sabato, Luglio 27, 2024
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La Domenica del Direttore

A Napoli la Biblioteca Nazionale potrebbe cambiare nome. Da quello di un Re a quello di un filosofo. Nei giorni scorsi il “Comitato 9 gennaio”, di cui fanno parte tra gli altri la Comunità ebraica di Napoli, ha presentato una lettera-appello affinché la Biblioteca Nazionale di Napoli non sia più intestata a Vittorio Emanuele III, com’è da quasi un secolo. Cambiare nome si può, sottolinea Il Mattino. L’Istituzione dovrebbe prendere il nome di Benedetto Croce, filosofo, storico, abruzzese legato a Napoli. In proposito, il ministro della cultura Gennaro Sangiuliano, in visita a Pompei, rispondendo ai cronisti ha detto: “in linea di massima sarei favorevole, però poi come tutte le cose vanno studiate giuridicamente, bisognerà verificare la praticabilità di questa ipotesi che da un punto di vista morale mi vede d’accordo”.

Il Mattino ha anche registrato la soddisfazione del promotore del documento Nino Pirozzi “un grande passo in avanti per la città, che dopo ottant’anni si riappropria di un pezzo della sua storia usurpato da un sovrano che non poteva rappresentare la città delle quattro giornate e ancor meno l’Italia”.

Nella Città che ha sostituito San Paolo, l’Apostolo delle Genti, nella intitolazione dello Stadio di calcio con un grande calciatore, Diego Armando Maradona, caro al tifo cittadino e non solo, ben si può sostituire nella intestazione di una grande istituzione culturale un Grande Re con un Grande filosofo.

Quel che non va bene è la motivazione che vorrebbe adottare il dottor Nino Pirozzi. Padovano, laureato in Sociologia all’Università “Federico II” di Napoli, giornalista professionista, direttore della Collana “Fatti&Misfatti” della Casa editrice “Cento Autori”, a Pirozzi mancano tuttavia alcuni dati storici, quanto alla rappresentatività della Città da parte del Re Vittorio Emanuele III. Che, in primo luogo, è nato proprio a Napoli l’11 novembre 1869, come vollero i genitori, l’allora Principe ereditario Umberto di Savoia e la Principessa Margherita, proprio per rinforzare, a pochi anni dalla fondazione del Regno d’Italia (1861), il legame di Casa Savoia con l’ex capitale del Regno delle due Sicilie e città dalla grande cultura europea.

In secondo luogo, Vittorio Emanuele è il Re della svolta liberale, attuata con l’assunzione al trono dopo l’assassinio del padre, ed è il Re della Grande Guerra, il “Re soldato”, impegnato a compiere l’unità del Paese con il ricongiungimento alla Madre Patria di Trento e Trieste. Ed è anche il Re che, nello sfacelo di una guerra perduta e nel dramma dell’occupazione nazista, ha saputo far sopravvivere lo Stato nella sua continuità trasferendosi a Brindisi dopo la firma dell’armistizio con gli anglo-americani.

Detto questo, come si è passati dal Santo al Calciatore si può passare dal Re al Filosofo che fu del Re Ministro, Senatore del Regno e monarchico convinto anche in tempo di repubblica. Legga, in proposito, il Pirozzi il discorso di Benedetto Croce in Assemblea Costituente, il 21 giugno 1947, quando, a nome del Partito Liberale, assicurò la fiducia al Governo: “un’altra parola ho udito enfaticamente pronunziare, quella di Repubblica, con la trepidanza per la sua incolumità e l’appello a difenderla, sentimenti che mi parvero effetti di una esagerata paura o sospettosità. Comunque, se questa sospettosità pensa di rivolgersi verso quelli di noi liberali che apertamente si manifestarono favorevoli all’istituto monarchico e per esso votarono (e di quei cotai son io medesmo), noi preghiamo di smetterla come del tutto fuori luogo, perché, in quella difesa e in quella votazione, sempre dichiarammo che avremmo accolto e rispettato il responso delle urne, come abbiamo fatto e faremo, perché noi abbiamo una parola sola, e per noi d’Italia è oggi non altro che una repubblica da servire seriamente. Certo il nostro passato non è quello dei repubblicani che da bambini ebbero nella loro famiglia il cappuccetto rosso e i giochi infantili repubblicani, simili alle bambole che erano messe nelle mani della bambina che fu poi la monaca di Monza, e che erano vestite da monache. Noi ci educammo nella tradizione del Risorgimento, che ebbe la sua ultima e grande voce nel poeta del Piemonte e della Bicocca di San Giacomo, Giosuè Carducci, e dobbiamo riverenza a questi nostri nobili affetti”.

È abbastanza.

Ritengo che il fondatore del pensiero di Destra sia Dante Alighieri. Così Gennaro Sangiuliano, Ministro della Cultura, il quale sente di fare in proposito un’affermazione “molto forte”. Ma è certo che l’origine “del pensiero di destra nel nostro paese sia Dante Alighieri, perché quella visione dell’umano, della persona, delle relazioni interpersonali che troviamo in Dante Alighieri, ma anche la sua costruzione politica che è in saggi diversi dalla Divina Commedia siano profondamente di destra. Quindi la destra ha cultura, deve soltanto affermare questa cultura”.

Nel pantheon della cultura di destra secondo il ministro, dunque, non ci sarebbero soloGiuseppe Prezzolini, Leo Longanesi o Gabriele D’Annunzio. Ben prima sarebbe stato Dante Alighieri a gettare le fondamenta del pensiero conservatore italiano. Alla convention di Fratelli d’Italia a Milano sulla presentazione dei candidati per le prossime Regionali, Sangiuliano intervistato dal condirettore di LiberoPietro Senaldi, è tornato su questa affermazione che considera “molto forte”. “Ma penso à ha aggiunto – che Dante Alighieri sia stato il fondatore del pensiero conservatore italiano”.

Evocato il padre della lingua italiana, Sangiuliano è quindi tornato sulla battaglia contro i termini esterofili del parlato comune, provando a spiegare ancora una volta come vorrebbe rivalutare un vocabolario più italico: “Non come i francesi che neanche chiamano così il computer, però dobbiamo renderci conto ed essere all’altezza della nostra grandezza”. L’obiettivo secondo Sangiuliano non sarebbe quella di creare un’egemonia di destra contro quella gramsciana di sinistra, ma una “cultura della nostra nazione”. A cominciare evidentemente da Dante “padre della destra”. Un’idea che scatenerà inevitabili polemiche: “Quella visione dell’umano della persona la troviamo in Dante – prova a spiegare il ministro – ma anche la sua costruzione politica credo siano profondamente di destra. Ma io ritengo che non dobbiamo sostituire l’egemonia culturale della sinistra, quella gramsciana, a un’altra egemonia, quella della destra. Dobbiamo liberare la cultura che è tale solo se è libera, se è dialettica”.

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