venerdì, Giugno 13, 2025
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Quella strana idea di democrazia che vorrebbe eliminare il quorum nei referendum

di Salvatore Sfrecola

Siamo dunque alla proposta di abolire il quorum nelle votazioni referendarie. Se ne è dato carico, tra gli altri, il Comitato basta quorum, cittadini per la democrazia che ha promosso una raccolta firme, disponibile sul sito del Ministero degli interni, per la modifica dell’articolo 75 della Costituzione. L’idea è quella che il quorum mina la democrazia e l’astensione distorce la volontà popolare. Con la modifica proposta il referendum sarebbe valido qualsiasi fosse l’affluenza alle urne perché chi non vota rinuncerebbe ad un proprio diritto. Sento dire che la raccolta firme già si troverebbe al 71% dell’obiettivo delle 50.000 previste per una iniziativa legislativa popolare dall’art. 71, comma 2, Cost…

Non far raggiungere il quorum per i promotori della raccolta di firme “è disonesto”, anche se ammesso. Perché 15 milioni di persone hanno espresso la loro opinione. 15 milioni di persone – si fa osservare – che sono il 25% della popolazione italiana “completamente ignorati”. “Si doveva semplicemente abrogare una legge che tutti sappiamo è ingiusta, che è discriminante verso dei lavoratori”, si legge su tiktok. Dove si aggiunge anche di “una mancanza di rispetto verso chi ha espletato quello che è un diritto e dovere costituzionale”. Per chi ha fatto questa affermazione “la Costituzione parla chiaro perché dice che l’esercizio del diritto al voto è un dovere civico. Non sei obbligato ma se ti ritieni una persona civile vai a votare”. Perché il mancato esercizio di questo diritto “è il contrario della democrazia”.

Sfugge ai critici del quorum che la ragione di un numero minimo necessario per la validità del referendum deriva dalla natura di questo strumento di democrazia diretta che consente l’abrogazione di una legge o di una norma di legge approvata dal Parlamento. È in questo “carattere eccezionale” dell’istituto, che è “esercizio di potestà normativa” (Crisafulli), la ragione di un numero minimo di partecipanti alla votazione perché appare irragionevole che una minoranza possa abrogare una legge approvata dalle Camere esercitando un “potere di controllo” sulle decisioni delle assemblee legislative. Quanto, poi, al “dovere civico”, come la Costituzione qualifica all’art. 48, comma 2, l’esercizio del diritto di voto, è evidente che si tratta di un dovere di carattere morale che non è un dovere giuridico per il quale, in mancanza di partecipazione, al voto potrebbe essere immaginata una sanzione un tempo prevista, come ho ricordato in un altro articolo nel quale richiamavo uno straordinario scritto di Mario Vinciguerra “Il voto obbligatorio nel paese dei balocchi”. E’ evidente che il non esercizio, in una votazione che richiede per la sua validità un numero minimo di partecipanti al voto, è espressione di un diritto e costituisce un comportamento lecito che ha in primo luogo l’obiettivo di evitare il raggiungimento del quorum e quindi la validità della consultazione. La stessa Corte costituzionale ha preso posizione in proposito, affermando che “in presenza della prescrizione nello stesso art. 48, secondo cui l’esercizio del diritto di voto è dovere civico, il non partecipare alla votazione costituisce una forma di esercizio del diritto di voto significante solo sul piano socio politico” (sent. n. 173 del 2005).

Le considerazioni, dunque, di chi vorrebbe eliminare il quorum sono sostanzialmente delle reazioni comprensibili di chi non ha ottenuto il risultato che avrebbe desiderato anche se, sulla base dell’esperienza, ampiamente previsto. Il fatto è, come ha osservato anche Sabino Cassese, eminente giurista, con il quale non sempre mi trovo in sintonia, che il referendum è stato immaginato per importanti riforme. È vero che ogni riforma ha un’importanza che per alcuni può anche essere grande, ma l’esperienza dei referendum ha dimostrato che la partecipazione popolare è scarsa, probabilmente perché è in qualche modo ritenuto uno strumento abusato. Anche perché, e questo compare da tutto il dibattito, alcuni dei promotori dell’iniziativa referendaria hanno dato alla consultazione il significato di una rivolta contro la maggioranza di governo, dimenticando, tra l’altro, che le norme sul lavoro erano state adottate da una diversa maggioranza, di sinistra.

Vorrei osservare che siamo di fronte ad una strana idea di democrazia per la quale il voto è buono solo quando è favorevole a chi ha proposto l’iniziativa. Non sarebbe stato necessario puntualizzare alcuni aspetti di questa vicenda, ma il dibattito sui social, in particolare su tik tok, ha assunto le caratteristiche di una difesa della democrazia, come se fosse in pericolo per questo voto, e quindi vorrei che gli italiani, che hanno più occasioni di valutare l’effettiva funzionalità delle istituzioni della democrazia rappresentativa, si soffermassero, ad esempio, su un uso dei decreti legge che non sempre appare in sintonia con i criteri costituzionali i quali li prevedono “in casi straordinari di necessità e d’urgenza” (art. 77, comma 2, Cost.). Con l’effetto di comprimere il ruolo delle Camere a causa della riduzione dei tempi dell’esame parlamentare, massima espressione della democrazia rappresentativa.

In proposito, perfino il Cavaliere Benito Mussolini, al quale si deve la progressiva alterazione dell’ordinamento parlamentare statutario, aveva inizialmente esaltato il ruolo del Parlamento e la sua funzione di controllo sull’Esecutivo attraverso forze politiche di opposizione capaci di formulare una proposta credibile di alternativa al governo del Paese.

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