di Salvatore Sfrecola
È stato “colui che ha vinto la Guerra fredda senza sparare un colpo”. La definizione, di Margaret Thatcher, Primo ministro inglese, piace molto a Gennaro Sangiuliano che la richiama nella Introduzione del suo libro (“Reagan, il Presidente che cambiò la politica americana”, Mondadori, Milano, 2021, pp 252, € 22.00) per segnalare uno dei più significativi successi del Presidente U.S.A. in politica estera. All’interno fu l’economia la novità, al punto che “reaganismo” designa un’esperienza di governo e “reaganomics” le scelte di politica economica basate su una drastica riduzione delle imposte e della spesa pubblica improduttiva, premessa per una significativa espansione degli investimenti. Una stagione dell’ottimismo, si potrebbe dire, del pragmatismo e della modernizzazione portata alla Casa Bianca da quest’uomo, di umili origini, ma con una indomita volontà di crescere, tipica dei cittadini di questo grande paese da sempre “terra delle opportunità”.
Sangiuliano con la sua comprovata capacità di far emergere, attraverso la vita e le opere dei personaggi illustri dei quali si fa biografo, il contesto sociale, politico e di pensiero, accompagna Reagan fin dalla nascita, avvenuta giusto centodieci anni fa a Tampico, un piccolo comune della contea di Whiteside nello stato dell’Illinois. Nasce povero, una condizione che lo accompagnerà per molta parte della sua vita, di studente, di cronista e di attore. Si guadagna, in ragione della sua capacità di atleta, l’accesso all’università. Studia e lavora per aiutare la famiglia, la mamma e il fratello ai quali fornisce le risorse che il padre non riesce ad assicurare loro, nonostante l’impegno di commesso, rappresentante di commercio e, poi, di gestore di una piccola attività commerciale di rivendita di scarpe. Attraverso le vicissitudini della famiglia Reagan il libro fa rivivere i momenti drammatici della crisi del 1929 che il giovane Ronnie, come lo chiamano gli amici, affronta con tutta la determinazione della quale si mostrerà capace nelle esperienze politiche che via via lo avvicineranno alla Casa Bianca. In quegli anni maturano le sue scelte politiche che lo porteranno, dopo una iniziale adesione al Partito Democratico, soprattutto per riconoscenza nei confronti di Franklin Delano Roosevelt che assegna un lavoro al padre, a diventare repubblicano.
Fin da giovane avrà una dote che in politica fa la differenza, quella di capire la gente, di instaurare immediatamente un rapporto di empatia con chiunque. E di comunicare idee e proposte concrete. Dimostrerà sempre una notevole capacità oratoria. Sarà un trascinatore, prima dei suoi colleghi del College, poi degli attori di Hollywood. A capo del sindacato degli attori americani fa un’esperienza importante che lo prepara alla politica. Conservatore ed esprimerà il meglio del pensiero sociale di quell’importante orientamento di filosofia politica che lo porterà a collaborare con il Senatore Barry Goldwater candidato repubblicano alla presidenza degli Stati Uniti nel 1964, una personalità che ha avuto un ruolo fondamentale per il conservatorismo americano. Il suo libro “The Coscience of a Conservative” (in Italia pubblicato da Longanesi con il titolo “Il vero conservatore”), scrive Sangiuliano, è “molto più di una piattaforma programmatica, un vero e proprio manifesto culturale. Nasce il conservatorismo popolare, autentica novità sul terreno della filosofia politica negli Stati Uniti del secondo dopoguerra”.
Non sarà eletto il senatore dell’Arizona, ma a conclusione della campagna elettorale il discorso riassuntivo del suo impegno politico è affidato a Reagan. È un successo strepitoso e di fatto lo incorona guida politica del movimento conservatore americano. E negli anni a venire sarà citato migliaia di volte, semplicemente ‘The Speach‘. Un testimone che l’ex attore raccoglie subito riuscendo nell’impresa di farsi eleggere, nel 1966, governatore di uno dei più importanti Stati dell’Unione, la California.
Sangiuliano, con il suo stile espositivo coinvolgente, ripercorre i tratti fondamentali dell’esperienza umana e politica di Reagan e ne sottolinea la personalità, sottovalutata da gran parte della stampa italiana che spesso lo irride per i suoi trascorsi di attore, dipinto come di secondo piano nel cast di film western, soprattutto, comunque in ruoli non da protagonista. Un errore di valutazione, non raro negli inviati dei giornali italiani, abituati a formarsi un’opinione prevalentemente nei circoli orientati da intellettuali snob, trascurando il sentimento dell’America profonda. Accadrà anche in occasione della campagna elettorale che porterà Trump alla Casa Bianca.
Sbagliavano molti dei corrispondenti da New York e da Washington trascurando che Ronald Reagan portava in dote una pregressa, importante esperienza politica ed amministrativa, come governatore della California, strappato ai democratici, dove aveva dato dimostrazione di notevoli capacità di governo.
Vince Il 4 novembre 1980 con un risultato schiacciante, una vera e proprie valanga di voti: Ronnie vince in 45 Stati su 50; per il presidente uscente, il democratico Jimmy Carter, che ambiva essere rieletto, è un’umiliazione. Nonostante i numeri, l’ascesa di Reagan alla Casa Bianca è accolta con stupore in tutto il mondo: un ex attore di Hollywood, molto noto anche al pubblico televisivo, che assume la guida della più grande superpotenza dell’Occidente democratico. In Italia solo Indro Montanelli scrive “di Reagan ho un concetto ultrapositivo, l’opposto di quello ultranegativo che ho di Carter”.
A gennaio del 1981 s’insedia alla Casa Bianca in un momento difficile per gli Stati Uniti, umiliati dal sequestro di diplomatici americani a Teheran e, ancor più, dal fallimento dell’operazione organizzata per liberarli. Mentre nel contesto internazionale il comunismo sembra diffondersi, promosso dall’Unione Sovietica. In Africa, in Asia, in America Latina si accendono significative fiammate di un’ideologia che presto dimostrerà la corda. Nel 1980 la vittoria di Reagan costituisce la risposta dell’America, un desiderio di riscossa che il neopresidente interpreta con straordinaria fermezza, coinvolgendo personalità eminenti all’interno e nei paesi occidentali. Oratore facondo è un uomo capace di trascinare, di infondere entusiasmo.
Gennaro Sangiuliano, giornalista brillante, docente universitario, da sempre studioso del pensiero conservatore, suo un imporrante studio su Giuseppe Prezzolini, il padre del conservatorismo italiano che richiama spesso nei suoi scritti, coglie la novità Reagan perché ne intravede gli effetti sull’economia e sull’occupazione. Lo giudica “il vero erede di Abramo Lincoln per forza morale e ispirazione ai valori della libertà”. La sua politica economica riparte dalle ispirazioni di Hobbes, Locke e Tocqueville per affermare la prevalenza dell’individuo coi suoi diritti di natura sullo stato e sulla società.
Reagan è un liberale, ma un liberale all’europea. Non un liberal. I suoi riferimenti culturali vanno ricercati nella riflessione del conservatorismo americano del novecento, nel periodo nel quale vengono pubblicati, tra il 1948 e il 1953, Ideas Have Consequences,di Richard M. Weaver, God and Man at Yale, di William Buckley, Witness, di Whittaker Chambers, The Conservative Mind di Russell Kirk (di recente pubblicato in Italia da Gibilei-Regnani con il titolo “Il pensiero conservatore”) e The New Science of Politics, di Eric Voegelin.
Un contesto politico-culturale che assume come guida i valori e gli ideali del popolo americano che fanno di Reagan un presidente del popolo, e pertanto, osteggiato e criticato dai media della sinistra snob che lo dipingono spesso come un pericoloso reazionario mentre sarebbe più esatto qualificarlo un “conservatore rivoluzionario” che seppe cambiare la politica, non solo in America ma in tutto l’Occidente.
Il libro ricostruisce la storia di Ronald Reagan, della sua famiglia, dei suoi genitori, dei luoghi nei quali ha vissuto, delle persone con le quali si è relazionato, delle amicizie e degli amori fino a giungere, in un crescendo di consensi, all’affermazione politica, prima in uno stato fondamentale dell’Unione poi al vertice dell’Unione stessa.
È espressione della destra liberale e ricorda Sangiuliano che Andrea Mancia e Simone Bressan hanno scritto che “quando ci chiedono di raccontare la destra che vogliamo finiamo sempre per parlare di lui. Ronald Wilson Reagan è vissuto dall’altra parte dell’oceano, molti di noi nemmeno se lo ricordano all’opera, eppure è riuscito a condizionare e ispirare intere generazioni di giovani che, al di là di ogni divisione partitica, si sono sentiti prima di tutto reaganiani. Ronnie è stato il prototipo del centrodestra perfetto: salutato dalla sinistra mondiale come l’esempio tipico della degenerazione americana, snobbato dagli intellettuali che l’hanno sempre ritenuto un parvenu, è riuscito contro ogni pronostico a lasciare un segno indelebile nella storia del mondo”.
Una biografia, dunque, di quelle che Sangiuliano ci ha abituato ad apprezzare, ma anche un libro che ci aiuta leggere, da Putin a Hillary, da Trump a Xi Jinping, la politica. In continuità tra la sua attività di giornalista, di storico e di politologo e docente universitario nel Dipartimento di Scienze Umane Corso di laurea in Scienza della comunicazione alla sede romana della LUMSA. Una figura di rilievo nel pensiero conservatore. Ricorda Benedetto Croce il quale “affermava che la storia è sempre contemporanea, nel senso che dalla storia possiamo trarre validi orientamenti per il presente. Credo che oggi sia quantomai attuale una riflessione su quell’ottimismo con cui Reagan risvegliò l’America dopo la crisi degli anni Settanta e il post Vietnam”. Insomma un Presidente che si è guadagnato un posto nella Storia.
Reagan non solo si è guadagnato un gran bel posto nella Storia, ma è stato colui che (contro ogni previsione) ha sconfitto il comunismo sovietico e internazionale e umiliato i detrattori della civiltà occidentale.
Ciao
Daccordissimo caro Renato. Sempre puntuale