di Salvatore Sfrecola
Uno dei suoi primi interventi papa Leone XIV l’ha dedicato alla famiglia, quella, ha spiegato, fatta da un papà, una mamma e dei figli. Sobria, efficace, è una definizione tradizionale nella storia dell’umanità. Sono le famiglie che generano “il futuro dei popoli”, perché sono loro che possono essere “segno di pace per tutti, nella società e nel mondo”. Papa Leone XIV accoglie con queste parole le famiglie, genitori, bambini, nonni e anziani, che lo aspettano in piazza San Pietro, generazioni diverse, arrivate da tutto il mondo per vivere in unità il Giubileo a loro dedicato. Alle famiglie, il Pontefice affida il prezioso mandato del Vangelo odierno: vivere in una “unione universale” attraverso la quale realizzare una comunione fondata sull’amore. Tutti hanno “ricevuto la vita prima di volerla”, dice il Papa, e loro, i più piccoli, hanno bisogno dell’aiuto di altri, perché da solo nessuno può farcela, perché viviamo “grazie a una relazione, cioè a un legame libero e liberante di umanità e di cura vicendevole”. È vero, a volte questa umanità viene tradita. Ad esempio, ogni volta che s’invoca la libertà non per donare la vita, bensì per toglierla, non per soccorrere, ma per offendere.
Ci viene in mente, con la consueta, lapidaria, chiarezza, il diritto romano: “nuptiae sunt coniunctio maris et feminae et consortium omnis vitae, divini et humani iuris communicatio”. La definizione è di Modestino (D. 23, 2, 1, I regularum). E non lascia dubbi. Il matrimonio è rapporto tra un uomo ed una donna. Ogni altra relazione può assumere qualunque denominazione ma i partecipanti non potranno dirsi marito o moglie.
La famiglia accompagna la storia di Roma. Che è storia di “familiae”. Enea è l’eroe, un uomo comune, nel quale – come ha scritto Aldo Cazzullo (“Quando eravamo i padroni del mondo”) – i romani “vedono le qualità che prediligono: la lealtà, la responsabilità, il senso del dovere”. È l’uomo che lascia Troia in fiamme per cercare una nuova patria alla sua famiglia. Lo vediamo, nell’immagine più celebre, con il figlio Iulo – detto anche Ascanio – con sulle spalle il padre Anchise.
E famiglia è parola di intenso significato, anche fuori dell’umanità: ci sono “famiglie” che identificano importanti settori della flora e della fauna.
Ma desta anche preoccupazione. Lo spiega Ettore Gotti Tedeschi, economista, banchiere dalle molteplici esperienze internazionali, ad esempio ha fondato la filiale italiana del Banco Santander ed assunto la direzione dell’Istituto delle Opere di Religione (I.O.R.), la banca della Santa Sede, il quale in più conversazioni si è detto convinto che la famiglia “non è amata e negli ultimi trent’anni questo non amore per la famiglia è aumentato”. Ed indica quelle che, a suo dire, sono le ragioni di questo “non amore”. Primo: “la famiglia viene considerata un’invenzione della cultura cristiana. La famiglia come noi la concepiamo, con i suoi fini, la sua identità, le sue responsabilità fa sì che lo Stato non possa controllarla. Quindi la famiglia impedisce quel controllo di uniformità che gli Stati nel mondo globale vogliono sempre di più”.
Seconda ragione per cui la famiglia non è amata: “la famiglia educa non solo nei primi mesi, educa tutta la vita. Io ho 5 figli – aggiunge Gotti Tedeschi – il più vecchio ha 36 anni la più giovane ne ha 26. Io li educo ancora adesso e continuerò a educarli fino all’ultimo momento della mia vita, col mio esempio, con la mia esperienza, col mio contributo”. Di conseguenza, si dice che la famiglia “crea rotture all’interno dell’educazione che dovrebbe essere invece omogenea e data da uno Stato oppure da una visione dello Stato. Quindi provoca rotture sociali perché provoca disuguaglianza nella visione della vita”.
Terza ragione: “la famiglia è di per sé generatrice di figli e i figli provocano inquinamento dell’ambiente che diventerà la nuova religione universale nel mondo globale”. Pretende che i figli non potranno crescere oltre un certo tasso predeterminato.
Infine, “la religione cattolica ci ha messo in testa che noi siamo figli di Dio” e questo ci rende liberi. Ciò che disturba il potere. Perché tornando alla prima delle ragioni del “non amore” per la famiglia è certo che con la sua tradizione con la sua spiritualità non è controllabile, preesiste allo stato come “società naturale” sicché l’aggregazione delle famiglie è la forza o la debolezza dello Stato considerato che l’equilibrio politico non è facile. E comunque la famiglia è parte essenziale dell’identità di una comunità sicché torno alle mie osservazioni contrarie allo ius scholae che trascura l’aspetto formativo delle personalità che avviene nella famiglia in forme che, in molte realtà, sono distanti dai principi e dai valori di libertà propri della nostra civiltà occidentale. Per cui immettere nella cittadinanza soggetti con usi e costumi incompatibili determina alla lunga pericolose tensioni sociali dagli sviluppi imprevedibili.