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L’amore “necessario”, contro la solitudine del narcisismo, in un bel libro di Marcello Veneziani

di Salvatore Sfrecola

“Amor, ch’a nullo amato amar perdona, mi prese del costui piacer sì forte, che, come vedi, ancor non m’abbandona”. Chi non ricorda i versi immortali di Dante Alighieri (Divina Commedia, Inferno, Canto V) imparati al liceo sbirciando la collega del banco accanto, il suo sorriso, le movenze, il timbro della voce, ad alimentare una simpatia che a volte diventava amore, spesso il primo, a volte per sempre. Quanti amori sono nati sui banchi di scuola! L’amore, un sentimento che gli uomini esprimono in varie situazioni, come dimostra proprio la Divina Commedia. E ovunque, in forme diverse: passionale e familiare, terreno e divino, disperato e soave… È l’amore, infatti, che induce Dante ad intraprendere il suo straordinario viaggio dagli inferi al cielo.

E di amore hanno scritto molti, per dire del legame tra le persone e tra queste e realtà spirituali, Dio, la Famiglia, la Patria. Un sentimento che è difficile analizzare senza correre il rischio di banalizzare, di scrivere e dire cose scontate, già sentite, già lette.

È, dunque, una sfida impegnativa quella che Marcello Veneziani raccoglie con questo suo ultimo libro “L’amore necessario – la forza che muove il mondo” (Marsilio, Venezia, 2023, pp 218, € 18,00), presentato con successo in giro per l’Italia e, da ultimo, il 14, il giorno di San Valentino, nella “Loggia del Primaticcio” a Palazzo Firenze, sede della Società Dante Alighieri. 

Giornalista e scrittore, Veneziani, pugliese di Bisceglie, una regione vocata al pensiero politico e filosofico, vive tra Roma e Talamone, posto ideale per leggere, pensare e scrivere. Il mare è lì ed è da sempre una straordinaria fonte di ispirazione profonda come l’orizzonte che s’intravede e si confonde col cielo, come amava un suo conterraneo che l’ha dipinto in tutte le realtà di tempo, Giuseppe De Nittis, pittore di Barletta, che dista 22 chilometri da Bisceglie.

Quale il senso di quest’opera per un intellettuale che si è dedicato nel tempo ad analizzare il pensiero, politico e filosofico, prendendo lo spunto dal passato perché nella storia è la realtà del presente e la prospettiva del futuro, come ha fatto da ultimo rileggendo Giovanbattista Vico?

Uno studio sull’amore definito “necessario”, che non segue la pubblicistica sociologica di quanti hanno costruito sul tema dell’amore soprattuttoterapie” personali e di coppia. Veneziani, per certi versi difficile da catalogare in schemi culturali politico filosofici, come tutte le persone aperte all’approfondimento del pensiero umano nel corso dei secoli, da sempre dedito ai grandi da Plotino a Dante, da Nietzsche a Simone Weil, affronta il tema dell’amore nei termini già cari a Padre Dante, la vera energia che muove incessantemente il mondo e gli esseri umani.

“L’amore è la più grande potenza della conoscenza – afferma – stimola i legami, è una forza che muove il mondo. È relazione, connessione, fa emergere tutta la scala della vita. Il ripiegamento narcisistico, invece, fa inarcare su sé stessi, mentre l’amore implica gratuità”. Ciò che è essenziale connotazione dell’amore, a cominciare dal quello che, secondo i cristiani, Dio ha per gli uomini. Il massimo della gratuità. “L’amor di Dio è l’amore assoluto del Principio alle origini dell’universo e del suo ordine. Anche nella mente di chi non crede in Dio è inestirpabile l’idea di un amore assoluto a cui commisurare ogni altro amore. Gli amori umani sono inquieti e inquietano perché sono tra mortali e si svolgono nel tempo: l’unico amore che può dare pace è quello rivolto all’eterno.”

Scrivendo del suo libro per Panorama, Veneziani spiega che non è un saggio sull’amore romantico, sulla coppia, sull’eros ma un viaggio nelle varie forme dell’amore che coinvolgono corpi, anime e menti e muovono uomini, animali e forze della natura. C’è l’amore degli amanti e l’amor famigliare, l’amore della vita e l’amore del mondo, c’è l’amor patrio e l’amore del destino, l’amor di Dio e della verità”.

Il libro è un invito a riflettere sull’importanza dell’amore per le piccole cose e per la forza persistente delle tradizioni, un tema ricorrente negli scritti di Veneziani (come non ricordare “Di padre in figlio”!). Nella stagione del narcisismo che domina l’Occidente ormai dal Sessantotto, il vero spartiacque culturale della società, che ricordiamo per la smitizzazione dei valori umani e spirituali, a cominciare dall’affermazione dell’amore libero nel contesto di una rivoluzione sessuale che produce solitudine, perché banalizza il rapporto di coppia e sradica le persone dalla famiglia, anche cercando di annullare il senso del ruolo del padre e della madre, trasformati, da ultimo, in una aberrante finzione giuridica in genitore 1 e genitore 2. Una finzione contro natura perché, scrive Veneziani, “il primo amore, quello che davvero non si scorda mai, è l’amore materno. Nasce con noi, anzi prima di noi, cresce con noi, ci accompagna fino alla fine, e anche oltre”.

In tempi di “disamore” diffuso, c’è un rancore che aggredisce le istituzioni, la famiglia, le tradizioni, la storia stessa, che cerca di cancellare. La cancel culture, infatti, è abilmente incentivata e manovrata per sradicare l’uomo dalla sua storia negando il passato in modo che non sia la base per la costruzione del suo futuro. Per vivere in un presente dominato dall’invidia sociale che genera rabbia e disinteresse. Un uomo solo, infatti, è facilmente condizionabile. Mentre se “ha” una famiglia e una Patria ha vincoli e confini da esaltare e difendere. “Una terra, un luogo, una comunità, una lingua, una cultura che sentiamo nostri”.

Credo che a Veneziani le riflessioni sull’amore siano state in parte almeno suggerite dagli approfondimenti che hanno accompagnato il suo più recente lavoro su Gianbattista Vico, una biografia ragionata sul grande umanista napoletano che ci ha spiegato, sulla base dell’osservazione dei fatti della storia, anche alla luce della sua profonda religiosità, come la società viva un ciclico tramonto. Come nell’attuale stagione, deldisamore”, analizzata in un libro che, non a caso, Veneziani conclude con un capitolo sui pericoli dell’intelligenza artificiale, destinata a produrre tecno-bestie artificiali, incapaci di provare sentimenti. Sicché “solo l’amore ci può salvare dalla sostituzione artificiale dell’umano, premessa alla sua estinzione”. 

L’“amor di vita” è “l’amore che ci tiene al mondo e lo rigenera”. Perché “amare la vita vuol dire alzarsi la mattina con l’impazienza della luce. Alzarsi dal letto avendo fame del giorno”. Per Veneziani, intervistato da Il giornale il 4 febbraio 2024, “amare la vita equivale ad amare il mondo e l’umanità. Ci sono epoche come la nostra, richiamandomi a Vico, nelle quali l’amore tende ad eclissarsi, ad assumere fisionomie persino tragiche. Compito di chi riflette sulle tendenze filosofiche del proprio tempo, è fare chiarezza, sgombrare il campo dagli equivoci, descrivere le cose così come sono. Avendo il coraggio di andare controcorrente, sfidando, se necessario, la corrente avversa delle ovvietà”.

Non ci resta, dunque, che ricominciare dall’amore, oltre sé stessi, oltre la disperazione indotta dalla “cappa” (il titolo di un altro suo bel libro “per una critica del presente”) che incombe sulla nostra società, soffoca la libertà, la dignità e l’intelligenza e ci rende scontenti, Veneziani approda alla sfida più ardua: indicare una via d’uscita dalla solitudine e dal nichilismo, che faccia ritrovare la gioia di vivere e di essere al mondo. Perché, “quando avverti che tutto sta crollando, non resta che ripartire da ciò che salva, che genera, che unisce, che origina”.

In un mondo nel quale “c’è scarso amore”, l’abuso corrente di richiami all’amore, ne fanno perdere il senso e la profondità. Un amore generico, smette di essere amore. L’amore è dedizione, sacrificio, attenzione al mondo e agli altri e produce gioiaInsomma, l’amore è il necessario punto di partenza, nascita e rinascita, per ricominciare a vivere e pensare. Inoltre, l’amore vero secondo Veneziani, per il quale “ognuno è libero di amare chi vuole”, non può che essere “quello figlio della biologia, quello tra un uomo e una donna. Finché siamo umani e il principio su cui si fonda ogni società è la riproduzione”, sottolinea, “esiste un solo archetipo d’amore ed è quello naturale”. Un sasso nello stagno al quale ci vorrebbero consegnare i patrocinatori di una società senza valori, “il reset che cancella la cultura e la storia” (dal titolo dei un capitolo de “La Cappa”).

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