venerdì, Marzo 29, 2024
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Se il governo rinuncia a professionalità ed esperienze

di Salvatore Sfrecola

Riferiscono i giornali che, nel corso del Consiglio dei ministri di ieri, sarebbe stata respinta la proposta di abrogare la norma della cosiddetta “legge Madia”, Ministro dell’Amministrazione del governo Renzi, che impedisce ai pubblici dipendenti pensionati di assumere incarichi retribuiti nelle pubbliche amministrazioni. Sembra che le argomentazioni a sostegno di questa opposizione siano così riassumibili: la gente non comprenderebbe il senso di una norma che “favorisce” pensionati; e che comunque sarebbe contraria all’esigenza di fare spazio ai giovani. Insomma chi è stato “rottamato”, secondo l’espressione usata da Matteo Renzi, volgare perché riferita a persone, non deve essere utilizzata per funzioni di “diretta collaborazione” nei confronti di autorità di Governo.

Riassunto così il tema, e premessa la mia personale simpatia e stima per il Presidente del Consiglio e per gran parte degli esponenti del Governo che conosco personalmente, vorrei svolgere alcune considerazioni per avere io, insieme ad altri, nella qualità di Presidente dell’Associazione Nazionale dei Magistrati e degli Avvocati dello Stato in pensione, suggerito la rimozione della norma di cui stiamo parlando. Spiegando che quella norma non ha nessuna ragione di essere. Infatti, si tratta di una mera possibilità della quale il Governo potrebbe non servirsi ove non ritenesse di attribuire l’incarico di Capo di gabinetto, Capo dell’ufficio legislativo o Consigliere giuridico ad un “giovane” pensionato, perché di questo si tratta. Perché sarebbe difficile immaginare un illustre magistrato o professore universitario ultraottantenne costretto a dodici e più ore di presenza in ufficio, sottratto al piacere degli studi o alle gioie familiari. Nessuno si candiderebbe. Una consulenza si può fare, un impegno di ore no.

La logica della abrogazione di una norma in assenza della quale vi erano state in passato pochi casi di impiego di pensionati per incarichi di consulenza, va ricercata nella semplice possibilità della quale il Governo si sarebbe riappropriato, di impegnare delle persone che per professionalità ed esperienza possono essere utili all’esercizio dell’attività amministrativa e di governo in settori che richiedono, nell’interesse dello stesso Governo, particolare competenza ed esperienza. Semplicemente una possibilità. Escluderla a me sinceramente, con tutto il rispetto per chi è contrario, pare una grande sciocchezza. E spiego anche il perché. Un magistrato o un alto dirigente dello Stato a riposo, oltre alla competenza professionale e all’esperienza ha anche un altro requisito prezioso, quello di non essere legato all’esigenza di dire sempre sì alla personalità politica che fosse chiamato a coadiuvare.

E questo conferma la scarsa esperienza degli attuali membri dell’Esecutivo. Chi conosce un po’ la storia delle amministrazioni, sa che alcuni ministri hanno passato guai giudiziari o sono stati coinvolti in inchieste giornalistiche per il fatto che i loro collaboratori avevano la cattiva abitudine di dire sempre sì. Sono i famosi yes man, categoria numerosissima intorno alle stanze del potere. Personaggi pericolosissimi, preoccupati soprattutto di perdere il posto al quale, invece, affidano sovente speranze di carriera e la possibilità di aiutare parenti ed amici.

Io invece sono convinto da sempre, forse per aver imparato da amici e parenti con rilevanti responsabilità amministrative, che un buon collaboratore di una personalità politica deve avere la capacità, studiata la questione, di dire “Signor Ministro, questa cosa non si può fare”, perché “la legge non lo consente” o perché “inopportuna”, perché potrebbe esporre la personalità a critiche politiche o giornalistiche. Ferma, ovviamente, la scelta politica.

Ricordo, in proposito, che quando segnalai ad un autorevole collega, ilk quale rivestiva un ruolo importante alla Presidenza del Consiglio, che una modifica normativa in fieri era incostituzionale e che sarebbe stato opportuno evitare l’iniziativa per cui, a mio parere, avrebbe dovuto parlarne col Presidente o col Sottosegretario mi sentii rispondere “no, non ne parlo. Io, al massimo, sussurro”. Probabilmente non sussurrò neppure. Risultato, la norma fu approvata, la stampa se ne impadronì per una critica al Governo che si poteva evitare, la Corte costituzionale la cassò.

Allora cara Presidente Meloni, cari Ministri, di queste persone non avete bisogno. È bene, invece, avere all’occasione il consiglio di uomini liberi, con professionalità ed esperienza, meglio se ideologicamente vicini, il che non guasta. Non vado oltre perché le fotografie degli staff ministeriali, al cambio dei governi, sono straordinariamente coincidenti.

Conclusione. Mantenere la “legge Madia” è un errore. E gli errori prima o poi si dimostrano tali.

1 commento

  1. Caro Salvatore,

    condivido il tuo pezzo Non mette conto di perdere tempo a scrivere
    dei miseri personaggi,alcuni anche colleghi,si fa per dire,che ho conosciuto nella mia carriera
    di Preside. Non ho mai legato con costoro,ma l’Amministrazione ed i sindacati ed i partiti,sì.
    Michele D’Elia

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