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Frammenti di riflessioni

del Prof. Avv. Pietrangelo Jaricci

Astensione obbligatoria del giudice per grave inimicizia

La normativa relativa al dovere di astensione del giudice recata dagli artt.51 e ss. c.p.c. applicabili al processo amministrativo sulla base del rinvio operato dall’art. 17 c.p.a., derogando al principio del giudice naturale precostituito per legge previsto dall’ art. 25 Cost., è di stretta interpretazione e non può essere applicata oltre i casi specificamente previsti. In tale contesto, considerato che la grave inimicizia prevista quale causa di astensione obbligatoria dall’art.51, comma 1, n. 3, c.p.c. va desunta da fatti oggettivi e in tal senso, non a caso, è accostata topograficamente dalla stessa norma alle ipotesi “causa pendente” o “rapporti di credito o debito con una delle parti o alcuno dei suoi difensori”. Tali fatti oggettivi non possono essere identificati nell’avere il magistrato espresso opinioni su temi ambientali, anche quando riferiti a specifici argomenti quali la tutela di una specie animale ritenuta meritevole di protezione, né tanto meno nell’avere il medesimo espresso giudizi critici su fatti, quali l’avere organizzato un banchetto a base di carne di orso, che per le loro caratteristiche strutturali possono facilmente stridere con la comune coscienza sociale o addirittura, ricorrendone i presupposti, assumere caratteri di illiceità, anche penale (Cons. Stato, Sezione III, ordinanza 27 novembre 2020, n.7508).

La riforma della giustizia. Ancora lontani da soluzioni accettabili

Il Ministro Bonafede ha licenziato la sua relazione sullo stato della giustizia.

Il documento “è un evanescente surrogato del programma originale, sul quale il Parlamento si sarebbe dovuto pronunciare. Il risultato è un caotico sincretismo di aspirazioni enfatiche che per di più, e questa è la parte che ci interessa, inverte i termini della questione. Perché è vero che le risorse destinate alla giustizia sono insufficienti, ma è ancor più vero che la loro destinazione, senza le adeguate riforme normative, assomiglierebbe al nutrimento forzoso di un organismo malato, il quale distrugge il cibo che non riesce ad assimilare. E il nostro sistema giudiziario è minato da un morbo che lo corrode dal di dentro, e che dev’essere estirpato prima di pensare al recupero dell’organismo. Questo morbo è la complessità e l’inadeguatezza di entrambi i codici che disciplinano il processo, quello civile quanto quello penale. I sintomi più allarmanti sono, come è ormai stucchevole ripetere, i tempi biblici della loro durata…

Il fallimento della giustizia risiede nel dilettantismo indifferente e opaco con il quale la politica ne ha da tempo trascurato le esigenze. E tuttavia è quasi una Nemesi che il governo Conte sia caduto proprio per evitare un dibattito parlamentare sulla prescrizione, che ne costituisce la macchia più indelebile” (Carlo Nordio, “La riforma che non serve a migliorare la giustizia”, Il Messaggero, 29 gennaio 2021).

Senatori a  vita

“E’ successo altre volte che venissero in soccorso del governo di turno. Ed ha sempre destato sconcerto. Si tratta, infatti, a parte gli ex Presidenti della Repubblica, uomini di parte a tutti gli effetti, di personalità che, come si legge nell’art. 59, comma 2, della Costituzione, hanno illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, artistico e letterario Scelti da un politico (il Presidente della Repubblica) con criteri politici, come politici finiscono per comportarsi nonostante gli indubbi altissimi meriti che hanno giustificato la nomina. Se n’è chiesta, pertanto, più volte l’abolizione” (Salvatore Sfrecola, “La questua tra i senatori a vita. Un altro motivo per abolirli”, in questa Riv.,19 gennaio 2021).

Un naviglio nella tempesta

“Qualsiasi marinaio a bordo di una nave che fa acqua sa che si deve dar da fare per evitare che l’imbarcazione vada a fondo. Dire che bisogna cambiare il comandante, cercare i responsabili della falla, accusare l’armatore o sostenere che c’è bisogno di un nuovo vascello non eviterebbe il naufragio… Il problema però è che quando sei a bordo di un traghetto condotto da un capitano che non sa come evitare che il battello finisca sugli scogli, la prima cosa da fare è levargli il timone dalle mani. E se per caso poi egli è supportato da una ciurma di ubriachi, oltre a levare il fiasco ai naviganti, devi provvedere a fare in modo che l’equipaggio non faccia più danni di quelli già fatti. Certo che la cosa migliore è mettersi ai remi e pagaiare tutti nella stessa direzione, in modo da raggiungere il più in fretta possibile un porto sicuro e mettere in salvo i passeggeri, ma per vogare uniti è per lo meno necessario decidere in quale direzione, altrimenti si rischia di finire in alto mare” (Maurizio Belpietro, “Ma questi non schiodano. Impossibile stare con loro”, La Verità, 29 gennaio 2021).

L’arrivo di Draghi

Con l’arrivo di Mario Draghi, aria nuova e salubre nel mondo della politica.

L’auspicio è che “L’Italia immobile” – così ha efficacemente titolato un suo recente ed apprezzato lavoro Michele Corradino, già recensito in questi “Frammenti” – deve ripartire senza che vengano frapposti indugi di sorta.

L’Italia, come ha pure osservato Buttafuoco, deve essere “ricostruita”. La politica del “vaffa”dimenticata e, quindi, tornare nelle mani di eletti competenti, consci del proprio ruolo, culturalmente preparati e giammai in quelle di dilettanti improvvisatori.

In questo Paese c’è molto da rottamare, a partire dall’intera compagine      governativa, né si può rinviare sine die l’esigenza prioritaria di dare voce alpopolo in una prossima tornata elettorale.

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