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Il Fisco ha bisogno di più personale ma non assume i candidati idonei

di Salvatore Sfrecola

Il fisco sarà uno dei temi forti in campagna elettorale. Lo impone soprattutto l’esigenza di ridurre la pressione fiscale, oggi al 41%, “un dato oggettivamente elevato”, come ha sottolineato il Procuratore Generale della Corte dei conti, Angelo Canale, che chiede più controlli per limitare l’evasione, sempre sopra 100 miliardi annui. È d’accordo il Direttore dell’Agenzia delle Entrate, Ernesto Maria Ruffini, che tuttavia lamenta, una grave carenza di personale, solo 29 mila dipendenti al 31 dicembre del 2021 su una pianta organica di 44.000. Conseguenza, ha spiegato, del contenimento della spesa, di quella spending review che non si doveva applicare ai concorsi dell’Agenzia, “l’ente deputato a reperire le risorse che servono a tutti”. Una scelta “miope”, l’ha definita, perché “se lo Stato non si dota di strumenti idonei a fare in modo che l’evasione fiscale accertata possa essere incassata nel più breve tempo possibile diventa un mero esercizio di stile”.

I problemi nascono da lontano, passano attraverso i vari governi, ma ad essi non è estranea la stessa Agenzia, come dimostrano i numerosi ricorsi al TAR del Lazio, presentati dagli idonei nel concorso a 175 posti di dirigente di seconda fascia (bando di concorso dell’ottobre 2010!), i quali lamentano il mancato scorrimento della graduatoria, che avrebbe consentito immediate assunzioni, e varie illegittimità nella valutazione dei titoli, come si legge sul sito internet dell’Agenzia che pubblica i ricorsi, in conformità alle ordinanze rese dal TAR di notifica per pubblici proclami a tutti i controinteressati.

I ricorrenti eccepiscono la violazione e/o la falsa applicazione di alcune disposizioni del bando di concorso, in relazione ai criteri di valutazione dei titoli. Inoltre censurano la mancata valutazione delle attitudini professionali. La Commissione esaminatrice, infatti, non si sarebbe attenuta alle indicazioni del bando (per i punteggi attribuiti ai titoli) né a quelle relative alla prima ed alla seconda fase del colloquio, omissioni ritenute penalizzanti dai ricorrenti, in particolare quanto ai titoli di studio e di servizio posseduti ed alla esperienza manageriale maturata nella direzione degli uffici.

La Commissione esaminatrice, in particolare, avrebbe distribuito i punteggi fra le varie categorie di titoli in modo tale da rendere sostanzialmente impossibile il raggiungimento dei punteggi massimi stabiliti dal bando. Di fatto, minimizzare il peso dei titoli in una procedura caratterizzata dalla paritaria rilevanza dei titoli e della prova orale ha dato rilevanza quasi esclusivamente a quest’ultima, contraddistinta da notevole discrezionalità.

Il dubbio manifestato in alcuni ricorsi è quello che la Commissione, “abbia inteso perseguire un fine diverso da quello, tipico delle procedure concorsuali, di selezionare i candidati migliori”. Ciò che viene dedotto “da una “singolare” coincidenza: la stragrande maggioranza (71 su 95) di coloro i quali avevano ricevuto incarichi dirigenziali con le modalità censurate dal Tar, dal Consiglio di Stato e dalla Corte costituzionale, e che erano decaduti dagli incarichi a seguito della sentenza della Corte n. 37 del 2015, ha vinto il concorso, spesso occupando i primi posti in graduatoria…Molti di loro, a volte con punteggi bassissimi nei titoli, hanno riportato voti elevatissimi nella prova orale”. Insomma, secondo i ricorrenti la Commissione avrebbe svalutato i titoli allo scopo di “‘sanare’ l’illegittima situazione in cui hanno versato una pluralità di soggetti destinatari di incarichi illegittimamente conferiti”. La Commissione, pertanto, ha ritenuto di dover assegnare ai titoli, nell’economia della procedura concorsuale, un peso del tutto residuale. “Così da riservarsi di decidere con la sola prova orale… quali candidati “meritassero” di vincere il concorso”.

È il caso di dire ai Giudici Amministrativi l’ardua sentenza!

(da La Verità del 28 luglio 2022)

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