partendo dalla operatività della direttiva Bolkestein, sulla quale si è pronunciata la magistratura amministrativa, Tribunali Amministrativi Regionali e Consiglio di Stato. Questo in Adunanza Plenaria (nn. 17 e 18 del 9 novembre 2021) ha ritenuto immediatamente applicabile la direttiva. Conclusione contestata, ritenuta frutto di una “invasione di campo”, e, pertanto, impugnata dinanzi alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione per illegittimo superamento, da parte della Plenaria, della propria competenza giurisdizionale.

Alle stese conclusioni dei giudici di Palazzo Spada Tesi è giunto il T.A.R del Lazio – Sez. II bis 11.5.2022, n. 5869 e Sez. II, 1.6.2022 n. 7173 – che ha ritenuto, in particolare nella seconda sentenza, che “la disciplina dell’articolo 12, paragrafo 2, della direttiva 2006/123/CE – come interpretata dalla Corte di giustizia europea nella sentenza 14 luglio 2016, causa C-458/14 e C-67/15 – sia direttamente applicabile nell’ordinamento interno, a prescindere dalla sussistenza di un “interesse transfrontaliero certo”, in quanto oggetto di “armonizzazione esaustiva” o “completa” da parte del legislatore dell’Unione”. In sostanza, la direttiva Bolkestein ha natura “self-executing”, essendo caratterizzata da un livello di dettaglio sufficiente per essere applicata nel nostro ordinamento  con la conseguenza che “non è compatibile con il diritto dell’Unione la (…) disciplina nazionale avente ad oggetto o per effetto l’indiscriminata proroga dell’efficacia delle concessioni riguardanti l’uso esclusivo delle aree demaniali marittime (o lacuali o fluviali)”.

Ma vediamo quali sono le obiezioni in fatto degli attuali concessionari. Abbiamo detto del timore di perdere la concessione nel caso non riescano a offrire una somma maggiore dei loro concorrenti. Preoccupazione ragionevole a fronte della quale i governi, anziché ricorrere a rinvii, avrebbero dovuto disciplinare l’applicazione della direttiva per assicurare una effettiva par-condicio dei partecipanti alle gare riconoscendo, ad esempio, un valore agli impianti in essere o ad una sorta di avviamento. Di fantasia i giuristi ne hanno sempre tanta, ma la riforma non può essere ulteriormente rinviata per soddisfare interessi privati.

Le attività turistico ricreative sono nella maggior parte dei casi fortemente remunerative, come è stato accertato in più occasioni dalla Guardia di Finanza, a fronte di investimenti di varia dimensione e di varia capacità ricettiva e di canoni di concessione estremamente modesti. Ricordo, al riguardo, che nei primi anni ’90, quando un tratto di spiaggia, in una località della Puglia, fu messa all’asta ci fu chi offrì un miliardo di lire, cifra che fa intendere quanto l’interessato immaginava di guadagnare.

E qui ci sono due “scuole di pensiero” che occorre richiamare per comprendere le ragioni dell’interesse pubblico fin qui trascurato. Un primo orientamento sostiene che i concessionari svolgono una funzione pubblica importante perché curano la pulizia dell’arenile. E questo giustificherebbe l’esiguità del canone demaniale. C’è, invece, chi ritiene che queste attività, fortemente remunerative, debbano comportare una entrata al bilancio dello Stato-proprietario adeguata al valore del bene demaniale, al pari di quella che pretenderebbe un privato che desse in locazione un immobile di proprietà. E per richiamare l’argomento della pulizia della spiaggia e farne comprendere l’assurdità, si può fare l’esempio di un immobile demaniale destinato ad albergo od a ristorante. È evidente che il gestore dovrebbe rispettare le norme di igiene e di sicurezza dei locali e degli impianti e non per questo il canone dovrebbe essere ridotto.

Infine, è certamente giusto, agli occhi del cittadino-contribuente, che il bene pubblico destinato ad uso commerciale debba rendere un’entrata adeguata al suo valore di mercato perché è un bene di tutti e l’utile che deriva dalla sua utilizzazione deve giovare a tutti consentendo al bilancio dello Stato di disporre di risorse per altri servizi di interesse comune o per la riduzione delle imposte. Canoni irrisori ed evasione fiscale sono, infatti, un torto grave, un’ingiustizia intollerabile ai danni dei cittadini onesti che pagano le imposte. La politica scelga la strada della giustizia agli occhi del cittadino e se verrà meno qualche voto di chi non comprende le ragioni dell’equità sociale ne conquisterà altri, e di più, dalle persone oneste.

1 commento

  1. Caro Salvatore,

    condivido il tuo pezzo, sui balneari,come condivido altri,che non commento,per mancanza di tempo. Sui gestori delle spiagge,dico quanto segue:1 come nopto,lo Stato,cioé noi,non guadagna quasi nulla da tali concessioni; 2 le spiagge in concessione,tranne lodevoli eccezioni, non sono affatto tenute bene;
    il personale è,spesso,arrogante e maleducato; 3 troppo spesso,parlo della Puglia,Salento in testa, i convcessionarii troppo spesso ABUSIVAMEMTE, ampliano gli spazi a loro concessi,tanto è vero che alcuni
    concessionarii vengono multati,si legga la stampa locale,che ne dà notizia,basterebbe che le Capitanerie di Porto aguzzassero la vista.
    Proposta: lo Stato esiga canoni adeguati ai guadagni; controlli l’operato dei gestori; garantisca il diritto alla banale passeggiata nei metri(8 ? ) tra gli ombrelloni ed il mare,impedendo,così al cittadino di esserne scacciato. Gli stessi doveri,è ovvio,sono in capo agli Enti Locali. Mi fermo qui. Per ora.
    Michele D’Elia

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