di Salvatore Sfrecola
Leggi confuse, ridondanti appesantite da continui richiami a precedenti, pronunce dei giudici che nella complessità della norma trovano difficoltà di assicurare una interpretazione certa e stabile, “granitica”, come dicono i commentatori. Provvedimenti amministrativi scritti malissimo, non di rado con errori di grammatica che si accompagnano anche ai giornali e ai servizi televisivi che vorrebbero illustrarli.
Giorni fa mi trovavo a parlare con un ministro che ha attenzione per la lingua italiana il quale confermava questa difficoltà di chiarezza anche per molti giornalisti che scrivono i comunicati, spesso incapaci di un linguaggio chiaro, sobrio, idoneo a trasmettere idee o norme. Insomma, è un periodo nel quale è diffusa una scarsa conoscenza della lingua italiana.
Qualche anno fa, l’ho ricordato più volte, 300 professori universitari scrissero al ministro dell’Istruzione per segnalare che nelle tesi di laurea si riscontravano errori di grammatica non ammissibili nemmeno in terza elementare. Nelle tesi di laurea, al termine di un ciclo di studi di oltre 18 anni. Basterebbe questo per dar conto del grave degrado nella scuola italiana che, del resto, è stata segnalato anche in sede europea quando si è detto che i nostri studenti hanno difficoltà di comprendere i testi che leggono.
Non c’è bisogno di andare lontano per cercare le cause e individuare i rimedi. Bisogna mettere mano alla scuola. Cosa che sta facendo con molto impegno il Ministro dell’istruzione e del merito, Giuseppe Valditara, che è persona colta e quindi comprende e soffre di questa situazione. Che, impegnato a restituire dignità agli studi, si trova sotto il fuoco incrociato delle sinistre che questo degrado hanno provocato nel tempo nella convinzione che una scuola di massa non possa essere dello stesso livello di una scuola d’elite.
Ma questo è il punto fondamentale. Nel giro di qualche decennio siamo passati da una scuola che formava egregiamente i migliori professionisti italiani, i quali facevano la loro bella figura anche all’estero, ad una scuola che licenzia persone modeste. E modesto è il corpo insegnante. Va detto, perché altrimenti non comprendiamo da dove cominciare. Se la scuola ha perduto il valore di un tempo, perché, pur avendo aggiunto alla discipline tradizionali il diritto, l’economia, l’informatica, le lingue straniere, ci lascia indietro rispetto agli altri paesi europei, vuol dire che anche il corpo docente non è adeguato, forse perché in molti casi l’insegnamento è affidato a coloro che si erano laureati con il 18 politico. Complice una crescente disaffezione una professione, quella dell’insegnamento, alla quale lo Stato assicura un trattamento retributivo assolutamente inadeguato, diversamente da quello che accade in molti paesi esteri.
Anche dei programmi si potrebbe dire in una scuola che sembra ripudiare gli sudi classici ritenendo che quelli cosiddetti scientifici siano più adeguati alle esigenze del mondo del lavoro. Trascurando che dal nostro liceo classico sono passati i più grandi scienziati italiani i quali riconoscono il valore di quello studio, convinti che quell’insegnamento sia stato stimolante. E difatti una scuola d’élite come l’inglese Eton College, dal quale escono grandi professionisti dell’amministrazione inglese, della politica, delle professioni, è una scuola classica, quindi con il latino e il greco ma adeguata al tempo di oggi con l’informatica, la matematica, il diritto, l’economia e l’apprendimento di due lingue straniere. Chiunque ha la possibilità di collegarsi attraverso Google per verificare questo programma di studi.
Abbiamo ritenuto che la scuola dovesse essere facile, per assicurare un titolo di studio indipendentemente dal valore professionale dello stesso.
Faccio spesso alcuni confronti che secondo me sono importanti. Non voglio ripetere della traduzione dal greco al latino nel liceo classico, che faceva mio padre, né delle traduzioni dall’italiano in latino che facevo io. Via via, lo vedo con mie figlie e con i nipoti, è ulteriormente calato l’impegno anche per delle cose che dovremmo ritenere non discutibili. Mio nipote, al terzo liceo scientifico, non ha mai fatto un tema in classe né a casa. Né gli è stato chiesto di leggere dei libri e di riferirne, neppure dopo le vacanze estive. Guai, poi, a parlare di riassunti che sono uno strumento che mette in condizione il giovane di imparare il valore delle sintesi, che è fondamentale nello svolgimento delle prove orali. Quando questi giovani saranno chiamati a fare dei progetti non potranno scrivere 2000 pagine ma dovranno delineare, in uno spazio ragionevole, con un linguaggio adeguato, la proposta che intendono sottoporre all’attenzione di chi deve decidere. Quindi la scuola non li mette in condizione di prepararsi all’attività professionale. Non s’impara più niente a memoria. Le poesie, ovviamente, che tutti noi ricordiamo fin da quelle della scuola elementare sono una finestra sul mondo della fantasia, dei valori identitari, culturali, storici che costituiscono un momento gradevolissimo nella nostra attività. Inoltre, imparare a memoria significa esercitare una dote che non è di tutti ma che comunque da tutti va coltivata. Che non soltanto ha un valore in sé stessa ma prepara il ragazzo che recita la poesia davanti ai suoi colleghi ad esprimersi pubblicamente come dovrà fare quando sosterrà una prova orale in un concorso o dovrà sostenere un colloquio di lavoro quando la capacità di espressione nella lingua italiana, di formulazione delle frasi, di identificazione del pensiero danno al giovane la possibilità di vedere apprezzata la sua proposta e valutata la sua professionalità.
Mi sembra, dunque, evidente che lo sforzo del Ministro Valditara non solo va condiviso ma deve essere ancora più incisivo. Perché nella scuola, come nelle pubbliche amministrazioni, le novità sono difficili, esigono tempo, va ricreata una classe di docenti, a partire dalla scuola elementare la quale costituisce la prima e importante espressione dell’apprendimento, forse anche la più delicata. Perché è in quel contesto che il bambino impara il metodo di apprendimento viene stimolato all’attenzione delle questioni culturali, linguistiche, storiche, geografiche che poi svilupperà nel corso degli studi medi e superiori. È in quel contesto che si forma lo studente, è in quella realtà “elementare” che inizia l’approccio allo studio e la visione di questo impegno come serio, che comporta sacrifici perché poi, come scrive il professor Paolo Crepet, psichiatra, “i ragazzi che non accettano di essere giudicati cosa faranno quando a valutarli sarà la vita?” Perché i nostri figli e i nostri nipoti vanno preparati anche a questa evenienza e devono capire che la scuola non è una competizione compagni di studi ma il risultato degli studi sarà essenziale per il proseguimento all’università o comunque nella vita.
Anche perché se lo Stato riconosce titoli di studio via via crescenti a soggetti che non hanno la preparazione richiesta ne faremo dei frustrati ed anche dei ribelli perché giustamente, dal loro punto di vista, diranno che “se mi è stato riconosciuto il diploma di maturità vuol dire che ho questa preparazione e lo Stato deve aiutarmi anche a trovare un posto di lavoro”.
Nessuno riconoscerà di non essere preparato. Se fallisce dirà di essere sfortunato, che per avere un posto di lavoro o per fare carriera c’è bisogno di una raccomandazione. Capite l’effetto di questa situazione?
Faremo male a questi ragazzi se non li abituassimo ad un lavoro severo, funzionale, non dispersivo, adeguato alle loro capacità. Perché non tutti hanno la stessa dotazione di memoria, di capacità di impegno a scuola ed a casa. Ma questo non vuol dire che non debbano essere valutati perché altrimenti daremmo loro l’illusione che sono tutti uguali. Non è vero nella realtà. Ma è certo che le diseguaglianze personali si possono attenuare se il docente stimola, coinvolge, si fa capire e fa capire.
La scuola è naturalmente un cantiere aperto. Le riforme sono necessarie ma devono tener conto dell’esperienza.