sabato, Novembre 2, 2024
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Combatte per l’Ucraina invasa dalla Russia. Ma per la DIA di Genova è un mercenario e va punito

di Salvatore Sfrecola

Secondo notizie di stampa Kevin Chiappalone, 20 anni ad ottobre, cittadino italiano che combatte nella Brigata internazionale ucraina, è indagato dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Genova (la sua città) per attività contraria alla “Convenzione internazionale contro il reclutamento, l’utilizzazione il finanziamento e l’istruzione di mercenari”, adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite a New York il 4 dicembre 1989, ratificata dalla legge 12 maggio 1995, n. 210.

La Convenzione è ispirata, come si legge nelle premesse, alle finalità e ai principi dello Statuto delle Nazioni Unite e alla “Dichiarazione relativa ai principi del diritto internazionale relativa alle relazioni amichevoli ed alla cooperazione tra gli Stati in conformità con lo Statuto delle Nazioni Unite”. Per cui “il reclutamento, l’utilizzazione, il finanziamento e l’istruzione di mercenari sono da considerare reati che preoccupano vivamente tutti gli Stati”.

La Convenzione definisce “mercenario” ogni persona: “a) espressamente reclutata nel paese o all’estero per combattere in un conflitto armato; b) che partecipa alle ostilità essenzialmente in vista di ottenere un vantaggio personale ed alla quale è stata effettivamente promessa, da una parte al conflitto o a nome di quest’ultima, una remunerazione materiale nettamente superiore a quella promessa o pagata a combattenti aventi rango e funzioni analoghe nelle forze armate di detta Parte; c) che non è cittadina di una parte al conflitto, né residente del territorio controllato da una parte al conflitto; d) che non è membro delle forze armate di una parte al conflitto; e) che non è stata inviata da uno Stato diverso da una parte al conflitto, in missione ufficiale come membro delle forze armate di tale Stato”. Non solo. “Mercenario” identifica, altresì, “in ogni altra circostanza, ogni persona: a) espressamente reclutata nel paese o all’estero per partecipare ad un atto concordato di violenza mirante a: i) rovesciare un governo o colpire, in qualsiasi altro modo, l’ordine costituzionale di uno Stato; oppure ii) colpire l’integrità territoriale di uno Stato; b) che partecipa a tale atto essenzialmente in vista di ottenerne un vantaggio personale significativo ed è spinta ad agire dietro promessa o pagamento di una remunerazione materiale; c) che non è né cittadina, né residente dello Stato contro il quale tale atto è diretto; d) che non è stata inviata da uno Stato in missione ufficiale; e) che non è membro delle forze armate dello Stato sul di cui territorio l’atto ha avuto luogo”. 

Sulla base di tali regole la legge di ratifica della Convenzione ha modificato gli artt. 244 e 288 del Codice penale, essenzialmente sotto il profilo delle pene ivi previste. L’art. 244 (Atti ostili verso uno Stato estero, che espongono lo Stato italiano al pericolo di guerra) punisce “Chiunque, senza l’approvazione del Governo, fa arruolamenti o compie altri atti ostili contro uno Stato estero, in modo da esporre lo Stato italiano al pericolo di una guerra, è punito con la reclusione da sei a diciotto anni; se la guerra avviene, è punito con l’ergastolo.

Qualora gli atti ostili siano tali da turbare soltanto le relazioni con un Governo estero, ovvero da esporre lo Stato italiano o i suoi cittadini, ovunque residenti, al pericolo di rappresaglie o di ritorsioni, la pena è della reclusione da tre a dodici anni. Se segue la rottura delle relazioni diplomatiche, o se avvengono le rappresaglie o le ritorsioni, la pena è della reclusione da cinque a quindici anni.

La ratio dell’incriminazione è quella di evitare che il reclutamento di mercenari turbi le relazioni amichevoli tra gli Stati, fino al coinvolgimento dello stato cui appartiene il combattente, come abbiamo appena letto. I giuristi mettono in risalto anche come la normativa sia a difesa di due poteri esclusivi dello Stato: la coscrizione militare e l’invio all’estero di soccorsi militari. Dalla lettera della norma è evidente che si è inteso punire in primo luogo chi arruola o arma mercenari. Tuttavia, l’art. 3 della Convenzione prevede che “1. Chiunque, avendo ricevuto un corrispettivo economico o altra utilità o avendone accettato la promessa, combatte in un conflitto armato nel territorio comunque controllato da uno Stato estero di cui non sia né cittadino né stabilmente residente, senza far parte delle forze armate di una delle Parti del conflitto o essere inviato in missione ufficiale quale appartenente alle forze armate di uno Stato estraneo al conflitto, è punito, se il fatto non costituisce più grave reato, con la reclusione da due a sette anni. 2. Chiunque, avendo ricevuto un corrispettivo economico o avendone accettato la promessa, partecipa ad un’azione, preordinata e violenta, diretta a mutare l’ordine costituzionale o a violare l’integrità territoriale di uno Stato estero di cui non sia né cittadino né stabilmente residente, senza far parte delle forze armate dello Stato ove il fatto sia commesso né essere stato inviato in missione speciale da altro Stato, è punito, per la sola partecipazione all’atto, se il fatto non costituisce più grave reato, con la reclusione da tre a otto anni”.

Un dato emerge chiaramente, il “mercenario” è tale se riceve un corrispettivo economico o ne accetta la “promessa”. La somma deve essere “nettamente superiore a quella promessa o pagata a combattenti aventi rango e funzioni analoghe nelle forze armate”. 

In questo contesto gli stati (art. 5) “si impegnano a non reclutare, utilizzare, finanziare o istruire mercenari ed a vietare le attività di tale natura”. Ed, altresì (art. 13), “si concedono l’assistenza giudiziaria più ampia possibile… compreso per quanto concerne la comunicazione di tutti gli elementi di prova di cui dispongono”, anche (art. 15) nei “casi di estradizione” per la quale (comma 2), in ogni caso, la Convenzione costituisce “base giuridica… per quanto riguarda questi reati”.

Fin qui le norme di una Convenzione della quale sono evidenti le ragioni. Tuttavia, trattandosi di norme che stabiliscono pene gravi, l’interpretazione deve essere rigorosa, per cui va nettamente distinta la posizione del mercenario da quella del “volontario” che combatte per un ideale politico. Una distinzione, del resto, che noi italiani abbiamo ben presente, almeno dal Risorgimento, fin dai primi moti liberali del 1820-21 e del 1848, che avevano sparso per l’Europa i semi dell’indipendenza dei popoli, quando le persone colte ed i giovani si sentirono presto impegnati in politica e, quando possibile, con le armi, ovunque ci fosse l’occasione di combattere per la libertà.

È, infatti, per l’indipendenza della Grecia che il nobile piemontese Santorre di Santarosa, andato a combattere contro l’impero ottomano, muore a Navarino l’8 maggio 1825. Per lo stesso ideale di libertà impugnano le armi in Italia, accanto a Garibaldi, quanti in patria soffrivano l’oppressione soprattutto dell’Impero austriaco, come l’ungherese Stefan Türr, comandante della 15° divisione garibaldina al Volturno, e ad interim dello stesso esercito meridionale, il compatriota Nandoz Eber, generale, naturalizzato inglese, giornalista, corrispondente del Times di Londra, il polacco Alessandro Isenschmid, Conte di Milbitz, che sarà a capo della 16° divisione garibaldina al Volturno, il Colonnello Fiedrich Wilhelm Rüstow, ex alto ufficiale dell’esercito prussiano.

A fianco degli italiani un altro ungherese, Lajos Kossuth, politico, giornalista, sarà riferimento per il suo paese e per l’Italia dove morirà a Torino i 20 marzo 1894.

Volontari saranno le Camice Rosse, i garibaldini, impegnati nella conquista del Regno delle Due Sicilie. Gli stessi garibaldini che, a Digione, daranno alla Francia di Napoleone III l’unica vittoria contro le armate prussiane del Generale Helmuth Karl Bernhard von Moltke.

Oggi in Ucraina combattono volontari, a fianco dell’esercito regolare per difendere la libertà e l’indipendenza di quel paese invaso dall’esercito della Federazione Russa. 

Infine, da non trascurare, il Governo italiano ha ripetutamente condannato l’invasione russa dell’Ucraina. Lo hanno fatto il Presidente del Consiglio, Mario Draghi, ed il Ministro degli esteri, Luigi Di Maio, non solamente a parole. L’Italia, infatti, ha fatto pervenire al Governo di Kiev importanti armamenti.

1 commento

  1. Carissimo Salvatore, il tuo è un ragionamento importante e serio, su un argomento non facile: la distinzione fra mercenari e “idealisti armati”.

    Noto tuttavia che l’Ucraina in quanto a truppe non avrebbe bisogno di aiuti, ne ha sufficienza.
    Quanto al giovane genovese, mi vien da riconoscere quel che disse Erasmo: solo chi non la conosce, ama la guerra.

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