lunedì, Agosto 4, 2025
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“L’uomo è più incline a difendere i propri errori che a correggerli” (Michel de Montaigne).

Caro Salvatore,

ho letto, come sempre con grande interesse il tuo articolo (“L’errore della politica che non ammette mai un errore”, di oggi, n.d.r.), attraversato dal tuo consueto tratto di onesta’ intellettuale che oggi è raro trovare nel discorso pubblico.

Mi ha colpito in particolare la tua analisi sulla riluttanza dei politici ad ammettere gli errori. È un nodo centrale del nostro tempo, e tu lo hai trattato con chiarezza e coraggio. Mi è tornata alla mente una frase di Montaigne: “L’uomo è più incline a difendere i propri errori che a correggerli”. In politica, questo si amplifica, perché l’errore viene vissuto non come tappa di un percorso umano, ma come cedimento imperdonabile, da nascondere o, peggio, da trasformare in colpa altrui.

Hai scritto, con efficacia e amarezza (caratteri crescenti dei tuoi articoli), che “in politica si ricerca il fedele più che il leale”. È una verità che tocca anche la filosofia della responsabilità: Hannah Arendt ricordava, ci ricordava, che la capacità di pensare con la propria testa, di giudicare, è ciò che ci rende autenticamente liberi. Ma questa libertà, in politica, fa paura. Si preferisce la rassicurante prevedibilità del consenso incondizionato, alla forza dialettica del dissenso costruttivo.

La tua riflessione sul rapporto tra potere e consiglio mi ha fatto pensare a Tacito, quando descriveva la corte di Tiberio: chi parlava con franchezza rischiava l’esilio, chi taceva otteneva favori. Purtroppo, non siamo poi così lontani.

Anche il caso che citi  (il protocollo Italia-Albania) mostra con evidenza i danni di una politica che antepone l’immagine alla sostanza, il breve consenso alla lunga coerenza con i principi. Quando la Corte di Giustizia dell’UE ribadisce il primato del diritto alla vita e alla dignità, non compie un atto “politico”: richiama semplicemente l’orizzonte etico che dovrebbe guidare ogni decisione pubblica.

Apprezzo molto la tua proposta di coinvolgere giuristi liberi, non compromessi, come bussola per orientarsi nelle scelte più delicate. È segno di una cultura politica matura, che sa distinguere la lealtà dalla obbedienza, e il diritto dalla convenienza.

Ti ringrazio per aver condiviso queste riflessioni: sono necessarie, e non solo per “addetti ai lavori”. Parlano a chiunque abbia a cuore la qualità della nostra democrazia.

Un caro saluto.

Con amicizia e stima

Pietro Abate

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