martedì, Agosto 26, 2025
HomeNEWS“Borbontology: smontare le bufale neo borboniche”, un viaggio ironico e provocatorio di...

“Borbontology: smontare le bufale neo borboniche”, un viaggio ironico e provocatorio di Marco Piva

di Salvatore Sfrecola

Mi disturba molto, da sempre, leggere ed ascoltare rivendicazioni di questo o di quel territorio italiano, non per esaltare la propria storia ma per negare il valore dell’unità d’Italia. Un Paese al quale io sono legato con la mente e con il cuore, e che mi porta a considerare ogni abitante, dalle Alpi al Lilibeo, come un fratello italiano, convinto che la storia d’Italia, la sua ricchezza sia la somma delle storie locali, preziose dal punto di vista politico istituzionale e culturale, sotto ogni profilo, della letteratura e dell’arte. È con questa mentalità, che non viene meno mai, che io guardo con fastidio a certe polemiche alimentate soprattutto in alcuni ambienti che cerco di collocare nell’ambito limitato della persona o del gruppo di persone o dell’associazione che le propone.

Così non mi ha mai disturbato più di tanto la narrazione che si legge su alcuni siti, in particolare su Tik Tok, a proposito dell’Italia meridionale e dell’annessione del Regno delle Due Sicilie allo stato unitario, al Regno d’Italia. Mi disturba, in particolare, la denigrazione della iniziativa patriottica della “Società Nazionale”, incarnata da Giuseppe Garibaldi e dalle sue “camicie rosse” il cui ruolo nella liberazione o nella “conquista” del Sud (a seconda della visuale in cui ci si pone) viene svilito, con riferimento a tradimenti e corruzione che avrebbero smorzato la resistenza dell’esercito del Regno delle Due Sicilie.

È vero che la storia la scrivono i vincitori, ma è certo che nella letteratura e nella storia italiana si è dato spazio a tutte le tesi. Ma il tentativo di sminuire il senso dell’operazione parlando di complotto internazionale dell’Inghilterra, soprattutto, e della “potenza massonica” è un modo per negare la verità delle folle accorse ad ingrossare i Mille, e per creare una frattura fra gli italiani, del Nord, del Centro e del Sud, che io e tanti che la pensano come me vorremmo fossero fratelli, come lo sono stati in un momento grandissimo della storia d’Italia, la Prima Guerra Mondiale, quando italiani che non parlavano neppure la stessa lingua o lo stesso dialetto si sono sacrificati sulle pietraie del Carso, sull’Isonzo e sul Piave per conquistare l’unità del Paese alla quale mancavano Trento e Trieste.

Certo, come sempre accade negli eventi storici, c’è chi crede in un’ideale e chi è contrario perché teme il nuovo, perché non è in condizione di comprendere, non legge non ha letto. Si dice per esempio – l’abbiamo letto sui libri di storia – che “Del Primato morale e civile degli italiani”, di Vincenzo Gioberti, ristampato da Historica in tre volumi, abbia concorso in modo determinante alla formazione del pensiero unitario. Il libro fu stampato in 1000 copie. Quanti pensate che lo abbiano letto? Certo più di 1000, forse 2 o 3mila, era il pensiero di tanti italiani del Nord e del Sud ed è certo che ha contribuito alla formarsi della coscienza nazionale, ma nell’ambito ristretto di chi sapeva leggere, soprattutto al Nord, perché il Sud, che oggi rivendica le storie del Regno delle Due Sicilie e i suoi “primati”, era in effetti un Regno illiberale con un tasso di analfabetismo intorno al 90%. Ricordiamo il bombardamento della Sicilia, in particolare di Messina ribelle a Napoli nel 1848. In precedenza Ferdinando II aveva schiacciato la rivolta della Calabria. Il Regno “delle Due Sicilie” era nato nel 1816, sarebbe finito nel 1861. A Palermo si rivendicava il Parlamento. Lì e a Napoli si chiedeva la costituzione. Ed il Borbone, come altri sovrani italiani era ostile a questa apertura alla quale aveva aderito, invece, Carlo Alberto, Re di Sardegna, che nel 1848 l’aveva concessa e subito dopo era sceso in campo a fianco dei milanesi ribelli al potere dell’Austria senza pensare alle difficoltà che avrebbe incontrato in una realtà dominata da un ceto politico ancora reazionario, nel dichiarare guerra alla più grande potenza militare dell’epoca l’Impero austriaco mettendo in gioco il suo Regno. Forse non è chiaro, forse sfugge ai più che in quel momento una dinastia che per centinaia di anni aveva mantenuto l’indipendenza tra le potenze europee si giocava tutto facendo guerra all’imperatore di Vienna. Quella stessa dinastia, in persona del successore di Carlo Alberto, il re Vittorio Emanuele II, mantiene lo statuto nonostante le insistenze, anzi le minacce, dell’Austria perché fosse abrogato. Cosa che avevano fatto tutti i sovrani che sull’onda delle ribellioni del 1848 avevano concesso le costituzioni. Questo è un fatto storico incontrovertibile che viene raccontato ma senza particolare enfasi che invece, a mio modesto avviso, dovrebbe accompagnare la narrazione dell’inizio del Risorgimento.

Fatta questa premessa generale, di amore per la Patria e di affetto nei confronti dei miei concittadini dovunque siano nati, devo dire che la richiamata narrazione di movimenti cosiddetti neoborbonici mi lascia molto perplesso perché enfatizza alcuni indubbi primati del Regno delle Due Sicilie, primo fra tutti, continuamente richiamato, quello della prima ferrovia d’Italia da Napoli a Portici, pochi chilometri, diciamoci la verità, per portare la Corte al mare. Non è un’opera strategica dal punto di vista né militare né commerciale. Cioè quel treno non metteva in collegamento un porto con uno stabilimento industriale, con una realtà commerciale o con un mercato di qualunque genere. Peraltro quel Regno non era dotato di infrastrutture civili in misura adeguata a quella che viene presentata come una potenza economica europea e addirittura mondiale. Mancavano le strade, che peraltro mancano ancora oggi dopo molti anni dall’unità d’Italia che ha avuto i suoi difetti ovviamente. Che giustifica “Cristo si è fermato ad Eboli”, di Carlo Levi. E ancora oggi l’alta velocità non va molto più lontano.

Altri “primati” sono oggetto di questo volumetto “Borbontology” curato da Marco Piva, un imprenditore veneto, digitale e consulente di marketing e nella strategia digitale. Autore di libri e progetti si è dedicato a smontare i miti storici come fa con questo libro dove definisce “bufale” una serie di primati portati avanti dalla narrazione neo borbonica, dall’oro che sarebbe stato portato al Nord, alla situazione igienico sanitaria del Regno, ai miti storici della nascita di Napoli, a Dante che si sarebbe recato a Palermo, a Giotto che avrebbe affrescato una chiesa di Napoli, tutti i fatti che non sono documentati perché, si dice, sono spariti i documenti. Eppure se ne afferma la veridicità.

Non è il primo volume che si occupa di smitizzare alcune realtà, come i libri di Tanio Romano, “La grande bugia borbonica” (del 2019) e “I Savoia – la storia diffamata dei Re d’Italia” (2021), dedicato a Mafalda di Savoia, “martire della ragion di Stato e della barbarie nazifascista”, che smontano le falsità pro Regno delle Due Sicilie e contro il Risorgimento.

Punto per punto questi volumi documentano che certi primati non erano tali. E comunque ci presentano una realtà economica e politica che se fosse stata realmente come descritta dalla narrazione neoborbonica non sarebbe crollata rapidamente, come si è cercato di giustificare con riferimento a presunti complotti, interni o internazionali, ma che trova le sue radici in una economia arretrata, prevalentemente costituita da latifondo nella quale la popolazione viveva, escluse le grandi città – nessuno dubita, per esempio, che Napoli fosse un centro culturale a livello europeo – in condizioni di assoluta povertà e di ignoranza. Poi c’è da dire che gli eventi successivi all’unità d’Italia, la ribellione degli ambienti meridionali che hanno dato luogo al brigantaggio, un fenomeno peraltro endemico, e la repressione che del fenomeno è stata attuata dal Regno d’Italia con le modalità dell’epoca (ogni evento va contestualizzato) dall’Esercito e non da una forza di polizia, che ha un altro modo di intervenire, che aveva dato luogo a reciproci comportamenti cruenti nascono dal fatto che l’estensione all’intero Regno delle leggi piemontesi non è stata una iniziativa valida.

L’Italia ha sofferto la morte di Cavour che aveva compreso l’esigenza che l’Italia così diversificata nelle realtà che venivano a confluire nel Regno aveva bisogno di regole in qualche modo diversificate, adattate alle realtà locali. La stessa iniziativa di Marco Minghetti di fare dell’organizzazione amministrativa italiana un esempio di decentramento intelligente fu bloccata dalla precarietà del momento, dalla difficoltà della classe dirigente di tenere in pugno la situazione. Né il Sud può dare la colpa di tutti i mali agli errori che ci sono stati nel passato perché nel corso del tempo ha avuto eminenti uomini di governo a tutti i livelli, Presidenti del Consiglio e ministri, Presidenti della Repubblica. Anche l’enfatizzazione della emigrazione è un fatto che, avulso dalla realtà globale del Paese perde del suo significato autentico. Anche il Veneto ha dato milioni di persone all’emigrazione nei confronti gli altri paesi europei, degli Stati Uniti, del Brasile e dell’Argentina.

Questo libro si legge sorridendo, anzi si deve leggere sorridendo perché smitizza alcune realtà esibite e trasmesse con assoluta faciloneria, ma non criminalizza il Sud come invece alcuni ambienti neoborbonici tendono a fare del resto d’Italia. Ricordiamoci che il primo ministro della pubblica istruzione del Regno d’Italia è stato Francesco De Sanctis, un gigante nella storia della letteratura italiana, napoletano, che aveva dovuto riparare a Torino perché i liberali a Napoli non erano ben visti Capitava pure che fossero impiccati.

Non vado oltre queste indicazioni sul volume perché spero che serva come lettura vera ma scherzosa per certi versi di una realtà che mi auguro venga ridimensionata. Cioè che gli italiani di ogni regione che hanno giustamente amore per la loro terra, che ne rivendicano la storia, la cultura, l’arte e tutto quello che è nato dalla intelligenza e dalle iniziativa degli uomini, sentano che questo loro patrimonio è parte di un patrimonio comune, una ricchezza che concorre alla ricchezza del nostro Paese.

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui

Most Popular

Recent Comments

Aldo Ammendola on Trent’anni senza Babbo Italo
Marco Perletta on Vincenzo Cuoco (1770-1823)
Gianluigi Biagioni Gazzoli on Turiamoci il naso e andiamo a votare
Michele D'Elia on La Domenica del Direttore
Michele D'Elia on Se Calenda ha un piano B