sabato, Luglio 27, 2024
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Una lezione che viene da lontano

di Salvatore Sfrecola

Grande dibattito sui giornali di oggi, e c’è da esser certi che si svilupperà ancor di più nelle prossime settimane, sui risultati elettorali dei quali i partiti si vantano con calcoli vari dando dimostrazione che, contrariamente a quanto afferma un antico adagio, la matematica “è” una opinione. Al centro del dibattito è soprattutto il successo, del quale il Partito Democratico va particolarmente fiero, a Verona dove le beghe interne al Centrodestra hanno impedito una vittoria che sembrava scontata, considerato che al primo turno i due candidati, Sboarina (Fratelli d’Italia e Lega) e Tosi (Forza Italia), avevano insieme raccolto la maggioranza dei consensi.

Il risultato di Verona fa riflettere perché, come più di qualcuno ha scritto, è indubbiamente un test in vista delle elezioni del 2023, che il Centrodestra da mesi ritiene di poter vincere, un risultato che non è più sicuro come si poteva dire qualche tempo fa. 

Sarebbe sbagliato minimizzare. Né va banalizzato il diffuso assenteismo ritenendolo figlio della calura estiva. La diminuzione dei votanti è costante nei ballottaggi, perché sfugge a molti elettori che quando al secondo turno non trovano il loro candidato, cioè quello che avevano votato nella prima tornata, devono comunque esprimere un voto, magari “contro”. 

Né può essere trascurato che, come era accaduto a Roma, a Torino ed a Milano, dove il Centrodestra nell’ultima tornata elettorale “sbagliò clamorosamente i candidati”, ha scritto sul fondo di RepubblicaFrancesco Bei (“La lezione che viene dalle città”), anche questa volta in alcuni casi non si è saputo scegliere. I partiti devono abbandonare nella individuazione delle candidature la logica dell’amico di vecchia data, cresciuto nelle sezioni, a volte anche parente di uno dei leader, per scegliere il migliore disponibile, inteso come il candidato che può ragionevolmente vincere.

C’è poi da considerare un elemento che evidentemente sfugge al Centrodestra. Il Partito Democratico che, non va dimenticato, risulta dalla somma della vecchia sinistra comunista e dei residui dei cattolici “di sinistra” ai margini della Democrazia Cristiana, la Margherita, è un partito antropologicamente omogeneo rispetto all’elettorato di Centrodestra, costituito da borghesi, professionisti, commercianti, più preoccupati della loro condizione economica che da riferimenti ideologici che peraltro si sono andati sfumando nel tempo. La distinzione, insomma, è tra le persone più che tra le idee ed i programmi. Ciò che è particolarmente importante nelle elezioni locali dove i problemi dei cittadini sono quelli di immediato interesse, dell’inquinamento, del traffico, della raccolta dei rifiuti.

Né va trascurato il ruolo dell’ambiguo Enrico Letta, ex democristiano, che si dichiara cattolico ma si scaglia con violenza contro la decisione dei giudici che negli Stati Uniti hanno posto un limite ad un aborto quasi senza limiti, che, trascurando ogni profilo di identità nazionale, pensa con l’allargamento della cittadinanza di raccogliere voti di chi non sa neppure quando sia nata l’Italia unita. Letta guida il partito dei borghesi che a Roma vivono ai Parioli, quelli che un tempo votavano Democrazia Cristiana ma non disdegnavano di mandare alla Camera o al Senato anche un esponente di Alleanza Nazionale. In lui c’è anche una antica capacità democristiana nella scelta dei candidati, mentre il Centrodestra continua a seguire l’indirizzo berlusconiano secondo il quale basta candidare un giovanotto elegante e magari simpatico o una bella ragazza per poter vincere le elezioni. Questo errore lo si è già visto nella legislatura 2001 – 2006, quando una maggioranza formata di simpatici giovanotti e di belle ragazze senza arte né parte e senza nessuna esperienza politica è stata mandata a casa per poche migliaia di voti. È stata, lo sappiamo, un’occasione mancata.

Speravamo che la lezione servisse. Una caratteristica delle persone intelligenti è quella di imparare dall’esperienza, di non limitarsi ad elucubrazioni filosofiche od a tesi astratte ma di aggiungere alle idee, programmi e iniziative pratiche condivisibili e, pertanto, condivise dall’elettorato. Massimo Franco stamattina sul Corriere della Sera richiama questo “Segnale forte dagli elettori” e ritiene che il risultato elettorale negativo per il Centrodestra “dipenda da un’offerta politica così frammentata e altalenante da tenere lontano l’elettorato”. Franco è un attento osservatore e probabilmente c’è del vero in quel che dice, come quando sostiene che i sindaci sono stati scelti da minoranze “più ristrette del passato”. E qui bisognerebbe scavare un po’ in questi partiti assolutamente impermeabili alla “società civile”, anche se della società civile si dicono interpreti. Eppure, non sono stati capaci di cogliere dal mondo delle professioni, delle imprese e delle attività varie suggerimenti e proposte idonee a realizzare quelle riforme delle quali il Paese ha estremo bisogno. Perché questa nostra Italia purtroppo è oggi frenata oltre che da un sistema Giustizia lentissimo anche da procedure assurde sicché le amministrazioni si presentano agli occhi del cittadino come un nemico da combattere con denunce e ricorsi.

È chiaro che il Centrodestra, che tutti i sondaggi dimostrano essere maggioritario nel Paese, essendo articolato su tre forze, ha difficoltà di esprimere un indirizzo costante considerata l’eterogeneità del personale politico e delle idee che esprime, quella che Franco ha chiamato “un’offerta politica frammentata e altalenante”. Dei tre partiti, uno è in declino, perché di natura personale, Forza Italia, un altro è in grossa difficoltà, la Lega, perché imprigionata da logiche localistiche, la terza Fratelli d’Italia è guidato da una donna intelligente, che, sicuramente capace, stenta ad apparire la “casa” di una vasta e variegata area cattolico-liberale. E comunque il Centrodestra è una coalizione senza un leader. Non basta dire che sarà chi prenderà più voti, perché questa tesi, abbastanza semplicistica, non consente di individuare fin d’ora, com’è necessario ai fini delle elezioni legislative del 2023 e del governo del Paese, chi incarnerà il ruolo di Presidente del Consiglio, mediando tra le varie forze politiche.

Attenzione! O così o Draghi o un suo clone.

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