giovedì, Giugno 12, 2025
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Il flop dei referendum un regalo al governo Meloni

di Salvatore Sfrecola

I quesiti referendari proposti agli italiani domenica e lunedì non hanno prodotto per i promotori l’esito che essi si aspettavano. Nonostante l’impegno profuso non è stato raggiunto il numero dei partecipanti, il 50+1% degli aventi diritto al voto (quorum), previsto dalla legge per la loro validità. E si scatena un dibattito sui giornali, nelle televisioni e sui social con espressioni, non di rado, volgari nei confronti di chi non ha votato. Con scarso rispetto per il cittadino che può non aver votato per una serie di motivi, sui quali diranno certamente i sondaggisti: per una generalizzata disaffezione al voto, perché i quesiti proposti non erano condivisi. Infine, perché si è voluto in qualche modo che i referendum fallissero. Cosa che gli aventi diritto al voto avrebbero potuto fare anche votando NO.

In ogni caso, in democrazia il cittadino va comunque rispettato anche quando, a nostro giudizio, sbaglia. Perché non coglie l’importanza di una proposta di abrogazione di una norma della quale, ad esempio, non ne comprende gli effetti. Sarà accaduto certamente più volte, perché i quesiti sono di carattere tecnico, tranne quello sulla cittadinanza che è molto semplice. Direi che pochi sono in condizione di comprendere gli effetti che nel mondo del lavoro, per esempio, possono avere, nelle varie circostanze, le abrogazioni richieste.

C’è poi da dire che la parte politica e sindacale che ha promosso i referendum ha dato alla scelta una connotazione antigovernativa, con la conseguenza che da un lato e dall’altro ci si è mobilitati, a sinistra, per il SI, a destra per l’astensione. Con la conseguenza di scatenare una resa dei conti anche all’interno del “campo largo”, come dimostra l’intervento polemico della parlamentare europea Pina Picierno, raccolto dal Corriere della Sera che titola: “Enorme regalo alla destra. Il PD non cerchi assoluzioni con la calcolatrice in mano”. Il riferimento è all’ammontare dei voti – 12 milioni – di quanti hanno votato SÌ. “Il successo della destra in Italia è profondo, non è una meteora. Pensare a scorciatoie o fantasticare su spallate prossime non servirà. Le spalle conserviamole per un’alternativa credibile, perché dovranno essere molto larghe per competere e convincere la maggioranza degli italiani”, è la risposta della Picerno a Maria Teresa Meli. “Bisogna uscire da uno scontro muscolare e inconcludente”, continua la parlamentare PD. “Parliamo dei fatti della realtà delle cose: non c’è una riforma che sia una. Ripartiamo dalla competitività delle nostre imprese, dall’autonomia strategica e difensiva dell’Europa, dal potere d’acquisto del ceto medio, dalla tutela di famiglie e lavoratori precipitati nella spirale della povertà. Ripartiamo da qui. Stretto o largo che sia, è il campo e il confronto che serve al Paese”.

È un po’ quello che ha messo in evidenza, con la consueta chiarezza Claudio Velardi, Direttore de Il Riformista, che ha titolato il suo pezzo “Licenziati per giusta causa”. E su tiktok ha preso spunto da una considerazione di fondo di Elly Schlein secondo la quale dal voto si deve partire “per vincere”. “Ma vincere perché, per fare cosa, quali politiche sul lavoro, quelle sconfitte al referendum quali scelte per la cittadinanza quelle ultra sconfitte domenica. Anche il giorno dopo una sonora lezione la sinistra non si interroga, non si chiede perché ha perso ma sa solo ripetere ottusamente che “uniti si vince”. Il problema è prendere un voto in più degli altri e questo slogan vuoto viene ripetuto in continuazione anche da militanti e tifosi per i quali l’importante è battere il nemico non importa per fare cosa. Io a volte penso che la colpa non è di Schlein e Conte che ripetono questo mantra del bicchiere ma è vostra e non gli chiedete mai perché ma perché dobbiamo vincere per sostituire degli apparati politici con altri apparati politici. Non è più importante rimetterci in sintonia con la gente capendo che il mondo è cambiato e che dobbiamo cambiare pure noi. Questo dovreste sbattere in faccia i vostri dirigenti invece di riempirvi la bocca con il mito stupido dell’“uniti si vince”.

Il referendum fallisce “ma la sfida continua”, titola La Repubblica, seguendo l’impostazione della Schlein. Ripresa anche da La Stampa: “Lite sui 14 milioni di voti”.

Per i giornali di area “Il PD si schianta sui referendum”, scrive Maurizio Belpietro su La Verità. Gli fa eco Il Giornale: “Umiliati e contenti”. 

E viene messo in discussione lo stesso strumento referendario: “Quesiti senza cuore, strumento da ripensare”, titola Guido Boffo per Il Messaggero.

Per il Fatto Quotidiano “Votano in pochi quindi vincono tutti”. Il Domani riprende il tema del numero dei voti “Referendum, delusione a sinistra, ma in 14 milioni avvertono Meloni”. Un argomento da non trascurare anche se le elezioni legislative sono ancora lontane.

Prima del voto, a sinistra, era stato indicato in 12 milioni presi dal centrodestra nel 2022 la soglia da superare per considerare il risultato positivo. Giorgia Meloni è a Palazzo Chigi per 12.300.000 elettori. “Io non so quanta gente avrà votato SÌ – ha detto Francesco Boccia, Capogruppo del PD al Senato – , ma so che hanno votato 15 milioni di persone. E 15 milioni di persone sono uscite di casa per votare sul lavoro e cittadinanza, due quesiti molto identitari”.

L’idea è che coloro che hanno votato, indipendentemente dal SI o dal NO hanno disatteso la indicazione della maggioranza e dalla Presidente del Consiglio per cui quel numero sarebbe una sorta di “avviso di sfratto” per l’inquilino di Palazzo Chigi. Conclusione evidentemente azzardata che conferma quella confusione di idee dovuta alla pluralità di voci dissonanti all’interno del cosiddetto campo largo che in qualche modo Claudio Velardi ha messo in risalto nelle considerazioni innanzi richiamate.

In conclusione di queste brevi considerazioni possiamo dire che la maggioranza di governo ha di fronte una opposizione variegata e non coesa, intrinsecamente rissosa, che non solo non appare agli occhi dei cittadini una alternativa credibile di governo ma rafforza i partiti che lo compongono, nonostante su molte questioni si rilevino dei distinguo non del tutto ininfluenti. 

In sostanza, la principale forza di opposizione, che è quella che dovrebbe controllare il governo, dimostra di essere completamente inadeguata di fronte alla sconfitta sonora di questo referendum in cui aveva investito tutto. E invece di fare un’autocritica, di dire cosa hanno sbagliato, perché non parlano più alla gente, dicono che 14 milioni di voti è stata una vittoria contro il governo, tra l’altro mettendo insieme i SÌ e i NO. È una totale incapacità di fare un’analisi della situazione politica e questo non va bene perché in un sistema democratico è fondamentale che esistano opposizioni solide e che siano sempre lì lì per prendere il potere, controllando chi al momento lo detiene. Chiunque abbia il potere e non è controllato finisce male, come insegna l’esperienza. Così funziona la democrazia. 

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