giovedì, Marzo 28, 2024
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Un progetto per l’Italia: un polo liberalconservatore

di Salvatore Sfrecola

“La sfida dei liberalconservatori, una opportunità per l’Italia” (La Bussola, Roma, 2022), il primo de I quaderni di lettera 150, un vero e proprio manifesto dei conservatori. Quei docenti universitari, professionisti, ex magistrati che, in piena pandemia, fra marzo e aprile del 2020, hanno voluto costituire un think tank per fornire riflessioni sulla filosofia politica che ritengono debba essere alla base di analisi e di proposte per l’Italia dei prossimi anni, giungendo anche a considerare le regole della governabilità, dell’amministrazione e della finanza, della Giustizia e dell’istruzione.

Nata per iniziativa di Giuseppe Valditara, ordinario di diritto romano a Torino, e di personalità del mondo accademico di tutte le discipline, gli aderenti a “Lettera 150” sono “consapevoli che è necessario ancorare una grande politica riformista per il rilancio del nostro Paese a principi chiari, e ad una visione strategica, senza alcuna improvvisazione. Tramontati ormai i partiti tradizionali, la politica italiana ha necessità di ancorarsi a filoni di pensiero e a culture in grado di esprimere compiutamente valori, identità, prospettive”, in vista delle elezioni legislative del 2023 alle quali i partiti si avviano continuando a proporre politiche di piccolo cabotaggio, senza una visione strategica, senza un programma di governo all’altezza del ruolo dell’Italia, in Europa e nel mondo.

Per far ripartire il nostro Paese è necessario che la politica sia espressione di un polo politico culturalmente coeso, sia pure articolato in diverse formazioni partitiche. Questa coesione oggi manca, come ha messo drammaticamente in evidenza l’elezione di Sergio Mattarella, e viene messa in discussione dalla diffusa richiesta di una legge elettorale proporzionale i cui effetti negativi gli italiani hanno già potuto sperimentare negli anni della Prima Repubblica, che, pur criticata dai più, disponeva di una classe politica e di governo nettamente superiore all’attuale. Quella legge proporzionale che naturalmente facilita la moltiplicazione di partiti i quali hanno dagli anni ‘90 abbandonato ogni riferimento ai principi di filosofia politica allora impliciti nella loro denominazione, la socialista, la liberale, la popolare o democratico cristiana dedicandosi esclusivamente alla gestione del potere.

Con partiti che i sondaggi accreditano al massimo intorno al 20%, circondati da “cespugli” che si attestano tra l’1 e il 2%, ridotti i seggi al Senato ed alla Camera, con grave compromissione della rappresentanza di minoranze territoriali e linguistiche, una legge proporzionale, che abbandoni quel poco di maggioritario che ancora è previsto, continuerebbe a generare partiti personali dediti ad alleanze occasionali ed a mediazioni che alimentano litigiosità e incertezza della quale l’Italia non ha certamente bisogno.

I sondaggi degli istituti di ricerca dicono che la maggioranza degli italiani si identifica in ideali liberali e conservatori sui quali si va da tempo soffermando la pubblicistica politica, con l’apporto di studiosi italiani e stranieri i quali hanno delineato quello spazio che altrove identifica da sempre forti partiti di governo, dai Conservatori del Regno Unito ai repubblicani degli Stati Uniti, ai democratico-cristiani della Germania. In Italia il Centrodestra stenta ad assumere questi valori nella prassi politica e ciò alimenta quel diffuso assenteismo dal voto che li ha fin qui penalizzati.

John Locke e Camillo Benso di Cavour, Luigi Einaudi e Alcide De Gasperi, intesi come punti di riferimento di un pensiero “liberalconservatore”, rivivono nei contributi degli autori dei vari capitoli del libro per dimostrare che il “liberalconservatore” fonde insieme l’idea di libertà, che pone l’accento sui diritti individuali, con la consapevolezza dell’irrinunciabile ruolo dello Stato che, pur limitato nei compiti, è fonte di doveri verso la comunità. Insomma, una sorta di appello ai doveri di mazziniana memoria.

Il volume si apre con uno scritto di Valditara sulle “dieci buone ragioni per essere liberalconservatori”, posto che la libertà “è un valore strettamente legato alla cultura occidentale: da Erodoto a Cicerone è quello che distingue fin dalle sue origini” questa parte del mondo. L’interesse nazionale, il rapporto fra lo Stato e il cittadino, che il liberalconservatore vuole libero da lacci e lacciuoli, la difesa dei diritti di libertà e di proprietà, la tutela di valori della comunità, del proprio passato, della propria storia concepita come evoluzione graduale, nella visione europea di una comunità forte, efficiente, rispettata, che sappia difendere gli interessi dei suoi popoli.

Nello spazio, necessariamente limitato di una recensione, non si può fare a meno, tuttavia, di richiamare alcuni contributi di speciale interesse, come quello di Emanuela Andreoni Fontecedro, latinista, già ordinario a Roma 3, per la quale “i conservatori si assumono la responsabilità di mantenere la ‘memoria’ per consegnarla alle generazioni che seguono”. Un’affermazione che ricorre in tutti i contributi. Così Francesco Cavalla, emerito di filosofia del diritto nell’Università di Padova, sottolinea come “un popolo si costituisce in un lungo processo. mai del tutto esaurito, nel quale si confrontano istanze diverse per formare valori comuni”. E ricorda, richiamando Kant, come “senza un’idea di Dio sopra gli uomini non può darsi libertà: il che vale per il credente ma deve valere anche per il non credente”, per ribadire che “noi conserviamo il ricordo delle nostre origini non per farcene possesso geloso o come arma per creare frontiere ma per custodire la possibilità che i valori ad esse connessi continuino a svilupparsi, a innervare la dinamica sociale secondo i principi dell’autentica libertà delle persone e dei popoli, della solidarietà possibile, del diritto contro i poteri arbitrari, del sapere umanistico come luce per il progresso tecnico, della dialettica spregiudicata alternativa ad ogni forma di dogmatismo”.

Giuseppe Parlato, professore di Storia Contemporanea e Presidente della Fondazione Ugo Spirito e Renzo De Felice, richiama i valori tradizionali etici e civili, come la famiglia, la religione, l’identità nazionale e la proprietà privata, perché il conservatore “crede nella selezione dei migliori, convinto che difficilmente abbassando le montagne s’innalzino le pianure”. Il conservatore autentico, scrive Giampaolo Azzoni, ordinario di Filosofia del diritto a Pavia, “(e non la rappresentazione macchiettistica che ne danno i rivali) vuole in politica depotenziare ogni interesse particolare a favore di una spontanea evoluzione della società che massimizzi il bene comune realisticamente praticabile in un dato contesto storico”. E ricorda un valore giuridico fondamentale: “quello della certezza”. Per Giovanni Orsina, politologo, ordinario di Storia contemporanea alla Luiss, “il punto di partenza di un conservatorismo occidentale del ventunesimo secolo mi pare non possa che essere l’Occidente. Il che ne fa un conservatorismo necessariamente liberale”, una libertà che “non passerà però per la distruzione e negazione delle identità né per l’attribuzione alle suscettibilità emotive e del potere di definire il dicibile e l’indicibile. Passerà invece per la costruzione di uno spazio pubblico nel quale molteplici identità forti abbiano la possibilità di scontrarsi anche duramente… e gli individui a loro volta possano maturare proprio affrontando e superando questi conflitti sia al proprio interno sia nel rapporto con gli altri”.

Andrea Ungari, professore di Storia Contemporanea ricorda come il conservatore “ha in sé la capacità di individuare quanto di buono e di positivo della modernità va accolto e fatto proprio, onde coniugare il rispetto per il passato e per le tradizioni con l’apertura verso l’avvenire”. Insomma, il conservatore “deve porsi come custode del buon senso”.

Renato Cristin, associato di filosofia teoretica a Trieste, richiama la naturale convergenza di liberali in economia e conservatori nei valori, propria dell’esperienza del voto repubblicano negli Stati Uniti. Trasportata in Europa, anzi in Italia, “nell’opinione pubblica italiana l’idea di una visione liberalconservatrice e di un corrispondente movimento che la esprima è presente fin dal 1994 e si è consolidata al punto che oggi, nell’elettorato di centrodestra, al di là delle preferenze individuali per uno o l’altro dei partiti di questo schieramento, è largamente diffusa l’esigenza di coesione (il che non significa necessariamente unificazione in un solo partito) e di compattezza intorno ai princìpi e ai valori liberal-conservatori. Dal piano teorico a quello pragmatico ora il passaggio è aperto, perché abbiamo almeno le linee strutturali della teoria e sappiamo ciò di cui gli elettori hanno bisogno e ciò che questi elettori non vogliono. In Italia non c’è ancora un partito liberalconservatore in senso formale e nel senso autentico dei due concetti, ma c’è una coalizione politica composta da tre partiti (Fratelli d’Italia, Lega, Forza Italia) che nel suo insieme rappresenta bene questi due concetti anche se non riesce del tutto a dargli espressione operativa organica, e soprattutto c’è uno schieramento elettorale, una formazione popolare che costituisce la premessa fondamentale per l’esistenza di quella coalizione”.

Il liberalconservatorismo “dev’essere rigenerato come paradigma filosofico-politico, e a tal fine” deve “rendere indeclinabili i principi cardinali della nostra civiltà, concepirli come stabili e irrinunciabili, e declinare invece sul flusso storico le modalità della loro applicazione”.

Marco Paolino è professore di storia contemporanea, studioso dell’esperienza dei cattolici popolari in Italia e in Germania. Ricorda come De Gasperi si sia lamentato per “l’assenza di un partito che si dichiari orgogliosamente conservatore, non solo in Italia ma in tutti i paesi latini e cattolici del vecchio continente” e ritenesse questa condizione “una delle maggiori cause della debolezza politica ed istituzionale di questi paesi”.

Per Raimondo Cubeddu, ordinario di filosofia politica a Pisa, “se l’attualità di un conservatorismo liberale consiste nella sua capacità di conciliare la stabilità della tradizione con le opportunità dell’innovazione, il suo obiettivo non può essere diverso da quello di rendere il processo di diffusione sociale della conoscenza veloce ed efficiente quanto quello della diffusione sociale dell’innovazione. Ed è per questo che l’orizzonte filosofico-politico del conservatorismo non può essere quello della nostalgia, ma quello del cambiamento guidato dalla conoscenza e dalla prudenza perché fondato, appunto, sull’esperienza che insegna che come il cambiamento non può essere arrestato, così esso ha delle conseguenze che possono essere evitate. E questo obiettivo può essere conseguito soltanto incrementando la conoscenza e riducendo l’asimmetria tra conoscenza scientifica e conoscenza delle dinamiche sociali”.

Per Dino Cofrancesco, emerito di Storia delle dottrine politiche, la vulgata antifascista è servita ad emarginare ed a delegittimare l’idea di un partito liberal conservatore dimenticando che il fascismo fu la reazione illiberale a errori commessi dopo il 1919 da tutti gli attori politici e sociali italiani e fu il ristabilimento dell’ordine in un paese che le forze progressiste come quelle reazionarie avevano precipitato nel caos, fu l’effetto dell’incapacità delle classi dirigenti – di governo e di opposizione – di addivenire ad un accordo istituzionale che avrebbe salvato le libertà statutarie”. Oggi, per Cofrancesco, “un liberal conservatore – sinceramente afascista e convintamente anticomunista – è chiamato a fare atto di penitenza e riconoscere che il fascismo è stato tra i regimi politici del 900, il peggio del peggio, che non ha lasciato nulla di buono, che è stato il nemico dell’arte e della cultura, un gruppo di mazzieri al servizio dei padroni del vapore”.

Claudio Zucchelli, giurista, Presidente aggiunto onorario del Consiglio di Stato, per molti anni Capo del Dipartimento per gli affari giuridici e legislativi della Presidenza del Consiglio dei ministri (DAGL) afferma che “essere conservatore significa nutrire un atteggiamento di grande rispetto e cura dei sentimenti e delle qualità morali, intellettuali, sociali, politiche che hanno costituito il fondamento della cultura ed etica della propria comunità di riferimento. In una parola dei Valori costitutivi di ogni manifestazione personale, collettiva e sociale del Popolo e della Nazione cui si appartiene. La Conservazione e il rispetto di tali Valori non sono per il Conservatore solo una guida o un riferimento, ma costituiscono la base spirituale, attraverso anche le manifestazioni visibili di civiltà, del proprio essere Persona e comunità”.

Alberto Mingardi, professore associato di Storia delle dottrine politiche e Direttore Generale dell’Istituto Bruno Leoni, richiama il pluralismo come “il portato di una storia, e se crediamo che sia precisamente questa condizione ciò che il conservatore ambisce a conservare, dobbiamo dedurre che il conservatorismo deve darsi l’obiettivo di proteggere interessi dispersi nella società e di evitare la concentrazione del potere”. Che, invece, si è realizzato in Italia a causa della pandemia, “mentre la concretezza della libertà oggi è liquidata non solo come anticaglia borghese innanzi alla costruzione dell’uomo nuovo, ma anche come pericoloso ostacolo alla salute pubblica. Il liberal-conservatore vorrebbe conservare quella particolare condizione di libertà che ha reso l’Occidente il miglior luogo del pianeta dove vivere e l’unico nel quale si potesse tentare davvero di prosperare. Ma quella libertà oggi è più fragile che mai, non perché sia sotto attacco dall’esterno ma per come è stata erosa dall’interno, in nome di principi più altisonanti e meno concreti”.

Flavio De Felice, professore ordinario di storia delle dottrine politiche nell’università del Molise, si sofferma sul liberalismo come “dottrina dei limiti” e richiama il pensiero di Wilhem Röpke in ordine alla contiguità ideale tra liberalismo e cristianesimo, il liberalismo che l’economista tedesco-svizzero afferma essere umanistico, personalistico, antiautoritario ed universale; In definitiva, “il liberalismo non è…  nella sua essenza abbandono del Cristianesimo, bensì il suo legittimo figlio spirituale, e soltanto una straordinaria riduzione delle prospettive storiche può indurre a scambiare il liberalismo con il libertinismo. Esso incarna piuttosto nel campo della filosofia sociale quanto di meglio ci hanno potuto tramandare tre millenni del pensiero occidentale, l’idea di umanità, il diritto di natura, la cultura della persona e il senso della universalità”.

Aldo Rustichini, full Professor of Economics nell’Università del Minnesota, presenta i principi guida nel campo della politica economica di un movimento liberal conservatore. Liberalismo anziché liberismo “per enfatizzare che le proposte in materia economica devono derivare da principi filosofici più generali di quelli che sono invece sottostanti al liberismo in senso stretto”. Richiama le prescrizioni del liberalismo classico presente nelle opere di von Hayek e di Milton Friedman sui limiti dell’intervento pubblico, la difesa della proprietà privata, la semplicità delle leggi e dei provvedimenti economici. “Anche in questo caso la libertà è il criterio guida. La complessità delle leggi sposta infatti l’asse del potere a favore dello Stato: il governo e le autorità amministrative hanno invero la disponibilità di personale che può a tempo pieno e con competenze professionali esaminare ogni questione, per i cittadini ci sono invece perdita di tempo balzelli e costi”.

L’amore per la libertà, dunque, pietra d’angolo della costruzione politica del pensiero liberale e conservatore, ricordando il Conte di Cavour: “io sono figlio della libertà, ed è ad essa che devo tutto quel che sono”. Una sorta di dedica. Infatti quella frase è nella prima pagina del volume.

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