giovedì, Ottobre 10, 2024
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Foibe: atrocità da non dimenticare

di Salvatore Sfrecola

In occasione della Giornata del ricordo delle vittime italiane della furia comunista, dei massacri delle foibe e dell’esodo giuliano-dalmata, pubblico, così come lo scrissi allora, il capitolo del mio “Un’occasione mancata” (Pagine Editore) nel quale ricordai la visita in un campo di raccolta dei profughi e la commozione che prese tutti i presenti.

Ho visto un anziano signore non riuscire

a trattenere le lacrime

in un Campo di Raccolta, vicino Trieste, a ricordo dell’esodo dei trecentocinquantamila italiani che dopo la guerra dovettero lasciare le terre italianissime dell’Istria e della Dalmazia. Affamati, impauriti, disorientati, con null’altro che un misero fagotto, che riassumeva i loro averi ed il lavoro di una vita e delle generazioni che li avevano preceduti, furono assistiti alla meglio in spazi angusti, pochi metri quadrati, un pagliericcio, un tavolo, un misero armadietto.

Noto quel signore elegante, accanto a sua moglie, abbracciati nella sofferenza del ricordo. Ad un certo momento fa il mio nome, rivolgendosi ad Enrico Para, il fotografo ufficiale di Fini. “C’è il Consigliere Sfrecola?” È il Professor Tullio Parenzan, docente di contabilità pubblica nell’Università di Trieste, studioso di valore, che ha soffermato la sua attenzione sui diritti del cittadino alla corretta allocazione e gestione delle risorse pubbliche, diritti che Parenzan in un famoso studio ha individuato come “diritti fondamentali dell’uomo e del cittadino”.

Con lui sono da tempo in contatto epistolare e telefonico, ma non lo conosco di persona. Né mai avrei pensato di incontrarlo in un Campo di Raccolta di profughi istriani.

Mi dice di sé, mentre sullo schermo passano le immagini tremende delle colonne di profughi che si imbarcavano sul piroscafo Toscana, che fa la spola tra l’Istria, Venezia ed Ancona. Bambino, aveva lasciato Pola portando con sé soltanto una gabbietta con un piccolo cardellino. Vedo gli occhi arrossati di sua moglie, profuga anch’essa. Lo sguardo che vaga sulle brande, sugli armadi di fortuna, sui miseri fornelli per cucinare quel poco per sopravvivere. Tutto parla di dolore, come le foto, le immagini degli occhi smarriti e impauriti di giovani, vecchi, di donne. Non ti viene voglia di parlare. Non sai cosa dire.

Vedo Fini commuoversi. Non è la prima volta. Da uomo di partito, con un’alta eredità culturale e ideale che richiama i valori della Patria, che vuol dire “terra dei padri”, ricorda, e da uomo di governo impegnato, pur tra mille difficoltà, a ricercare soluzioni dignitose, possibili giuridicamente e politicamente corrette. Per un’esigenza elementare di giustizia verso quanti hanno sofferto per il solo fatto di chiamarsi italiani e di sentirsi italiani.

Non è un discorso quello di Fini. Lui che tanta capacità ha di toccare le corde del cuore, preferisce parlare sommessamente, come in un colloquio privato. Ricorda come l’accoglienza dei profughi non fu sempre ispirata a cristiana pietà. Come nella sua Bologna, dove la Pontificia Opera di Assistenza aveva preparato alla stazione un pasto caldo per quanti provenivano da Pola, via Ancona. I comunisti bolognesi minacciarono lo sciopero in caso il convoglio si fosse fermato. E il treno non si fermò. “Gli esuli non elevarono proteste, sentendosi quasi in colpa per il disturbo arrecato e, piangendo, si dileguarono nella nebbia in direzione di La Spezia, verso i cameroni della Caserma Ugo Botti.

Proseguiamo per Trieste, dove si celebra la Giornata della Memoria, per scrivere una pagina di storia rimasta in bianco. E bianco è un piccolo nastrino che ci viene attaccato sul bavero della giacca, a rappresentare la pagina di storia che va scritta.

La commozione è grande nel teatro Verdi, il grande musicista, un nome con il quale nel corso del Risorgimento veniva evocata l’aspirazione all’unità d’Italia, sicché la scritta Viva Verdi, che la polizia austriaca non poteva contestare, per i patrioti significava “Viva Vittorio Emanuele Re d’Italia”. Commozione grande al canto di Vola colomba bianca, struggente richiamo alla separazione delle famiglie e delle persone, resa celebre da Nilla Pizzi. Dio del Ciel se fossi una colomba/ Vorrei volar laggiù dov’è il mio amor,/ Che inginocchiato a San Giusto/ Prega con l’animo mesto:/ Fa che il mio amore torni/ Ma torni presto. La voce della giovane soprano arriva in ogni ordine di posti nel teatro affollato. Non riesco a controllare la commozione!

Un canto, una volontà di riscatto, una richiesta di giustizia. Fini segue costantemente con particolare attenzione le questioni che gli pongono le associazioni degli esuli, pur tra le mille difficoltà dovute alla scarsità di risorse da mettere a disposizione degli indennizzi e per l’azione dei governi dell’ex Iugoslavia, soprattutto del croato, nonostante le pressioni che vengono esercitate in vista dell’ingresso nell’Unione europea.

Credo che non tutti si siano resi conto delle difficoltà che Fini incontra. E comprendo le difficoltà degli esponenti delle associazioni, soprattutto del senatore Lucio Toth e di Guido Brazzoduro, Presidente della Federazione delle associazioni degli esuli istriani fiumani e dalmati, ad ammortizzare la protesta.

Il 10 febbraio 2003 è la “Giornata della Memoria”. Nell’anniversario del Trattato di Pace (1947), che assegna alla Jugoslavia gran parte dell’Istria, Fiume e Zara, Brazzoduro spiega, in una dichiarazione ad “Arcipelagoadriatico” che “il Trattato non ha semplicemente definito i nuovi confini orientali dell’Italia ma ha comportato un esodo di massa della popolazione italiana rimasta al di là della linea di demarcazione, iniziato ben prima della sua firma. Vogliamo, aggiunge, che l’Italia sappia che non si è trattato solo di un avvicendamento tra Stati ma della tragedia di un popolo… per iniziativa di una minoranza violenta… (con) intimidazioni e vessazioni, fino all’eliminazione fisica delle persone”.

Incontro spesso Brazzoduro e Toth, un garbato signore che mi ricorda spesso di sollecitare Fini o di chiedere notizie al Ministero dell’economia sullo stato delle pratiche di indennizzo.

L’ultima volta che l’ho sentito al telefono mi chiede conferma della diramazione delle disposizioni per l’esposizione del Tricolore nella “giornata del ricordo”.

Ho sempre prestato la massima attenzione nei confronti di aspettative legittime e giuste. Loro hanno perso la terra dei padri, noi abbiamo perso un pezzo di Patria.

Ugualmente in più occasioni mi faccio portatore presso Fini delle preoccupazioni dell’Associazione Italiani Rimpatriati dalla Libia (AIRL), presieduta da una battagliera Giovanna Ortu che non esita a contestare il Vicepresidente quando giudica inadeguata la sua azione nei confronti di Gheddafi. Difficile gestire il grave malessere dei profughi, ma l’affidabilità del leader libico non è proprio quella consueta nell’esperienza della diplomazia internazionale.

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