di Salvatore Sfrecola
Mentre si svolgevano ad Ostuni, alla presenza del Capo dello Stato, Sergio Mattarella, i funerali del Brigadiere Capo dei Carabinieri Carlo Legrottaglie, ucciso nel corso di un conflitto a fuoco con dei banditi che, insieme al collega di pattuglia, aveva raggiunto dopo un inseguimento, è stato reso noto che sono stati iscritti nel “registro degli indagati”, per omicidio colposo ed eccesso colposo nell’uso legittimo delle armi, gli agenti del Commissariato di Grottaglie che successivamente avevano intercettato i due malviventi. Un “atto dovuto”, è stato spiegato, in vista dell’autopsia sul cadavere di Michele Mastropietro, uno dei due rapinatori deceduto a seguito del conflitto a fuoco ingaggiato con gli agenti al termine di un inseguimento conclusosi in una masseria tra Grottaglie e Martina Franca. Durante lo scontro Mastropietro è stato ucciso mentre l’altro bandito, Camillo Giannattasio, è stato arrestato e incriminato per tentato omicidio, lesioni e resistenza.
L’iscrizione nel registro degli indagati viene considerata un atto dovuto dalla Procura di Taranto, necessaria per consentire gli accertamenti tecnici e garantire trasparenza alla identificazione della dinamica del conflitto armato. I legali dei poliziotti ed i sindacati di polizia hanno reagito con critiche vivaci alla notizia ed hanno definito l’indagine “un insulto” verso chi ha rischiato la vita per fermare un criminale. L’autopsia sul corpo di Mastropietro fissata per il prossimo martedì chiarirà se il decesso sia avvenuto durante lo scontro con la polizia o nel conflitto precedente con i Carabinieri nel corso del quale è deceduto il Brigadiere Legrottaglie.
Qualche considerazione appare assolutamente necessaria. È evidente la necessità di conoscere come i fatti si sono svolti. Non perché al momento si dubiti che il comportamento degli agenti di polizia sia stato corretto e conforme alle esigenze proprie del servizio cui i due erano impegnati. Lo Stato, attraverso i suoi agenti, può e deve ricorrere, ove occorra, all’uso della forza e in un conflitto a fuoco gli agenti rispondono e possono ferire e uccidere, se questo è necessario per tutelare la propria incolumità ed applicare la legge. Ma questo va accertato e gli agenti non devono ritenere che ci sia nei loro confronti un pregiudizio da parte dei magistrati inquirenti. Anche l’ipotesi di reato è conforme all’esigenza di accertamenti i quali devono escludere che, ad esempio, in un comprensibile desiderio di giustizia, dinanzi al collega carabiniere ucciso, i poliziotti abbiano ecceduto, colpendo a morte chi non era più in condizione di offendere. Lo Stato usa la forza ma è quella del diritto. Non è un giustiziere.
Capisco, tuttavia, la rimostranza che si è sviluppata negli ambienti delle Forze dell’Ordine e delle loro rappresentanze sindacali, ma in linea di massima la reazione è esagerata, quasi che chi rischia la vita per difendere la legge non possa “per principio” essere indagato, come si evince dal ricorso al termine “insulto”. Sarebbe una lesione dell’immagine delle Forze dell’Ordine che lascerebbe un dubbio che i cittadini non possono avere e non hanno.
Contemporaneamente c’è anche un difetto di comunicazione da parte dell’Autorità Giudiziaria che deve immaginare l’effetto negativo, sulle persone direttamente interessate e sull’opinione pubblica, di una notizia di reato come formulata. I magistrati non sono dei giornalisti ma certe notizie dovrebbero essere diffuse con una spiegazione che dia conto, con il linguaggio della gente, perché quell’atto è effettivamente “dovuto” nella fase delle indagini. Ed è necessario anche a tutela degli agenti i quali potrebbero essere accusati dai familiari del bandito ucciso che, in realtà, non era necessario colpirlo a morte.
Non contesto, dunque, il disagio degli appartenenti alle Forze dell’Ordine i quali, valutate le singole condotte, potrebbero anche essere assistiti dall’Avvocatura dello Stato o comunque essere risarciti delle spese legali sostenute per essersi dovuti rivolgere ad un avvocato del libero Foro, come ho letto essere previsto dal recente provvedimento legislativo sulla sicurezza. Quel che mi sembra azzardato è il riferimento che ho sentito fare a quel che sarebbe accaduto, in analoghe circostanze, in Russia o negli Stati Uniti d’America dove di qualche eccesso da parte della polizia si è sentito dire. E comunque, con tutto il rispetto dovuto, mi sembra necessario ricordare, anche per rasserenare gli animi dei servitori dello Stato che si sentono ingiustamente sospettati, che, diversamente da quei paesi, la cultura giuridica che esprimiamo da oltre due millenni identifica la civiltà occidentale.