di Salvatore Sfrecola
Il risultato negativo, per le aspettative di pace e di riconoscimento dei diritti dell’Ucraina, che ha segnato l’incontro tra i Presidenti degli Stati Uniti e della Federazione Russa, parte da lontano. Da quel pomeriggio nella Sala Ovale della Casa Bianca nel corso del quale il Presidente Donald Trump, appena insediatosi alla guida degli Stati Uniti, riservò a Volodymyr Zelensky, Presidente dell’Ucraina, un attacco mai visto per l’aggressività dei toni, delle argomentazioni e per il contesto, una sala piena di giornalisti e personalità del governo americano. Quel pomeriggio Vladimir Putin ha avuto netta la percezione della mentalità del Presidente americano e della sua lontananza dai valori di libertà e di indipendenza difesi dal governo di Kiev. E ne ha tratto la convinzione che da Washington, che contestualmente ridimensionava l’aiuto militare fino a qual momento assicurato, non sarebbero state alzate barricate in favore della repubblica invasa dalle truppe russe. Del resto, che fosse cambiata la politica americana di difesa degli alleati era evidente già dalla precipitosa e ignominiosa fuga dall’Afghanistan lasciato in mano dei talebani. Era un segnale che nessuno avrebbe potuto da allora fidarsi dello scudo militare americano. Per motivi economici, in primo luogo, in considerazione dell’elevato costo della difesa avanzata in tante parti del mondo, e per l’incapacità di immaginare quel ruolo imperiale nei confronti dell’Occidente che qualcuno a Washington aveva in passato delineato e del quale aveva scritto dopo aver studiato quel che un tempo Roma assicurava a tutela delle varie comunità che facevano affidamento sulla potenza militare dell’Urbe e sull’appartenenza a quel mondo che ovunque portava la civiltà delle regole e delle infrastrutture che garantivano prosperità e sviluppo, le strade, gli acquedotti, le terme, i teatri, ecc..
Gli U.S.A., che giustamente chiedono agli alleati nella NATO di incrementare l’apporto all’alleanza sono apparsi a Putin il segnale di un disimpegno al quale non è stato sostituito un nuovo e adeguato apparato militare capace di rendere certa e affidabile la difesa dei territori dell’Occidente da eventuali aggressioni, come quella, per buona parte speciosa, della Federazione Russa che sembra voler assumere un ruolo antico di tutela dei popoli slavi sull’onda dell’Impero degli Zar “di tutte le Russie” e poi dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, una sorta di “Impero del Male”, come lo chiamò Ronald Reagan assumendo che lo dimostrasse l’aggressione violenta di popoli di grande storia civile, dall’Ungheria alla Cecoslovacchia, alla Polonia.
Ieri ad Anchorage si è consumata una pantomima internazionale nella quale una grande potenza industriale e militare, gli Stati Uniti d’America, è venuta meno ad una tradizione di tutela dell’Occidente, già sperimentata nel corso della Prima e soprattutto della Seconda Guerra Mondiale, quando ha concorso in misura determinante alla vittoria contro la Germania nazista. Ed anche la Russia, che giustamente ricorda annualmente l’apporto dato in vite umane a quella vittoria, trascura di considerare che quel risultato fu possibile grazie ai mezzi ed agli armamenti provenienti dalla patria del capitalismo borghese.
Dal colloquio Trump – Putin non è venuto nulla, neppure quel risultato minimo, la sospensione dei combattimenti in Ucraina, in attesa di un negoziato che affrontasse la composizione della vertenza politica. Sarebbe stato un gesto di buona volontà. Ma neppure questo c’è stato. Anzi, mentre giornali e televisioni immaginavano, per la parola dei massimi loro esperti di politica e di relazioni internazionali, dei possibili esiti dell’incontro, lo Zar di Mosca, tanto per far capire di quale pasta è fatto, ordinava un massiccio, ulteriore bombardamento sull’Ucraina.
E così Trump, andato ad Anchorage per convincere Putin ad avviare un negoziato, torna a Washington a mani vuote, indebolito nel contesto, lasciando la patata bollente nelle mani incerte di un’Europa finora incapace di dimostrare il coraggio necessario per essere protagonista nella vicenda dell’Ucraina aggredita dalla Federazione Russa. Mentre Putin, cui il Presidente USA ha assicurato una insperata passerella, torna a Mosca da vincitore, avendo dimostrato di potersi permettere di non modificare di un millimetro la propria posizione. Gli “basta stare alla finestra”, titola l’Ambasciatore Stefano Stefanini che su “La Stampa” osserva come sia stato “un successo mai riportato dai leader di Mosca in decenni di confronti testa a testa con i presidenti americani”.
Leggeremo sui giornali ancora per parecchi giorni e sentiremo dalle televisioni commenti di ogni genere sull’esito dell’incontro tra Donald Trump e Vladimir Putin in Alaska, tra chi manifesterà soddisfazione, magari cauta, e chi si dirà deluso dai risultati dei colloqui tra i due presidenti. Ognuno avrà le sue buone ragioni ma forse, allo stato, chi sperava in un’immediata cessazione delle ostilità tra Russia e Ucraina, quale condizione per la definizione diplomatica del conflitto, aveva fiducia in una logica che non è quella degli autocrati che detengono il potere incontrollato senza doverne rendere conto ai cittadini.
Nel bene e nel male, chi comanda senza controlli è portato a perseguire gli obiettivi che si è dati perché crede che siano segnati nel destino dei popoli, da Napoleone a Hitler a Mussolini. Ed oggi è difficile immaginare che Putin non ritenga di fare il bene della Russia, nel momento in cui invade l’Ucraina per una somma di ragioni, alcune delle quali possono avere un minimo di credibilità in rapporto alle esigenze di sicurezza che ritiene, sbagliando, minacciate dall’ipotesi di ingresso dell’Ucraina nell’Unione Europea e nell’Alleanza Atlantica (NATO). Sbagliate, perché sembra evidente che al Cremlino c’è chi ritiene che l’Occidente abbia mire espansionistiche anche dal punto di vista militare, non considerando che, invece, chi governa in Europa deve rendere conto ai propri cittadini, i quali coltivano da molti decenni l’aspettativa di una pace duratura dopo la tragedia della Seconda Guerra Mondiale. E non hanno motivi di espansione se non dal punto di vista commerciale, con sguardo ai mercati che è tutto sommato agevole regolare come dimostra la “guerra dei dazi” nella quale è impegnato in questa stagione il Presidente degli Stati Uniti.
Che i popoli occidentali non siano interessati ad un’azione militare nei confronti della Russia è evidente nel fatto che, anche se è stata molto diffusa in Europa l’attenzione alle ragioni dell’Ucraina, le rilevazioni sull’opinione della gente dicono che è molto limitato il numero di coloro i quali sarebbero disposti a combattere per la libertà dell’Ucraina. E questo è un fatto molto grave perché tutti, con un minimo di cultura, dovrebbero ricordare che nel corso dell’Ottocento, quando i popoli ricercavano la libertà e la costituzione, persone sinceramente liberali sono andate a combattere per la difesa dell’indipendenza e la libertà dei popoli ovunque fosse in discussione. E così, mentre il nostro Santorre di Santa Rosa andava a combattere in Grecia e moriva a Sfacteria per la libertà di quel paese, legato all’Italia da una storia millenaria, polacchi e ungheresi, ma anche francesi e cechi, venivano a combattere in Italia, spesso nelle file delle camicie rosse del generale Giuseppe Garibaldi.
Ma al di là di queste brevi riflessioni va detto che la cosa grave della vicenda dell’incontro di Trump con Putin, che ha avuto l’esito che ci si doveva aspettare, conoscendo l’autocrate russo e la sfrontatezza del ministro degli Esteri Sergei Lavrov che si presenta con una felpa sulla quale campeggia la sigla dell’Unione Sovietica (URSS), così facendo intendere che c’è chi ha mire espansionistiche quasi volesse riportare la Russia ai tempi degli Zar o dell’Unione Sovietica, che in Europa non si sia manifestata una adeguata esigenza di difesa. I popoli europei che hanno vissuto la Seconda Guerra Mondiale avvalendosi dell’impegno degli Stati Uniti d’America, così anche la Francia e il Regno Unito impegnati contro la Germania e così l’Unione Sovietica che esalta molto il suo ruolo nella guerra, indubbiamente rilevante ma che è stato possibile anche grazie all’impegno economico e militare degli Stati Uniti, i popoli europei ripeto sì sono adagiati sotto l’ombrello della NATO senza pensare che la libertà è un valore che va difeso. Nel senso che i popoli sono liberi finché hanno la capacità, soli o associati, di evitare aggressioni esterne.
Lo ha dimostrato in modo inequivocabile il rapporto che le potenze occidentali hanno avuto, sul finire degli anni ‘30 dello scorso secolo, con la Germania nazista della quale hanno sottovalutato l’aggressività che cresceva a mano a mano che i paesi occidentali vincolati alle indicazioni dei loro popoli dimostravano di essere acquiescenti dinanzi alle mire espansionistiche del dittatore tedesco. Così, la pretesa nei confronti del territorio dei Sudeti e successivamente di Danzica hanno dato dimostrazione a Hitler che avrebbe potuto impunemente continuare a manifestare le sue mire espansionistiche nella convinzione che l’opinione pubblica non aveva intenzione di rischiare la guerra. Ed è in proposito da ricordare una famosa frase di Winston Churchill, politico inglese di primo piano e uomo di grande cultura storica il quale, commentando l’atteggiamento delle potenze occidentali di fronte all’aggressività nazista, disse: “potevate scegliere tra il disonore e la guerra. Avete scelto il disonore, avrete anche la guerra”. E così è stato, perché un popolo che si dimostra incapace di difendere i propri valori, la propria identità, la propria libertà cade inevitabilmente sotto l’aggressione del vicino prepotente.
Quindi l’Europa, una grande realtà politica ed economica, non può pensare di difendere la propria libertà, la propria autonomia e il proprio modo di vivere da condizionamenti esterni fidandosi di un amico forte. Perché l’amico può avere in un determinato momento storico altre esigenze che non difendere amici esterni, spesso lontani. Quindi L’Europa deve dotarsi di una autonoma capacità difensiva, come aveva capito De Gasperi all’inizio degli anni 50, quando si fece promotore insieme ad altri della Comunità Europea di Difesa (CED) che poi fu abbandonata alla morte di Stalin quando soprattutto i francesi ritennero che non c’era motivo di preoccupazione nei confronti dell’Unione Sovietica che pure dominava tutta l’Europa dell’Est.
L’Europa ha bisogno di avere la sua forza militare capace di assicurare la sua indipendenza perché le guerre scoppiano quando c’è qualcuno che è convinto di vincere, perché ritiene che l’avversario sia debole. La frase latina “si vis pacem, para bellum”, della quale molto si è abusato con varie interpretazioni, in realtà ha un significato molto semplice. Se tu vuoi essere libero, se vuoi coltivare la pace devi essere pronto a fare la guerra, non perché la vuoi fare, ma perché devi dissuadere chi ti volesse aggredire che non sarebbe facile sconfiggerti.
L’Europa si deve svegliare da un torpore antico ed è una condizione necessaria, che si può realizzare nel tempo con un impegno finanziario compatibile con l’esigenza di non incidere sulle condizioni di vita dei popoli europei. Se ne rendano conto i “volonterosi” di varie sfumature che si riuniscono oggi e domani per decidere il da farsi. Difendere l’Ucraina meglio di come è stato fatto finora impedendo alle truppe russe e alleati orientali di fare un ulteriore passo avanti. Per poi discutere di pace laddove Putin pretenderebbe la capitolazione dell’esercito ucraino.