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Oggi, 6 maggio, alle ore 18, al “Centro Studi Vittorio Emanuele Orlando”, in via di Santa Lucia 5, sarà presentato il volume “Lezioni di Storia” del Preside Michele D’Elia

di Salvatore Sfrecola

Orgogliosamente liberale in politica (è stato Assessore alla cultura e Presidente della Provincia di Milano per il P.L.I., attualmente è Presidente dell’”Associazione dei Liberali”) e monarchico, quanto alla forma di Stato prediletta, il Professore Michele D’Elia, già Preside del prestigioso liceo milanese “Vittorio Veneto”, ci presenta queste “Lezioni di Storia” (Edizioni Top, Milano, 2021, pp. 540), un volume che pubblica i testi delle conversazioni tenute nelle giornate di studio destinate ai suoi studenti col duplice intento di indurli alla riscoperta dell’importanza dell’apprendimento della storia, contemporaneamente affrontando temi di permanente interesse con dovizia di argomentazioni e una ricca bibliografia, accuratamente selezionata. Perché “la storia – scrive nella presentazione – è l’aspra lotta dell’Uomo contro l’oblio, perché un popolo senza memoria non ha futuro”.

L’iniziativa del Preside D’Elia aveva lo scopo di “collaborare con il mondo della ricerca per la riscoperta della Storia, troppo negletta, come scienza interdisciplinare, in virtù dei suoi intrecci con ogni ramo dello scibile e della vita dei popoli; suscitare nei giovani ampio e profondo interesse per la cultura; rinvigorire lo spirito critico e costruttivo nei cittadini-studenti, fornendo loro adeguati strumenti di indagine; far emergere e valorizzare sempre più le conoscenze e le competenze degli Insegnanti”. Un’anticipazione, dunque, delle indicazioni di recente formulate dal Ministro dell’istruzione e del merito, Giuseppe Valditara, certamente il più titolato tra i componenti della squadra di governo di Giorgia Meloni (è professore ordinario di Diritto romano ed autore di importanti studi in materia di diritto pubblico), che restituiscono all’insegnamento della storia un ruolo che era stato ridimensionato da una scansione temporale “affatto cervellotica” – scrive D’Elia – dai decreti Berlinguer del 1996 quando i programmi sono stati compressi in modo da dedicare l’ultimo anno di ogni ciclo al Novecento con volontà di forte ideologizzazione “male interpretando la celebre asserzione crociana secondo la quale la storia è solo presente”. 

D’Elia dedica pagine di estremo interesse all’importanza dell’insegnamento della storia, disciplina che, del resto, accompagna l’approfondimento di ogni branca del sapere, anche nelle professioni scientifiche per l’evidente significato che nella cultura di ciascuno rivestono le esperienze che nel tempo passato hanno guidato ingegneri ed architetti, astronomi e medici, fisici e chimici, anche quando definiti alchimisti, dediti ad un insieme di conoscenze sulla materia e sulla sua trasformazione legate a convinzioni filosofiche ed esoteriche.

Del resto, il richiamato intento di fornire agli studenti “adeguati strumenti di indagine” è al centro dell’attività dello storico, come ricorda Paolo Mieli (“Storia e Politica”, Rizzoli, Milano, 2001, pp. 388): “la storia si scrive sempre due volte. La prima volta è quella in cui i vincitori si impegnano a tramandare la loro versione dei fatti e a demonizzare gli avversari sconfitti o a cancellarne la memoria. La seconda volta – le innumerevoli “seconde volte” – tocca invece allo storico interrogarsi sugli aspetti oscuri e contraddittori dei racconti a caldo, ricercare documenti che mettano in dubbio le versioni precedenti, liberarsi, insomma, quando è necessario, della vulgata tradizionale”.

Scrive Piero Bevilacqua nella prefazione alla seconda edizione del suo “L’utilità della Storia” (Donzelli, Roma, 2007, VII) “l’insegnamento della storia – di questo discutere del passato che è una delle più antiche forme della conoscenza umana – si ripresenta con una centralità difficilmente eludibile nel progetto di fornire alle nuove generazioni una formazione dotata di orientamento e di senso”. Per contrastare quella “perdita del passato” che propongono quanti sono fautori della cancel culture, furibondi iconoclasti che vorrebbero abbattere monumenti, mettere all’indice libri, negare teorie. Come suggeriscono dal “Nuovo Mondo”, dove la tendenza è più sviluppata. È lì che dopo Cristoforo Colombo, “condannato” perché ritenuto schiavista, con conseguente rimozione di molte delle statue a lui dedicate, lo stesso rischio corre il Padre della Patria George Washington che nella sua azienda si serviva di schiavi. E passa un guaio anche la coppia di innamorati più famosa della storia, “Giulietta e Romeo” e l’autore che l’ha resa famosa. Ritenuta sessualmente “troppo esplicita”, la tragedia shakespeariana è stata proibita agli studenti della Florida. Ed è dalla città di Giulietta che giunge una risposta netta a quel modo di guardare alla storia nel quale sono incappati gli amanti veronesi per la firma del Professor Davide Rossi, storico del diritto, che ne scrive su L’Arena, in un editoriale del 19 agosto 2023 (“Giulietta non si può cancellare”). Il Prof. Rossi sottolinea la “prospettiva totalmente antistorica, in cui il presente assorbe in sé il passato, rimuovendo dalla comunicazione ogni valore contrario all’epoca storica in cui si sta vivendo … nell’assunto che le capacità simboliche del passato – anche datato e lontano nel tempo – possano alimentare la realtà valoriale contemporanea; di conseguenza è necessario rimuovere (o, in subordine, modificare il contenuto) dalla comunicazione ciò che non è in sintonia con il portato valoriale attuale”.

Non c’è dubbio che è un errore gravissimo quello di esprimere un giudizio su fatti e comportamenti del passato, come se lo studio della storia fosse un tribunale, mentre ha lo scopo di cercare di comprendere e spiegare. La storia, infatti, “è figlia del suo tempo”, scrive Fernand Braduel. E per Marc Bloch “gli uomini sono figli più del loro tempo che dei loro padri”. Come per i cambiamenti climatici, i fatti rimangono consegnati al momento nel quale sono avvenuti, mentre questi moderni iconoclasti, che si ritengono portatori di valori evidentemente superiori a quelli che hanno caratterizzato il passato, si sentono investiti della missione di una sorta di riparazione morale nei confronti di quanti nel corso dei secoli sono stati “vittime” di iniquità. Restaurando l’indice dei libri proibiti, censurando le biblioteche, rimuovendo quadri, abbattendo statue. “Ciò facendo, sembrano non rendersi conto di riprendere gli atteggiamenti e le pratiche degli oscurantisti che li hanno preceduti dal medioevo in avanti, fino ad arrivare ai regimi totalitari e ai fondamentalismi islamici” (M. L. Salvatori, “In difesa della storia – contro manipolatori e iconoclasti, Roma 2021). Così sono finiti tra i libri proibiti quelli che usano la parola “negro” od i volumi di autori di lingua inglese messi al bando perché maschi e bianchi.

Torniamo a D’Elia riprendendo il capitolo “L’insegnamento della Storia nella scuola d’oggi” nel quale affronta il tema della conoscenza dei fatti storici procedendo dalla informazione televisiva e della carta stampata. D’Elia si chiede “chi forma i giornalisti? Chi determina la linea di un giornale, appassionando il lettore o lo spettatore del TG delle 20.00 o degli speciali di prima e seconda serata? Qual è – per esempio – la manovra politica, antistorica sottesa a certi servizi televisivi sugli Aosta o sui Savoia e che ha dettato le parole del commento televisivo? Tutto questo è collegato con l’insegnamento della storia più di quanto si creda, se non altro perché giornali e televisioni sono da sempre, per costume didattico e grazie a molte iniziative ministeriali, ausilio della lezione ex catthedra. Ma proprio questo impone la conoscenza e il dominio di tali strumenti”.

Il testo si sofferma su alcune definizioni di metodo storico, da Benedetto Croce ad Armando Saitta, a Ludovico Geymonat, a Gioacchino Volpe, a Federico Chabod a Marc Bloch per concludere, sulla base della riflessione di questi illustri storici, che “la storia ha come centro l’uomo”. Da questo assunto, ovvio solo in apparenza, D’Elia parte per trattare “le essenziali, non certo esaustive conclusioni di questa conversazione”, sottolineando come la storia rimanga “lo strumento principale per la formazione del senso di appartenenza a un popolo, alla patria, al di fuori di ogni retorica… Noi abbiamo, come cittadini, eredi della storia patria, un ruolo di massima responsabilità: la riscoperta, la riproposizione del passato, che innerva in sé il presente e determina il futuro. La storia va liberata dall’asservimento alla ideologia – anche in casa nostra – e consegnata ai giovani pur nell’ardua dialettica delle passioni che agitano l’uomo e lo storico. Per noi la storia è la costante lotta dell’uomo contro le ansie del presente e contro l’oblio”.

I temi trattati sono tutti di estremo interesse, a cominciare dagli aspetti umani della Grande Guerra tra italiani ed austriaci, un argomento che il Preside D’Elia ha trattato a lungo, anche sulla sua rivista “Nuove Sintesi”, affrontando tutti i problemi politici, sociali e culturali di quell’immane conflitto che per noi ha costituito anche la conclusione del processo unitario con l’annessione di Trento e Trieste. Particolare attenzione è riservata al coraggio e all’abnegazione dei soldati italiani. Del valore degli italiani in guerra ha scritto anche a proposito della Seconda Guerra Mondiale. 

Tema importante è quello dello Statuto Albertino, la costituzione della Monarchia rappresentativa, un testo chiaro e sobrio, come lo ha giudicato Piero Calamandrei, che da repubblicano onesto non aveva potuto trascurare i meriti di quella carta delle libertà promulgata dal Re Carlo Alberto proprio all’inizio dell’avventura risorgimentale. Un tema che naturalmente è alla base anche del capitolo sul profilo storico dei diritti e dei doveri negli Statuti preunitari e unitari.

“Dalla Monarchia alla Repubblica” tratta degli eventi che portarono, con la fine della guerra, al referendum istituzionale che decretò la nascita della Repubblica che, ricorda D’Elia, è stata controversa per le modalità con le quali è stata condotta la campagna referendaria in aree del territorio praticamente interdette alla propaganda monarchica, dove l’intimidazione delle frange comuniste dei partigiani ha spesso compresso la libertà dei votanti.

Da uomo di scuola non poteva mancare il “Profilo storico della scuola italiana dalla legge Casati alla riforma Gentile”, un capitolo nel quale emerge tutta la passione dell’A. sviluppata nel tempo attraverso la sua esperienza di uomo di scuola, come docente e poi come preside, la sua vicinanza ai ragazzi, la sua passione per questo importante aspetto della vita sociale che attua il trasferimento del sapere a giovani che lo stato forma per farne dei buoni cittadini e dei professionisti adeguati.

La questione meridionale nella relazione Massari conclude il volume. Ed è materia attualissima, perché il disagio delle regioni meridionali, esploso in concomitanza con la iniziativa legislativa sull’autonomia differenziata, ha fatto emergere rivendicazioni giuste di molte delle aree del Mezzogiorno dove si va sviluppando un sentimento antirisorgimentale e antiunitario che non va trascurato perché se “Cristo si è fermato a Eboli” anche l’alta velocità non è andata molto più lontano. E poi c’è da dire che il sud manca ancora in alcune aree di infrastrutture che segnano la civiltà di un popolo. Parliamo di strade necessarie per lo sviluppo economico, di acquedotti. Noi che da Roma vediamo anche la storia ci rendiamo conto che è inimmaginabile che ci siano delle città in Italia meridionale dove l’acqua arriva una volta ogni quindici giorni per qualche ora.

Aver chiuso su questo argomento è anche la dimostrazione dello spirito nazionale, del sentimento di Patria che il Preside D’Elia coltiva in queste sue “Lezioni di Storia”, perché “un popolo senza memoria non ha futuro”.

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