martedì, Aprile 23, 2024
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Io, la politica e il Governo Meloni

di Salvatore Sfrecola

Vorrei intrattenere quanti seguono Un Sogno Italiano sull’atteggiamento che, a mio giudizio, deve avere il cittadino nei confronti della politica, della classe politica, del Governo e del Parlamento. Ho cercato di farlo con l’articolo sull’amicizia con il quale ho insistito sul tema della lealtà che deve caratterizzare il rapporto tra il politico e la persona che guarda con attenzione alle scelte che dai partiti si trasferiscono nelle sedi nelle quali si dà corpo alle decisioni che assumono la veste di leggi o di atti amministrativi generali che realizzano l’indirizzo politico della maggioranza uscita dalle urne.

Ebbene, io ritengo che il cittadino abbia il dovere di osservare con spirito critico le scelte della politica, anche quando effettuate dal partito al quale ha dato il voto, anzi soprattutto quando al governo è il partito o la coalizione di partiti che esprimono una filosofia politica ed un programma condivisi. Per essere chiaro, ritengo assolutamente sbagliato ritenere che il cittadino-elettore debba acriticamente accettare tutto quello che fa il “suo” partito o la “sua” maggioranza. Che è un po’ la mentalità del politico che alla minima critica deduce che colui che la fa “non è più un amico”. A mio giudizio, invece, chi manifesta osservazioni critiche è un amico, anzi il migliore degli amici perché vuole che il suo partito o la sua maggioranza realizzino quel che è stato richiesto dall’elettorato di riferimento o comunque, per richiamare Cicerone, che sia conforme all’interesse primario della res publica, intesa come comunità nazionale.

Naturalmente parlo di osservazioni critiche il cui interesse dovrebbe essere dato dalla personalità dell’autore e dall’approfondimento che ha saputo esprimere. Ritengo che questa sia una necessità, una forma di partecipazione alla vita politica assolutamente auspicabile perché la classe politica non si ritenga “altro” rispetto alla comunità degli elettori, non diventi “casta” autoreferenziale e, pertanto, avulsa dal contesto sociale. Cosa che spesso accade, soprattutto quando il politico non ha un “mestiere” e non lo esercita, quindi non vive con indipendenza la condizione del cittadino. Ricordo in un dibattito televisivo Matteo Salvini contestare all’allora Ministro dell’economia Pier Carlo Padoan di non conoscere il prezzo di un litro di latte, ciò che avrebbe dimostrato una mancanza di percezione della realtà. D’altra parte, anche lo stesso Salvini è espressione di una classe di politici formata da professionisti “della politica”, appunto, che non avendo fatto altro nella vita che frequentare le organizzazioni giovanili, sezioni e circoli, distribuendo volantini ed attaccando manifesti elettorali, sono poi approdati a cariche politiche locali o nazionali. Fate caso. Questi politici esibiscono nel loro curriculum, quale professione, l’essere “funzionario di partito” o di un ente pubblico, dove spesso è stato “piazzato” dalla politica, o giornalista, nel senso che hanno scritto solamente sui giornalini di partito. Molti non hanno studi universitari perché non ne hanno avuto il tempo, assorbiti dagli impegni politici.

Nulla da eccepire sui “professionisti della politica” se avessero sempre la capacità dell’ascolto, quel minimo di umiltà che è delle persone intelligenti e che dovrebbe essere una prerogativa del politico, preoccupato di percepire gli umori dell’elettorato, le sue esigenze, le sue aspettative. Purtroppo, spesso si tratta di persone che vivono fuori della realtà del cittadino e ritengono che la loro visione delle cose sia quella vera e, pertanto, ogni critica, anche la più benevola, viene percepita come lesa maestà.

Io, dunque, rivendico da sempre, dinanzi alla politica, anche dinanzi a chi ho votato, di poter esprimere liberamente le mie opinioni, come si formano sulla base dell’osservazione dei fatti e delle valutazioni che sono espressione della mia esperienza e della mia cultura professionale. Naturalmente guardo, leggo e rifletto e se dico o scrivo qualcosa mi preoccupo che sia evidente il mio intento di contribuire ad un approfondimento delle questioni osservate e non sembri denigrazione del soggetto criticato che comunque non mi è congeniale, anche quando l’osservazione critica ha riguardato parti politiche lontane dalle mie idee.

È stato, questo, sempre il mio atteggiamento. Qualcuno lo ha definito “coraggioso”. Io ritengo, più esattamente, che sia espressione della mia libertà di pensiero che non sono mai stato disposto a barattare, neppure con un incarico di collaborazione governativa o professionale. Una libertà che ho esercitato all’interno di staff ministeriali, ritenendo che sia dovere del collaboratore di una personalità politica esprimere, all’occorrenza, un’opinione critica. Che, ho constatato, non è di tutti. Perché spesso prevale la preoccupazione di entrare in conflitto col politico e, magari, di perdere il posto e il compenso previsto. Devo dire che, avendo collaborato con persone intelligenti, il mio atteggiamento è stato sempre apprezzato, anche se, qualche volta, dopo un primo contrasto. Ricordo ad esempio che un Ministro, del quale ho uno straordinario ricordo politico ed umano, il senatore democristiano Giovanni Prandini, sulle prime non gradì una mia considerazione su una scelta che, a mio giudizio, aveva delle controindicazioni in punto di legittimità. “Io sono il Ministro, io decido”, mi disse. “Certo, risposi, ma le mie osservazioni nascono dall’esperienza e conoscenza del diritto e delle regole della contabilità pubblica ed è mio dovere di collaboratore sincero invitarla a riflettere su di esse”. Borbottò. Ma il giorno dopo mi disse che conveniva sulle mie osservazioni. Ho sempre ammirato l’intelligenza!

Sempre libero – posso ripetere sommessamente con Cavour “debbo tutto alla libertà” – lo sono ancor più oggi in una stagione della mia vita nella quale, sgravato da alcuni impegni professionali, ho accentuato la mia antica passione per la storia, soprattutto contemporanea, scrivendo un capitolo per ciascuno dei volumi de “l’Italia in eredità”, su Vittorio Emanuele II, Camillo di Cavour e Giuseppe Garibaldi, mentre attraverso questo giornale annoto, giorno dopo giorno, i fatti della politica e della cultura. Che vado anche chiosando su La VeritàIl Borghese,Italiani Oggi ed altre pubblicazioni.

Ho scritto “Un’occasione mancata” all’indomani delle elezioni che, nel 2006, conclusero l’esperienza del Governo Berlusconi-Fini. Angelo Panebianco, più autorevolmente, aveva scritto sul Corriere della Sera di “occasione perduta”. Stiamo lì, per dire che una maggioranza mai vista prima non era riuscita ad andate oltre la legislatura perché al Governo ed in Parlamento tanta brava gente, certamente volonterosa, ma assolutamente inadeguata, aveva pensato che amministrare lo Stato fosse come fare il manager di un’azienda magari assistita dalla politica. Una schiera di Berlusconi boys del tutto inadeguata, convinti che la realtà fosse quella che suggeriva loro una scarsa esperienza, una professionalità adatta ad altro contesto, filtrata da una potente presunzione.

Oggi chi si identifica nel variegato Centrodestra, tra un partito personale, un movimento localistico ed una comunità di uomini e donne che sentono l’orgoglio di definirsi “patrioti”, deve nutrire la speranza che la nuova “occasione”, affidata all’intuito ed alla determinazione di Giorgia Meloni, non venga meno alle aspettative degli elettori. Insomma, non voglio pensare di dover scrivere tra cinque anni “Un’occasione mancata 2”. Per cui, politici del Centrodestra, aspettatevi che, all’occorrenza, dica la mia.

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