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Febbraio 2009

Se Berlusconi dice “non sottovalutate Franceschini”
di Senator

Ha intuito Berlusconi, e conosce bene le tecniche della comunicazione. Quando invita i suoi a non sottovalutare il nuovo, sia pure precario, capo del Partito Democratico. Mai prendere gli avversari politici sottogamba, mai, in politica come nella vita, dare per scontato che un partito allo stremo delle sue forze, diviso al suo interno, non possa ritrovare, con un colpo di reni, la capacità di calcare la scena. Ha ragione Berlusconi, eppure a me questo giovanotto non piace, non è mai piaciuto, per quella sua aria da primo della classe, che sa tutto ed è l’interprete dei valori cattolici, più esattamente del cattolicesimo democratico e progressista. Mah! Ha ragione Berlusconi, non sottovalutiamolo, ma continua ad essermi antipatico, saccente e spocchioso, caratteristiche che hanno fatto uscire dalla scena politica o ridimensionato personaggi di più solido spessore, che proprio per quell’apparire saputelli la gente ha schizzato, sul piano elettorale e nei salotti della politica. Non sottovaluterò Franceschini, anche se immagino che queste mie impressioni siano largamente condivise. Ma, ovviamente, in politica non si sa mai. La prima mossa, quella di aver eliminato il “governo ombra”, non è stata proprio una trovata particolarmente utile per un partito che vuole riconquistare il potere. Va bene che in questa fase il neosegretario deve accentrare in se ogni decisione, ma potrebbe anche essere un passo falso, che non gli consentirà di controllare da vicino i leader che mordono il freno e sono pronti a porre la loro candidatura alla sua successione.
28 febbraio 2009

Giacalone e la Corte dei conti
Idee poche e confuse

di Salvatore Sfrecola

“Uffa, ancora ‘sta solfa!”, lo dice lo stesso Giacalone (Davide) nell’ennesimo attacco alla Corte dei conti su Libero di oggi discettando di controlli e giurisdizione a margine delle relazioni con le quali il Presidente ed il Procuratore generale hanno riferito sullo stato dei controlli e dell’attività giudicante e requirente in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario delle Sezioni Riunite. E qui il Nostro, preso da un inveterato furore critico nei confronti dell’Istituto, dice che quando i magistrati della Corte “invocano più controlli, dovrebbero farlo davanti allo specchio.. dimenticando che se i soldi vanno sprecati è segno che i controlli o non funzionano o sono corrotti, in tutti e due i casi dovrebbero essere giudicati da… quegli stessi magistrati che possono fare indifferentemente, l’una o l’altra cosa”. Evidentemente ignorando che i controlli preventivi di legittimità, quelli che, intervenendo prima che l’atto abbia efficacia evitano lo spreco, sono stati di fatto azzerati. Limitati a pochissimi atti di gestione, essi vengono esercitati su provvedimenti a carattere essenzialmente normativo o su direttive, provvedimenti certamente importanti nella vita amministrativa ma che non dispongono immediatamente una spesa. Ugualmente sono stati eliminati i controlli sugli enti locali, che sono quelli che gestiscono la maggior parte delle risorse pubbliche. Ecco il motivo della richiesta di maggiori controlli, che non sono necessariamente quelli della Corte dei conti. Per esempio, l’ho già detto, i collaudi sono uno snodo essenziale negli appalti di lavori e forniture. Giacalone spara nel mucchio. Cui prodest? le istituzioni vengono vilipese tanto per soddisfare lo spirito antiromano e antistatale che alligna in questa stagione nella quale il senso dello Stato è praticamente vicina allo zero. Ex ore tuo iudico, mi assumo una responsabilità. Giacalone (Davide) sa poco o niente della Corte dei conti, ne ha sentito parlare nelle sue frequentazioni governative dove alto si percepisce l’insofferenza per i controlli e più ancora per la giurisdizione di responsabilità amministrativa e contabile.
13 febbraio 2009

Lo denuncia la Corte dei conti
INEFFICIENZA E CORRUZIONE DILAGANO

di Salvatore Sfrecola

“L’Amministrazione, ha detto nei giorni scorsi il Presidente Tullio Lazzaro, in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario della Corte dei conti, costituisce l’indispensabile ingranaggio di trasmissione tra le scelte politiche, di spettanza esclusiva di Parlamento e Governo, e la concreta trasposizione di esse in fatti del mondo reale e quotidiano: ma, come ogni ingranaggio che abbia una funzione vitale, va costantemente tenuto sotto controllo per assicurarne un funzionamento perfetto e mai inceppato”. Sono gli atti concreti dall’Amministrazione, infatti, che giorno dopo giorno realizzano i programmi in attuazione dell’indirizzo politico della maggioranza, avallati dal voto elettorale.
Ma l’amministrazione – è il monito della Corte dei conti – deve agire con la “massima trasparenza” perché, “là dove essa manchi il cittadino percepisce la funzione pubblica come un qualcosa di estraneo, di diverso da sé e dal proprio mondo. Da qui la disaffezione verso le istituzioni e anche verso i centri della politica: male, questo, oscuro e sottile che può costituire un rischio mortale per la vita stessa della democrazia”. Aggiungendo che “è tale senso di estraneità che fa talora vedere l’Amministrazione come un diaframma tra le attese dei cittadini, basate su norme o su canoni di buona amministrazione, e quanto realizzato”.
Una censura pesante, formulata dinanzi al Capo dello Stato ed ai rappresentati di Parlamento e Governo, per dire che l’inefficienza è motivo di forte disagio tra i cittadini e fonte di corruzione e concussione. L’Amministrazione priva di adeguate risorse strumentali, in uomini e mezzi, spinge a cercare scorciatoie per ottenere il giusto e qualcosa di più, ungendo qualche ruota che stranamente rallenta il suo giro. Il funzionario tarda a decidere, sollecita sempre nuova documentazione, attestazioni, certificati, in barba alle norme sulla semplificazione amministrativa. Il cittadino, specie se imprenditore alla ricerca di una fornitura di beni e servizi per una pubblica amministrazione, non protesta, teme ulteriori complicazioni e di essere tagliato fuori. Subisce la violenza, è concusso, prova a corrompere. A volte l’iniziativa nasce nel sottobosco dei partiti, laddove si ricercano fondi per far fronte al “costo della politica”, somme di denaro o prestazioni in cambio di agevolazioni nelle forniture.
Va avanti così da sempre, anche quando il potere gestiva risorse limitate per poche, essenziali funzioni, la difesa nazionale, l’ordine pubblico, la giustizia. Oggi che il settore pubblico, stato, regioni, province e comuni, costituisce il più grande operatore economico d’Italia, dove si compra di tutto, dalla carta igienica ai missili, dove si costruiscono strade, porti, aeroporti, caserme, carceri e scuole, è evidente che la partecipazione a questa immensa torta fa gola.
Come contrastare i tentativi illeciti? La norma penale consente interventi a posteriori, se e quando la corruzione si è realizzata. Non è facile reprimere il fenomeno, sarà impossibile se avremo restrizioni nella possibilità di ricorrere ad intercettazioni telefoniche, che esigono tempo, non i trenta o sessanta giorni di cui si sente parlare. La regola tra gli attori del pactum sceleris è quella delle bocche cucite dalle quali trapela qualche sillaba, da mettere in fila e usare per ulteriori approfondimenti.
È necessario, poi, intervenire sui controlli. Ma non su quelli formali sugli atti, che poco possono fare per intercettare l’illecito. Occorrono controlli sulla realizzazione delle opere e delle forniture, collaudi severi che accertino il reale stato delle cose.
Perché una cosa è certa. L’imprenditore che deve pagare la “mazzetta” ha due modi per rientrare: aumentare il costo della fornitura o diminuirne il valore. Lo ha messo in risalto molto bene la Corte di Cassazione che, nel riconoscere la giurisdizione della Corte dei conti in materia di danno all’immagine dell’Amministrazione in caso di corruzione, ha sottolineato come il prezzo della tangente si riversi in ogni caso sul bilancio pubblico, attraverso l’aumento dei costi degli appalti o l’evasione fiscale, implicita nel pagamento in nero.
Lavori o forniture costose, dunque, e, il più delle volte, scadenti.
Ebbene, in talune amministrazioni, enti o società a capitale pubblico l’importanza del collaudo è trascurata, al punto che si è pensato di ridurre i compensi ai collaudatori. Errore gravissimo. Il collaudo è una attività preziosa e molto delicata, esige professionalità adeguate e assoluta indipendenza. Una funzione di garanzia il cui costo è infinitamente inferiore ai danni che un collaudatore incapace o disonesto può fare.
Si deve tener conto, inoltre, che al di là dei fatti di corruzione, i controlli sulle forniture di beni e servizi sono essenziali anche per un altro motivo, che spesso sfugge. In molti casi il prezzo dell’appalto lo fanno i concorrenti. È noto, infatti, che in alcuni settori, in particolare nella realizzazione di opere pubbliche di notevole importo, le imprese potenzialmente idonee sono poche. Così non si fanno concorrenza, ma si dividono il mercato. Si presentano in tre o quattro o poco più, una delle imprese fa l’offerta che può aggiudicarsi l’appalto, le altre propongono cifre che le pongono fuori dalla gara. State pur certi che nella gara successiva quella che ha vinto “sbaglia” offerta, favorendo chi l’ha agevolata la volta precedente e via così. Sta di fatto che appalti aggiudicati con forti ribassi impongono all’imprenditore di recuperare con lavori aggiuntivi, migliorie e perizie di variante concordate con l’amministrazione per situazioni sopravvenute e non previste in progetto o iscrivendo “riserve” nella contabilità dei lavori, per sospensione dei lavori o aumenti dei costi dei materiali non previsti. Tanto per fare qualche esempio, perché la fantasia di imprenditori e direttori dei lavori non conosce confini.
È questa la causa dei lavori programmati in tre anni ma realizzati in dieci, con una spesa, almeno, decuplicata.
Mancanza di trasparenza, inefficienza e corruzione, ha detto il Presidente della Corte dei conti “che può avere anche l’effetto, non voluto, di generare un clima di sospetto, una nebbia mefitica che sembra tutto avvolgere e genera sfiducia da parte dei cittadini onesti”.
13 febbraio 2009

Nella massima confusione delle idee
Eluana, l’orrore e la speranza

di Salvatore Sfrecola

La morte di Eluana induce a molte considerazioni. Per noi è un giorno triste, per la morte e per il modo con il quale questa è stata provocata. Perché questo va detto innanzitutto. Eluana non è morta naturalmente, ma per assenza di alimentazione e idratazione. In sostanza sono state volontariamente poste in essere le condizioni perché quel corpo non potesse resistere oltre. Lo si è fatto, si dice e lo hanno ammesso i giudici, perché quella era la volontà della donna. Perché sarebbe stato riferito che, di fronte ad un caso analogo ella, nel fiore degli anni e nelle migliori condizioni di salute, avrebbe detto che nelle stesse condizioni non sarebbe stata disposta a vivere. Discuteremo a lungo se, in assenza di una legge, i giudici avrebbero potuto accettare la richiesta del tutore. Intanto vanno dette alcune cose in punto di diritto: – il decreto legge predisposto dal governo corrispondeva ai criteri costituzionali della straordinaria necessità ed urgenza, stabiliti dall’art. 77 della Carta fondamentale. C’era da salvare una vita umana ed il fatto che il Parlamento abbia tardato a definire una normativa ad hoc sul cosiddetto testamento biologico non è rilevante, anzi è la prova che si sono determinate le condizioni straordinarie per un intervento necessario ed urgente. La storia parlamentare è ricca di esempi. La valutazione è ampiamente discrezionale da parte del governo, anche perché si tratta di un provvedimento provvisorio soggetto a conversione da parte delle Camere in un tempo brevissimo (sessanta giorni). L’attuale Presidente della Repubblica ha firmato provvedimenti che spesso hanno fatto dubitare della loro conformità ai principi della Costituzione in materia di decretazione d’urgenza. E’ delle scorse settimane la protesta del Presidente della Camera Fini a proposito dell’abuso dei decreti legge! Quella protesta presupponeva che fosse stato superato il limite del rapporto tra esercizio della funzione legislativa in via ordinaria assegnata alle Camere e poteri normativi straordinari del Governo. – non è vero che sia incostituzionale intervenire in materia sulla quale si sono espressi i giudici. Questi applicano le leggi che fa il Parlamento. Se i rappresentanti del popolo ritengono che una sentenza abbia male interpretato una legge o sia intervenuta in materia non regolata dalla legge, come nel nostro caso, le Camera possono regolamentare la materia. Non significa travolgere una sentenza ma creare le condizioni nuove per operare nel futuro, anche se questo dovesse incidere sugli effetti di una sentenza. Non siamo in materia penale. Di leggi che hanno messo nel nulla sentenze, anche in forma di interpretazione autentica, se ne può riempire un volume di centinaia di pagine. La verità è che si è fatta una battaglia ideologica in nome della libertà. Ebbene, la libertà di chi non è in condizione di manifestare la sua volontà va tutelata. E questo dovrà fare la legge che il Parlamento non potrà più rinviare. Una legge che stabilisca: – cosa significa vivere e qual’è il limite della vita, considerato che abbiamo casi di persone svegliatesi dal coma giudicato irreversibile; – quale sia la volontà del soggetto rispetto alla sua attuale condizione e come l’abbia espressa e chi, eventualmente, possa supplire con la sua volontà a quella della persona malata; – una procedura di assoluta garanzia, che consenta la verifica delle condizioni di salute e della volontà della persona o di chi legittimamente la esprime, in rapporto ad eventuali altri interessi, come quello di chi potrebbe trarre vantaggi dal prolungamento della vita ovvero dall’anticipazione della morte. Tutti temi che vanno messi in agenda se si vuol fare una legge che faccia onore al nostro Paese ed alla nostra tradizione giuridica ed allontani gli spettri, tante volte evocati in questi giorni, della legislazione nazista che sullo stato di salute delle persone ha costruito una sorta di “pulizia sanitaria” che ha destato e continua a destare orrore. Ecco perché dopo l’orrore di questi giorni si fa strada la speranza che un caso Eluana non si verifichi mai più.
10 febbraio 2009

Se Eluana muore, il Comitato Verità e Vita
presenterà denuncia alla Procura della Repubblica

Il Comitato Verità e Vita, riferisce Corrispondenza Romana, ha inviato alle case di cura potenzialmente interessate – fra cui “La Quiete” di Udine – una lettera di diffida che ipotizza – nel caso si verifichi la morte di Eluana Englaro – una fattispecie di omicidio volontario. Nel documento, in cui vengono esposte le ragioni giuridiche a sostegno di questa tesi – il Comitato avverte che “intende porre in essere ogni azione necessaria ed opportuna per impedire che il signor Beppino Englaro metta in atto la condotta cui è stato autorizzato dalla Corte d’Appello di Milano.” Verità e Vita – si legge nella lettera, a firma del Presidente Mario Palmaro – “presenterà denuncia alla Procura della Repubblica del luogo dove la morte di Eluana Englaro fosse stata procurata, ipotizzando il reato di omicidio volontario premeditato – punito dal codice penale con la pena dell’ergastolo – nei confronti di tutti coloro che – con azioni o con omissioni – avessero contribuito a cagionare l’evento”. Secondo Verità e Vita la responsabilità dei Dirigenti della struttura sanitaria potrebbe avere duplice natura: da un lato, la disponibilità della struttura all’accoglienza della signorina Englaro per procedere alla sua uccisione, renderebbe inevitabile ipotizzare una responsabilità penale diretta nell’omicidio perpetrato; inoltre, vi potrebbe essere una grave responsabilità per avere indotto il personale dipendente ad azioni che rischierebbero di essere severamente punite in base alle norme penali. Proprio per questo motivo, Verità e Vita chiede alla Casa di Cura che si troverà ad accogliere Eluana di informare immediatamente il proprio personale “affinché siano chiare le responsabilità cui ciascun medico o infermiere andrebbe incontro nel caso si prestasse all’azione voluta dal sig. Beppino Englaro”. Ogni dipendente della clinica dovrebbe infatti sapere “che un procedimento penale nei suoi confronti per il reato di omicidio volontario sarà indubitabilmente aperto, quanto meno a seguito dell’esposto presentato da questo Comitato”. E la decisione dei giudici che ha autorizzato la sospensione delle cure? Secondo Verità e Vita gli atti del procedimento civile conclusosi avanti alla Corte d’Appello di Milano non potranno essere un solido paravento rispetto alle valutazioni del Giudice penale, sulla base di numerosi riferimenti alla legge italiana, riportati in dettaglio nella lettera di diffida. Verità e Vita fonda le proprie argomentazioni su alcuni fatti ampiamente documentati nella lettera: Eluana è viva; Eluana non è un paziente terminale; le sue condizioni di salute sono stabili e quindi non si può parlare di accanimento terapeutico, perché alimentazione e idratazione non possono essere considerate “cure inutili”; togliere il sondino a Eluana è paragonabile a togliere cibo e acqua a una qualsiasi persona; la morte che ne deriverebbe avrebbe la durata di un processo lungo e, secondo alcuni, doloroso.
6 febbraio 2009

Non c’è bisogno di un decreto per salvare la vita a Eluana Englaro
La legge punisce l’omicidio del consenziente

di Salvatore Sfrecola

Il Governo “frena”, il Quirinale ha dubbi, Fini è contrario, Così i giornali oggi trattano la questione della morte annunciata di Eluana Englaro e della ipotesi di un provvedimento d’urgenza che detti alcune regole fondamentali al riguardo.
Il problema è reale, come dimostra l’ampiezza del dibattito e l’acuirsi della polemica, ma occorre ancora una volta fare chiarezza. In assenza di una disciplina specifica sulla fine della vita vigono le regole generali, quelle desumibili dai principi dell’ordinamento e quelle stabilite dalle leggi vigenti, dal codice penale, in specie, che all’art. 579 punisce l’omicidio del consenziente. Di contro nel sistema sanitario nazionale e nella deontologia del medico la persona malata va curata. Lo dimostra la circostanza che non esiste un protocollo per l’assistenza alla morte, tanto è vero che la Corte d’appello di Milano, decidendo su ricorso del tutore (il padre) ha dovuto definire un protocollo, al quale fanno riferimento oggi i medici e la stampa. Ai medici, infatti, è consentito solo alleviare le sofferenze di un eventuale “accanimento terapeutico”, formula magica degli amici della morte e dei trapiantisti. La fattispecie Eluana, invece, è diversa. La donna vive, ha reazioni naturali, è alimentata. E poi comincia a vacillare la tesi che la donna avrebbe voluto morire, non solo per l’ovvia considerazione che non sono da prendere in considerazione presunte opinioni manifestate dalla giovane, nella pienezza delle sue facoltà fisiche e mentali, magari con una battuta in una conversazione. Una opinione che potrebbe manifestare chiunque, non essendovi interessato. Ma queste certezze oggi sono smentite da alcune testimonianze, l’amica del cuore di Eluana, un amico di famiglia. Dubbi che ha avuto anche il Procuratore della Repubblica di Udine che, a quanto riferiscono i giornali, starebbe indagando proprio su questi aspetti. Non c’è bisogno di una legge per salvare la vita a Eluana, occorre solo far rispettare la legge, che è altra cosa.
6 febbraio 2009

Pietà per Peppino Englaro,
non per quanti vogliono far morire Eluana

di Salvatore Sfrecola

Pietà per Peppino Englaro nella vicenda dolorosa di Eluana. Nella battaglia che questo giornale sta conducendo per la difesa della vita, non ho mai parlato del vecchio Englaro. Questo padre che chiede di far morire la figlia io proprio non lo capisco, mi sembra innaturale, giustificabile solo da un dolore grandissimo che nel corso degli anni deve aver inciso gravemente sulla sua personalità. Perché un padre, creda o meno in Dio e nella sacralità della vita, nei confronti di quel corpo, anche se non più vigile, non può non avere un tenerissimo affetto, un’attenzione per quel minimo di vitalità di cui quanti l’assistono hanno testimoniato in questi giorni. Mi auguro che il caso di Eluana Englaro abbia una soluzione diversa da quella che auspicano quanti vorrebbero farla morire per affermale la filosofia del nulla, della mancanza di ogni valore spirituale, che non è necessariamente religioso. Stupisce, quindi, che il Ministro Prestigiacomo che dichiara al Corriere della Sera di oggi che non avrebbe mai “la forza di chiedere di sospendere l’alimentazione per mio figlio in quelle condizioni” e di provare “un’angoscia profonda nel pensar che una donna si spenga lentamente per mancanza di cibo”, poi ritenga che non sia opportuno che il Governo assuma un’iniziativa. Eppure ribadisce di faticare “a considerare alimentazione e idratazione artificiali come accanimento terapeutico”. Capisco che l’on. Prestigiacomo sia spaventata dall’idea “che una legge dello Stato possa stabilire quando staccare la spina senza tener conto del singolo caso specifico, dell’opinione dei medici e dei familiari”. Ma questa è la prova che è necessario intervenire con una disciplina che tenga conto della specificità del caso e della varietà delle situazioni che possono verificarsi in concreto. Una scelta difficile, senza dubbio, ma sempre meglio del Far West nel quale ci troviamo!
5 febbraio 2009

Che delusione Frau Merkel!
Il Cancelliere tedesco vuole insegnare il “mestiere” al Papa

di Salvatore Sfrecola

C’è sempre qualcuno che vuole insegnare a Benedetto XVI a fare il Papa, a scegliere i santi ed i beati della Chiesa, come nel caso delle critiche al processo di beatificazione del Papa Pio XII, e a stabilire chi è dentro e chi è fuori, come accade in questi giorni a proposito dell’annullamento della scomunica ai vescovi della Comunità fondata da Monsignor Lefebvre. Stavolta scende in campo perfino il Cancelliere tedesco Angela Merkel che chiede un “chiarimento” da parte della Santa Sede a proposito del vescovo “negazionista”, come si usa dire, Williamson. Poiché il chiarimento c’è già stato non si comprende come la Merkel, che di diplomazia dovrebbe intendersi, torni sull’argomento sul quale la Chiesa non ha mai avuto tentennamenti. Padre Federico Lombardi ha ricordato, tra l’altro, che il pensiero di Benedetto XVI è stato espresso con molta chiarezza nella Sinagoga di Colonia il 19 agosto 2005, nel campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau il 28 maggio 2006, nella successiva udienza del 31 maggio 2006 e ancora recentemente al termine dell’udienza generale del 29 gennaio scorso». Per Padre Lombardi, “la condanna delle dichiarazioni negazioniste dell’Olocausto non poteva essere più chiara, e dal contesto risulta evidente che essa si riferiva anche alle posizioni di monsignor Williamson e a tutte le posizioni analoghe. Nella stessa occasione – ha continuato – il Papa stesso ha spiegato chiaramente anche lo scopo della remissione della scomunica, che non ha nulla a che vedere con una legittimazione delle posizioni negazioniste, da lui appunto chiaramente condannate”. Tra l’altro il Cancelliere tedesco non sembra aver avuto neppure un minimo di imbarazzo entrando a piede teso in una materia, quella degli orrori del Nazismo e delle camere a gas che pesa sulla coscienza del popolo tedesco. E’ forse proprio per questo motivo che la Merkel vuol essere più papista del Papa, che non ha certamente bisogno che lei o nessun altro gli insegni cosa deve fare e dire in nome della Chiesa. E’ un brutto vizio diffuso tra i politici di mezzo mondo i quali evidentemente sono sempre alla ricerca di un argomento che distragga l’opinione pubblica dai fatti della politica e dalla gestione del potere. Ci delude, Frau Merkel, profondamente!
4 febbraio 2009

Che tristezza Eluana che va a morire!
di Salvatore Sfrecola

Questo giornale ha lottato per Eluana Englaro, per il diritto, contro lo stravolgimento ideologico delle regole fondamentali della vita e della morte, senza mai invocare principi religiosi a sostegno delle ragioni della vita e delle cautele che devono circondarla dal suo inizio alla naturale conclusione. Continueremo, dunque, a levare alta la nostra protesta contro tutti coloro che intendono regolare sul piano giuridico i limiti della vita, come fosse una foglia che cade, un albero che si secca, una roccia che frana. Senza considerare, cioè, che la vita, anche per chi non crede, è un valore di carattere sociale prezioso, come vuole la Costituzione, che riconosce il diritto alla salute ed individua un interesse sociale alla promozione della personalità umana. Eluana se ne va, per l’accanimento di troppi che intendono in questo modo affermare il loro diritto a decidere per lei, perché non sanno riconoscere i segni della vita in un corpo che comunque mantiene una capacità di sopravvivere, sia pure assistito. Che tristezza sentire che questi che la portano a morire dicono di amarla o, almeno, di rispettare la sua volontà, in fin dei conti di farlo “per lei”! Non ci convince affatto. Come non convince Scienza & Vita che per Eluana invoca l'”ingerenza umanitaria”. “Dinanzi alla tragedia che si sta consumando a Udine e alla decisione di togliere l’acqua e il cibo a Eluana Englaro, invochiamo una vera e propria ingerenza umanitaria, in nome di un sacrosanto principio di precauzione che solo per lei non si vuole applicare”. Così si esprime l’Associazione Scienza & Vita che da sempre sostiene che “la giovane Eluana è una persona in condizione di massima fragilità, un grande disabile, a cui si dovrebbe sentire l’urgenza di garantire il necessario per continuare a vivere, ovvero l’idratazione e l’alimentazione che non dovrebbero mai essere negate alle persone, e sono migliaia in Italia, che versano nelle stesse condizioni”. Scienza & Vita pertanto annuncia che metterà in essere ogni tentativo, anche sul territorio friulano, perché emerga “il dissenso popolare rispetto alla scelta della magistratura italiana”. “Siamo convinti – aggiunge l’Associazione – che il sentimento popolare diffuso sia quello per la salvaguardia della vita e che la fuga in avanti della magistratura, che ha rafforzato le convinzioni della famiglia, rappresenti un gravissimo strappo alla coesione sociale del nostro Paese”.
“L’ingerenza umanitaria – precisa Scienza & Vita – dovrà trovare forme rispettose sia delle leggi, delle sentenze come della sensibilità della famiglia. Ma non ci si può chiedere il silenzio dinanzi ad un atto, togliere l’acqua e il cibo a un disabile, che è semplicemente disumano. Noi continueremo a dare voce a chi ritiene la vita un bene supremo indisponibile e che la medicina debba curare e non dare la morte”.
3 febbraio 2009

Su Eluana una battaglia ideologica in barba al diritto
di Salvatore Sfrecola

Dice bene Iudex, commentando le relazioni di apertura dell’anno giudiziario a Roma e nei distretti di Corte d’appello, rilevando la “poca umiltà” che caratterizza quei documenti. Poca, anzi nessuna, come dimostrano le parole con le quali il Presidente della Corte d’appello di Milano ha bacchettato politici e amministratori che dissentono dalla decisione assunta sul caso di Eluena Englaro, con quelle “disposizioni accessorie” che in sostanza stabiliscono un protocollo medico nella fase terminale della vita della giovane. Un protocollo che quindi non esiste nella realtà dell’ordinamento se i giudici meneghini si sono preoccupati di definirlo. Non è questa un’invasione di campo, quella “supplenza giudiziaria” di cui ha parlato il Presidente della Corte costituzionale, Giovanni Maria Flick. E che senso ha richiamare la Corte di Cassazione, la Consulta e la Corte europea dei diritti dell’uomo se in quelle sedi le pronunce hanno riguardato esclusivamente aspetti procedurali che nulla hanno a che fare con la realtà del caso che non è disciplinato nei protocolli che realizzano i livelli di assistenza, che spetta allo Stato definire e sui quali si è espresso il Ministro competente, l’on. Maurizio Sacconi, che in proposito ha emanato una direttiva che non risulta neppure impugnata. La verità è semplice e sotto gli occhi di tutti. Su Eluana si combatte una battaglia ideologica che, in barba al diritto, vuole affermare il valore privato della vita, in relazione ad un diritto da esercitare non solo dalla stessa persona, che potrebbe legittimamente decidere di non curarsi, ma da chi ne abbia la legale rappresentanza in caso di interdizione, assumendo un potere terribile che non potrebbe essere riconosciuto dal giudice in assenza di una legge dello Stato. Una “supplenza giudiziaria” non ammissibile, mai in uno stato di diritto dove i poteri non debordano e dove comunque la volontà del Parlamento prevale, in quanto espressione della volontà del popolo, nei limiti della Costituzione della Repubblica e dei principi che solo alla sua base.
1 febbraio 2009

Nelle cerimonie di inaugurazione dell’anno giudiziario
Giustizia: tante denunce, poca umiltà

di Iudex

Nelle cerimonie di inaugurazione dell’anno giudiziario, in Cassazione e nelle Corti d’appello, sono fioccate, come ogni anno, denunce di disfunzioni del sistema giustizia. Non vanno molte leggi, i magistrati sono pochi e mal distribuiti, gli spazi e i mezzi materiali insufficienti, il personale di collaborazione scarso. Come tutti gli anni, i colleghi presidenti e procuratori generali dipingono senza pietà i mali della giustizia che, del resto, ogni cittadino può constatare di persona, a leggere i giornali e mai che si azzardi ad adire un tribunale civile per rivendicare un diritto. E’ come nel caso delle telefonate di un certo gestore, i processi allungano la vita, nel senso che i cittadini si tengono su in attesa della sentenza. Mai, però, che si senta un’autocritica, che un minimo di umiltà spinga i vertici degli uffici giudiziari a riconoscere che, in molti casi, si potrebbe fare di più, perché, per fare un esempio semplice, il giovane che la notte dell’ultimo dell’anno ha violentato una ragazza poteva essere portato dinanzi al giudice il giorno dopo, come avviene nei paesi civili. Uno scatto di orgoglio che, nel momento difficile che vive la giustizia, avrebbe potuto restituire fiducia al cittadino e forse far riflettere alcune forze politiche che, da episodi di evidente inefficienza, traggono i motivi per una riforma della giustizia che sa tanto di una spietata resa dei conti. I segnali sono evidenti da tempo, ma i colleghi stentano a prenderne coscienza. Preferiscono le lamentazioni, presi da quella sindrome di accerchiamento, da quel vittimismo che è deleterio nei rapporti interni e tra le istituzioni. Eppure un tempo, neppure molto lontano, la giustizia italiana, pur non efficientissima, aveva maggiore dignità. I magistrati erano meno, gli spazi inferiori, eppure si riusciva in tempi ragionevoli a dare una risposta al cittadino ed alla società. Da ragazzo, prima di entrare in magistratura, frequentavo il Palazzo di Giustizia di piazza Cavour dove, a parte la Pretura, trovavano collocazione gli uffici giudiziari della Capitale. Oggi tra Piazzale Clodio e dintorni, viale Giulio Cesare e via Lepanto gli uffici giudiziari di Roma occupano spazi importanti. Per non dire dell’Ufficio del Giudice di Pace in via Teulada. E allora? E’ vero che gli italiani sono litigiosi, che gli avvocati, quando pensano di perdere, chiedono rinvii che i giudici concedono generosamente per allentare la pressione delle sentenze che devono scrivere. Ma oggi i giudici hanno strumenti che solo qualche anno fa erano sconosciuti, i computer che consentono di risparmiare tempo nella stesura e nella pubblicazione delle sentenze e poi le banche date che mettono a disposizione la giurisprudenza, i precedenti, in tempo reale. Suvvia colleghi! Giuste le denunce, le leggi che non vanno, la distribuzione inadeguata di personale di magistratura e amministrativo negli uffici giudiziari in giro per l’Italia, ma rimbocchiamoci le maniche e dimostriamo che il servizio allo Stato, soprattutto nella funzione di magistrato, è una nobilissima professione che deve inorgoglire, anche quando esige qualche sacrificio.
1 febbraio 2009

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