venerdì, Aprile 19, 2024
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Quesiti referendari e inadeguatezza della classe politica

di Salvatore Sfrecola

In questi giorni si parla spesso fra amici dei quesiti referendari sui quali saremo chiamati ad esprimere un giudizio sintetizzato in un SÌ o in un NO il prossimo 12 giugno. Ed emergono valutazioni diverse, indotte ora da sensazioni ora da convinzioni razionali. Sembra emergere un diffuso desiderio di votare SÌ, variamente motivato, nella convinzione che le norme che si chiede di abrogare siano effettivamente superate dalla coscienza popolare e come risposta all’inerzia della classe politica, come una sorta di rivolta di fronte all’incapacità conclamata, in particolare sui temi della Giustizia, del Governo e dei partiti di affrontare dei nodi che da troppo tempo l’opinione pubblica chiede di sciogliere.

Ecco i quesiti con indicazione del colore della scheda.

  • Referendum n. 1 (rosso): abrogazione del Testo unico delle disposizioni in materia di incandidabilità e di divieto di ricoprire cariche elettive e di Governo conseguenti a sentenze definitive di condanna per delitti non colposi;
  • Referendum n. 2 (arancione): limitazione delle misure cautelari: abrogazione dell’ultimo inciso dell’art. 274, comma 1, lettera c), codice di procedura penale, in materia di misure cautelari e, segnatamente, di esigenze cautelari, nel processo penale;
  • Referendum n. 3 (giallo): separazione delle funzioni dei magistrati. Abrogazione delle norme in materia di ordinamento giudiziario che consentono il passaggio dalle funzioni giudicanti a quelle requirenti e viceversa nella carriera dei magistrati;
  • Referendum n. 4 (grigio): partecipazione dei membri laici a tutte le deliberazioni del Consiglio direttivo della Corte di cassazione e dei consigli giudiziari. Abrogazione di norme in materia di composizione del Consiglio direttivo della Corte di cassazione e dei consigli giudiziari e delle competenze dei membri laici che ne fanno parte;
  • Referendum n. 5 (verde): abrogazione di norme in materia di elezioni dei componenti togati del Consiglio superiore della magistratura.

Dei cinque quesiti, non c’è dubbio che quelli che più appassionano riguardano la Giustizia. E s’immagina che i SÌ faranno il pieno, considerata la scarsa “credibilità” di cui gode in questi anni la Magistratura, alla quale va quasi la metà del consenso riservato alle Forze dell’Ordine, un comparto che, riguardando la sicurezza, appare in qualche modo collegato al sistema Giustizia.

È molto grave questa perdita di consensi intorno all’amministrazione della giustizia, un’attività pubblica coeva alla nascita degli ordinamenti generali, quelli che chiamiamo stati. Perché il rispetto delle regole è garanzia dei diritti del cittadino ed è finalizzato ad assicurare la pacifica convivenza all’interno della comunità. Regole che debbono essere ispirate alla più diffusa sensibilità dei consociati e che i giudici devono far rispettare. Giudici ai quali si richiede una adeguata preparazione professionale, che non è solamente conoscenza delle leggi e delle regole del processo, ma anche capacità di decidere con senso di giustizia, perché il cittadino deve avere la certezza che la società sia messa al riparo da comportamenti criminali ed i suoi diritti siano riconosciuti in un tempo ragionevole. Il tempo, infatti, è un costo economico e sociale che non deve gravare su chi vanta un diritto. E noi tutti sappiamo che il tempo dei tribunali è troppo lungo, come in nessun altro ordinamento. Con effetti gravi. Infatti, una sentenza qualunque sia, penale o civile, che arriva dopo molto tempo non soddisfa il senso di Giustizia dei cittadini.

Tuttavia, i quesiti non toccano i tempi dei processi. Intendono, invece, eliminare la carcerazione preventiva, per evitare la reiterazione del reato, la separazione delle carriere tra Giudici e Pubblici Ministeri, la modifica delle norme sulla valutazione dei magistrati e sul sistema elettorale del Consiglio Superiore della Magistratura (CSM) per limitare l’influenza oggi determinante delle correnti dell’Associazione Nazionale Magistrati (A.N.M.) nella elezione dei membri togati del C.S.M..

Tra quanti dibattono sui quesiti referendari è entrato in campo il “Comitato per il NO ai referendum sulla giustizia”, composto da Domenico Gallo, Alfiero Grandi, Mauro Sentimenti, Massimo Villone, Armando Spataro, Mauro Beschi, Silvia Manderino, Antonio Pileggi, Alfonso Gianni, Pietro Adami. Per il Comitato “I quesiti, proposti dalla Lega e dai Radicali non sono di facile comprensione. Ma soprattutto, anziché migliorare i diritti e le domande di giustizia, esprimono una diffidenza nei confronti del lavoro dei magistrati e del controllo della legalità. Da qui le ragioni del NO a tutti e cinque i quesiti”.

Ne parleremo più a fondo. Al momento, pur nella necessaria sobrietà di un testo giornalistico, diffusa è l’impressione che i partiti che hanno sposato la tesi del SÌ manifestino in questo modo la loro estrema debolezza, per non aver saputo proporre le riforme nella sede naturale, il Parlamento. Ed ora puntano sulla diffusa ostilità tra una parte dei cittadini per il “potere” dei magistrati, accusati, nel trentennale di “Mani pulite”, di aver abbattuto i partiti della Prima Repubblica, tanto che ricorre l’espressione “governo dei giudici”, che si vuole assicurato da una stampa che taluni ritengono asservita alla Magistratura.

La verità è che viviamo da anni una grave crisi di sistema, dovuta essenzialmente alla modestia di una classe politica sempre più lontana dalla gente, anche in ragione di un sistema elettorale che non favorisce la partecipazione del cittadino alla scelta degli eletti, come accade nelle democrazie mature che hanno leggi elettorali che favoriscono il rapporto diretto tra eletto ed elettore. Leggi, inoltre, che restano nel tempo, mentre in Italia ad ogni legislatura la maggioranza si fa la sua legge per cercare di mantenere il potere. Con l’effetto di allontanare ulteriormente gli elettori. La dice lunga la partecipazione dell’11% nelle elezioni suppletive di Roma in un collegio centrale della Città, all’indomani della elezione del Sindaco Gualtieri. Con quella partecipazione si è attestato il disinteresse tanto della maggioranza quanto dell’opposizione, che ragionevolmente avrebbe dovuto ricercare una rivincita.

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