giovedì, Giugno 19, 2025
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Trent’anni senza Babbo Italo

di Salvatore Sfrecola

Trent’anni, uno spazio di tempo non indifferente che non è valso a affievolire il ricordo, a tratti struggente, di mio padre, Italo. Babbo come lo chiamavamo in famiglia, alla toscana, come piaceva a mia madre, Anna Maria, figlia di Ada Faina, pistoiese.

Aveva multiformi interessi, frutto di un clima culturale indotto da suo padre, nonno Salvatore, professore di italiano e latino nel liceo classico di Trani. Aveva insegnato anche in Germania il nonno ed aveva una immensa biblioteca che a me, bambino, sembrava la summa del sapere. C’era di tutto, non solamente di storia e letteratura italiana con volumi annotati con la matita, pagina dopo pagina, per memoria e per trasmetterne ai suoi studenti. Era molto bravo, dicono coloro che sono stati suoi allievi. Ferdinando Carbone, Segretario Generale della Presidenza della Repubblica con Luigi Einaudi, suo studente a Trani, mi disse un giorno: “quelle di tuo nonno non erano lezioni, ma conferenze”. Un giudizio che, anni dopo, mi fu detto dal Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio Renato Tozzi Condivi che insieme al Presidente del Consiglio, Fernando Tambroni, lo aveva avuto professore al Liceo di Ascoli Piceno.

Babbo mi ha trasmesso la passione per gli studi, soprattutto storici, il senso dell’onore di servire lo Stato, la disponibilità umana nei confronti di chiunque fosse possibile e giusto aiutare. Aveva iniziato la sua carriera di funzionario del Ministero delle finanze come Procuratore delle imposte e aveva fatto una carriera brillante all’interno di quella Amministrazione essendo stato inserito giovanissimo nel Gabinetto del Ministro, nel 1944, fin dal primo governo dopo la liberazione di Roma. Ottenne quell’incarico di prestigio per caso. Mi raccontava che da Capo della Segreteria del Direttore generale delle imposte dirette era stato chiamato a far parte del Gabinetto presieduto da un prestigioso Consigliere di Stato, Antonino Papaldo. Questi, incaricato di comporre l’Ufficio che oggi si chiama di “diretta collaborazione” aveva scelto tutti suoi conterranei, tutti siciliani, anzi tutti della provincia di Catania, la sua. Allo scorrere questa lista il Ministro, Stefano Siglienti, la mise sull’ironico, “vogliamo prendere uno del continente?”. E fu scelto mio padre, pugliese, nato a Trani, ma di famiglia di Barletta. Aveva fatto una carriera brillante avendo vinto un concorso di cui nessuno dei giovani oggi sa niente, “il concorso per merito distinto”, una procedura concorsuale che metteva a disposizione di un numero elevato di funzionari uno o due posti ad ogni bando. Per cui chi avesse vinto si sarebbe collocato in testa al ruolo, presentandosi per successivi sviluppi di carriera in una posizione particolarmente favorevole. Ricordo che mi parlò di questo concorso il Consigliere di Stato Venturini che era stato il più giovane Prefetto d’Italia proprio per aver vinto quel concorso.

Rimasto al Gabinetto del ministro mio padre ne divenne presto Vicecapo  con Giulio Andreotti, Ministro delle finanze, e con altri ministri. Successivamente divenne Capo di gabinetto, un impegno notevole, anche perché fu presto nominato direttore generale della “finanza straordinaria”, una delle sette direzioni generale nelle quali si articolava all’epoca il Ministero. Ricordo quando il Presidente del consiglio, Amintore Fanfani, annunciò la sua nomina insieme ad altre al termine di un Consiglio dei ministri. Era il 1958. È stato poi Direttore generale del demanio, una struttura importante dell’amministrazione finanziaria, essendo lo Stato proprietario di beni immobili di grande interesse e valore. Ha avuto anche molteplici incarichi di grande prestigio. Ha presieduto per anni una sezione della Commissione Tributaria Centrale e mi dicono amici che successivamente sono stati assegnati a quella Sezione che giravano ancora decisioni che lui aveva redatto o di collegi che aveva presieduto.

Entusiasta del suo lavoro, usciva di casa prima che io mi preparassi per andare al liceo e poi all’università e tornava spesso che io già riposavo perché gli impegni erano tanti.

Eppure seguiva i miei studi. Un giorno mi chiese come mai non avessi ancora sostenuto l’esame di Scienza delle finanze che era del secondo anno. Dissi che lo stavo studiando ma che era molto impegnativo il testo di Cesare Cosciani che aveva 92 grafici che, per uno studente proveniente dal classico, sembravano irti di difficoltà. Oggi mi sembrano delle cose molto elementari.

Qualche giorno dopo mi disse “ho incontrato il professor Cosciani, componete del Consiglio superiore delle finanze, e gli ho parlato delle tue difficoltà. Mi ha detto che se vuoi puoi andarlo a trovare per qualche chiarimento”. Naturalmente non sono andato. Anzi mi sono presentato all’esame un giorno che Cosciani era assente perché influenzato. Sostenni l’esame con Beniamino Andreatta e presi ventotto. Ne fummo soddisfatti mio padre ed io. Qualche anno dopo ricordai l’episodio ad Andreatta divenuto Ministro del tesoro.

Il ruolo di Capo di Gabinetto è impegnativo e logorante, anche per la contemporanea responsabilità di una importante Direzione generale. Così chiese di essere nominato Consigliere della Corte dei conti. Quando è andato in pensione da Presidente di Sezione ho indossato la sua toga con orgoglio, consapevole del suo impegno e del senso di giustizia che avevo percepito fin da bambino dalle sue parole. Ricordo quando si affacciò all’ingresso della Corte dei conti in viale Mazzini dopo che avevo sostenuto le prove orali del concorso al referendario. Lo vidi orgoglioso e commosso. Ma non mi disse bravo come mai mi aveva detto. Mai aveva manifestato direttamente a me dei complimenti, mai che avessi fatto qualcosa di apprezzabile. Ma sapevo che era, a modo suo, orgoglioso nel suo figliolo e mi giungevano, da amici comuni, giudizi lusinghieri. Mi bastava.

Se n’è andato un pomeriggio di trent’anni fa. Sarebbe stato dimesso il giorno successivo dal Policlinico Gemelli, dove era stato ricoverato per una aritmia cardiaca. Ero andato a trovarlo, avevamo parlato a lungo. Voleva che rimanessi ma avevo un impegno. Gli dissi “continuiamo domani, ti vengo a prendere”. Invece non feci in tempo a rientrare a casa che una telefonata mi disse che dovevo tornare. Da allora ho una sensazione di vuoto profondo. Con Lui dialogo, a volte, quando ho bisogno di una riflessione giuridica e di una decisione difficile, come invoco nonno Salvatore, il mio “consulente”, quando prendo carta e penna per scrivere.

2 Commenti

  1. Per averlo sentito raccontare da mia madre, mi risulta che nostro nonno Salvatore fondò un liceo, ma non so se a Barletta, Trani o Chieti, città nelle quali ha insegnato. Tu hai qualche notizia al riguardo? Mi farebbe piacere ottenere dettagli in merito.
    Grazie.

    • Caro Aldo, il nonno ha insegnato ad Ascoli Piceno e poi a Trani dove non ha fondato il ginnasio liceo ma ha insegnato italiano e latino ed è stato anche vicepreside. Era stimatissimo e ne ho avuto tante testimonianze da chi lo aveva conosciuto. Ed ha seminato bene perché le zie, comptresa la Tua Mamma, gli hanno fatto onore negli studi e nell’insegnamento. Zia Grazietta era apprezzata moltissimo come docente. Un caro saluto

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