sabato, Luglio 27, 2024
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Le leggi di difficile interpretazione limitano i diritti dei cittadini

di Salvatore Sfrecola

La critica al linguaggio della pubblica amministrazione è ricorrente. Il “burocratese” permea di sé gli atti amministrativi ma non è estraneo neppure alle leggi. In entrambi i casi, chi ha amore per la nostra meravigliosa lingua, ricca di sostantivi e aggettivi capaci di generale comprensione non può che rilevare l’uso di un vocabolario antiquato, stantio insieme ad una tecnica espositiva farraginosa che rende ardua la comprensione dei testi giuridici. Non soltanto ai comuni cittadini, che comunque debbono essere posti nella condizione di capire il senso delle disposizioni di legge, ma anche degli esperti ai quali non è sufficiente leggere il testo perché la formulazione delle disposizioni di legge usa la tecnica del rinvio ad una norma che contestualmente viene corretta ed integrata con la conseguenza che è necessario contestualmente disporre del testo che viene modificato o integrato. E non basta. Ad aggravare le difficoltà dell’interpretazione delle norme intervengono circolari o direttive ministeriali che vincolano i funzionari ma non, naturalmente, i giudici i quali a loro volta interpretano la norma, attività non sempre facile, soprattutto per quelle modificazioni ed integrazioni per le quali va capita la voluntas legis. Che se si tratta di decreti legge va individuata anche nella legge di conversione che, il più delle volte, modifica le modifiche e ne aggiunge altre.

Di questa oscurità del linguaggio e di questa tecnica espositiva pesante si è scritto e si è detto molto nel tempo. Ed è tornato a scriverne un’eminente giurista il professor Sabino Cassese, docente di diritto amministrativo ed ex Giudice della Corte costituzionale, brillante editorialista del Corriere della Sera che da tempo conduce una critica serrata alla legislazione, da ultimo a quella emergenziale sospetta di plurime violazioni di principi costituzionali.

Oggi ha scritto un fondo (“Lo Stato, l’incuria e l’italiano oscuro delle leggi”) che prende lo spunto dal decreto-legge n. 5 del 4 Febbraio 2022, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 29 dello stesso giorno, recante “Misure urgenti in materia di certificazioni verdi COVID-19 e per lo svolgimento in sicurezza delle attività nell’ambito del sistema educativo, scolastico e formativo”, in tema di durata della validità delle certificazioni per chi risiede in Italia e per chi proviene dall’estero e la loro efficacia nella zona rossa, spostamenti da e per le isole e il trasporto scolastico, gestione dei casi di positività nelle scuole.

Il Prof. Cassese sottolinea in apertura come si tratti di materie “che non presentano un grado di difficoltà simile a quello affrontato dal Georg Wilhelm Friedrich Hegel nella «Fenomenologia dello spirito». Tuttavia, i redattori del decreto sono riusciti nell’ardua impresa di rendere la lettura del decreto altrettanto difficile a quella dello studio dell’opera del grande filosofo tedesco”. Insomma, ce l’hanno messa tutta per varare un pezzo di letteratura legislativa dal periodare pesante, ripetitivo quando sarebbe stato possibile usare uno schema di facile comprensione, che non lasciasse dubbi all’interprete.

La tecnica legislativa è quella del puzzle che va ricomposto tra le norme richiamate, modificate o parzialmente integrate. Quando sarebbe senz’altro possibile ricostruire la norma nuova in modo da evitare l’impegnativa ricerca della precedente per comprendere quale sia la volontà del legislatore. Per corrispondere ad un’esigenza di chiarezza e di sobrietà che dovrebbe essere il requisito di ogni legge, perché la chiarezza dell’ordine dall’Autorità è un requisito di civiltà giuridica e, in fin dei conti, di democrazia.

Osserva Cassese che il decreto, composto da sette articoli contiene “ben dieci rinvii ad altri articoli di ben sette altri decreti o leggi”, ciò che comporta una impegnativa ricerca sulle fonti richiamate per comprendere come le modifiche e le integrazioni si inseriscano nel contesto generale della normativa. E non finisce qua, perché ci dovremo attendere, come abbiamo anticipato, che, in sede di conversione, le Camere certamente inseriranno ulteriori modifiche per cui leggeremo ancora che “le parole di cui all’art… del decreto-legge… convertito, con modificazioni, dalla legge… sono sostituite dalle seguenti…” e così via.

Osserva, inoltre, Cassese che nell’opera di ricerca dei precedenti, necessaria per comprendere il senso della norma, va considerato l’aggravio, normale nei decreti-legge, derivante dalla loro immediata entrata in vigore, sicché il tempo per la ricerca dei testi richiamati è sempre brevissimo. Nel caso del decreto n. 5, datato 4 febbraio, pubblicato nella stessa data, entrato in vigore il giorno successivo alla pubblicazione, quindi il 5 febbraio, l’illustre giurista immagina che ne derivi l’impegno “a una cinquantina di milioni di residenti nel territorio della Repubblica italiana di dotarsi in ore notturne di una piccola biblioteca giuridica e di molta pazienza per completare il «puzzle» degli incastri di norme che rinviano l’una all’altra”.

Un po’ di ironia perché – aggiunge – “per frapporre maggiori difficoltà all’accesso alle norme, poi, il sito ufficiale del governo, alle ore 17 di ieri 5 febbraio, nella sezione intitolata «Covid-19 le misure adottate dal governo» non conteneva alcun riferimento al decreto legge del 4 febbraio”.

L’articolo richiama in conclusione studi e pubblicazioni che si sono occupati della “lingua dello Stato”, non solo per sottolineare la sua lontananza da quella del cittadino ma per ricordare come lo Stato nel 1994 ha pubblicato un Codice di stile delle comunicazioni scritte ad uso delle amministrazioni pubbliche con l’intento di spiegare come scrivere le leggi e i regolamenti. Perché è evidente che uno Stato che comunica in modo difficile non facilita il cittadino che desideri adempiere nel rispetto della legge.

Anche questa situazione è l’effetto del degrado che vive il nostro Paese sul piano culturale e ne danno dimostrazione gli studenti che, dovendo sostenere l’esame di maturità, scendono in piazza all’annuncio che il Ministero dell’istruzione intende ripristinare la prova scritta di italiano, mentre si ha notizia che nella correzione delle prove scritte di molti concorsi pubblici i commissari hanno rilevato macroscopici errori di grammatica e sintassi. Del resto, alcuni anni fa, alcune centinaia di docenti universitari scrissero al Ministro dell’istruzione segnalando che nelle tesi di laurea si riscontravano frequentemente errori non ammissibili neppure in terza elementare. Occorre provvedere immediatamente nell’interesse dei giovani che all’atto della ricerca di un impiego potrebbero essere danneggiati dalla scarsa attitudine all’uso della lingua, scritta e parlata. Perché qualunque sia l’impiego ci sarà sempre una relazione, un appunto, una lettera da compilare. Con effetti inevitabili sulla “carriera” professionale.

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