sabato, Luglio 27, 2024
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Nella giornata internazionale delle persone con disabilità il monito di Mattarella. Si può e si deve fare di più

di Salvatore Sfrecola

La giornata internazionale delle persone con disabilità è l’occasione per alcune riflessioni su un tema che ricorre sempre nelle parole dei politici, cui non seguono mai fatti adeguati ai problemi che le persone e le loro famiglie sono costrette ad affrontare giorno dopo giorno, anche quando non è la cronaca a darne conto, sempre per i casi più eclatanti. Come quello, oggetto di un servizio televisivo di ieri, della anziana costretta su una sedia a rotelle che ha difficoltà a muoversi nel minuscolo appartamento nel quale vive, pieno di insidie, tra l’altro per una persona che non ha sensibilità negli arti inferiori per cui, avendo urtato uno stipite, solo dopo si è accorta della frattura del femore.

Sul tema delle disabilità si è soffermato il Capo dello Stato. Sergio Mattarella ha ricordato che “sono milioni le persone con disabilità che ogni giorno combattono per una vita indipendente e che ci insegnano come affrontare con forza vitale e grande dignità le difficoltà: a loro dobbiamo rispetto. Alle loro straordinarie famiglie, ai volontari e alle associazioni che si battono per l’affermazione dei loro diritti va oggi l’apprezzamento della Repubblica”. Ed ha aggiunto che “si tratta di un numero significativo di persone, a rischio di aumentare con l’invecchiamento della popolazione”. Per Sergio Mattarella “l’inclusione delle persone con disabilità è banco di prova della piena affermazione dei diritti umani”. Concludendo che “le persone con disabilità sono una risorsa per la comunità e la loro partecipazione alla vita della società è preziosa”.

Il Governo Draghi ha avuto un Ministro per la disabilità, la leghista Erika Stefani, che ha promosso una legge delega la n. 227 del 22 dicembre 2021, che attende ancora di essere in gran parte attuata. Molti i settori di intervento ma, come sempre accade in Italia, poca l’attenzione del fisco, essenziale per venire incontro alle necessità dei disabili e delle loro famiglie, in particolare per quanti affrontano i problemi di assistenza direttamente e quindi non pesano sulle strutture pubbliche. Al comma 2, n. 2) dell’art. 2 la legge prevede regole per l’identificazione degli aventi diritto all’accesso “ad agevolazioni fiscali, tributarie e relative alla mobilità”, ma nulla è stato fatto per sanare il vulnus subito dagli invalidi civili per i quali l’ammontare delle pensioni, per effetto del d.l. 14 agosto 2020, n. 104 (art.15), viene determinato prendendo in considerazione anche i requisiti reddituali del coniuge, come spiega l’INPS con la circolare 107/2020, così vanificando gli effetti della normativa precedente, il d.l. 28 giugno 2013, n. 76 (Primi interventi urgenti per la promozione dell’occupazione, in particolare giovanile, della coesione sociale, nonché in materia di Imposta sul valore aggiunto (IVA) e altre misure finanziarie urgenti), che considerava esclusivamente il reddito del beneficiario, escludendo quello del coniuge o di altro componente del nucleo familiare.

È sempre la stessa logica predatoria ai danni dei più deboli, i pensionati che non possono scioperare e se sono disabili sono ancora più deboli. Una vergogna senza scuse. Fonte di notevole malcontento, come ha segnalato la DIRSTAT, per una categoria le cui difficoltà continuano ad essere trascurate. Come quelle, di cui ho scritto più volte, anche su La Verità, derivanti dagli oneri che i disabili devono sostenere quando sono costretti a ricorrere alla collaborazione di un o una badante, una prestazione onerosa, con prospettiva di incremento delle paghe per effetto dell’inflazione, il cui costo ricade integralmente sul disabile, in quanto la normativa tributaria riconosce solamente una modesta deduzione in sede di dichiarazione dei redditi.

Eppure il disabile è, a tutti gli effetti, un datore di lavoro che, tuttavia, a differenza di un qualunque imprenditore, deve pagare integralmente le imposte sulla paga del collaboratore. Un soggetto che l’Agenzia delle entrate il più delle volte non conosce in quanto percettore di reddito. Accade, infatti, che molti sono lavoratori “in nero” per i quali l’INPS non riscuote i contributi a carico del datore di lavoro disabile, in rapporto all’ammontare della paga.

C’è, dunque, un problema di lavoro nero del quale uno Stato serio si darebbe carico, se non altro per recuperare entrate tributarie e contributive. Ma c’è di più. Per certi versi ancora più grave è il fatto che lo Stato non si preoccupa di assicurare a coloro che ne hanno bisogno un badante qualificato. Perché mi sembra evidente che sarebbe necessario istituire un albo al quale potrebbero iscriversi coloro i quali svolgono questo delicato lavoro, avendo anche un minimo di conoscenze assolutamente necessarie: saper rilevare la temperatura corporea del disabile o il dato della glicemia, fare una iniezione, parlare col medico di famiglia per informarlo sullo stato di salute del disabile, anche in rapporto all’effetto delle terapie prescritte ed alla dieta eventualmente indicata.

L’iscrizione all’albo dovrebbe prevedere una abilitazione all’esercizio della professione, rilasciata a seguito di un corso di addestramento, cui potrebbero provvedere le ASL o la Croce Rossa. Anche con l’insegnamento della lingua italiana, perché il badante sia in condizione di dialogare con il medico e di leggere una prescrizione o il bugiardino di un medicinale. Ne va della salute degli anziani e dei disabili.

Se ne occuperà il Governo di Giorgia Meloni? Sarà una possibile “visione”, magari da realizzare nella legge di bilancio per il 2023?

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