di Salvatore Sfrecola
Il diritto dei cittadini di riunirsi e di manifestare il proprio pensiero è antica conquista dello Stato liberale. In Italia riconosciuto dallo Statuto Albertino per il quale all’articolo 32 “È riconosciuto il diritto di adunarsi pacificamente e senza armi, uniformandosi alle leggi che possono regolarne l’esercizio nell’interesse della cosa pubblica”. In Repubblica è l’articolo 17 della Costituzione a prevedere che “I cittadini hanno diritto di riunirsi pacificamente e senz’armi.
Per le riunioni, anche in luogo aperto al pubblico, non è richiesto preavviso.
Delle riunioni in luogo pubblico deve essere dato preavviso alle autorità, che possono vietarle soltanto per comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica”.
Insomma, non dipende dai motivi della riunione nella né dalle idee manifestate, purché la riunione avvenga senza armi avendone, se occupano spazi pubblici, avvertito l’autorità di pubblica sicurezza virgola che può vietare la manifestazione solo per motivi di ordine pubblico.
Fatte queste premesse per ricordare “a noi stessi” le regole, come dicono gli avvocati, devo rilevare che le manifestazioni di ieri, in varie città d’Italia, organizzate per chiedere il riconoscimento dello Stato di Palestina e la fine delle azioni militari condotte dall’esercito israeliano nella Striscia di Gaza in molti casi hanno avuto uno sviluppo violento, inammissibile.
Lasciamo da parte il tema del disagio che i manifestanti hanno causato ai cittadini ai quali è stato impedito di raggiungere il luogo di lavoro, di presentarsi in tempo per una visita medica o per adempiere ad altri impegni personali o professionali. Quella che abbiamo visto in televisione è stata una manifestazione in molti casi violenta, con danneggiamento di beni pubblici e privati, di cui sono un esempio le vetrine infrante alla stazione di Milano, i pali della segnaletica stradale divelti per farne armi da scagliare contro le forze dell’ordine, azioni che tutti hanno visto in abbondanza, che hanno arricchito il bollettino dei feriti delle Forze dell’Ordine.
Non è un diritto quello che è andato e onda qua e là per l’Italia, ma un vero e proprio attentato alla democrazia e alla sicurezza pubblica che non può essere tollerato. Non voglio entrare nel merito della prevenzione che un tempo si esercitava impedendo ai “soliti noti” isolandoli perché non partecipassero agli eventi, oggi non possibile, ma Daspo o altre misure interdittive vanno attuate, come vanno fermati con loro che, con il volto travisato, si avviano a partecipare ad una manifestazione.
Distinguere il diritto dalla violenza è una regola della democrazia liberale e uno Stato deve saper difendere il diritto e reprimere la violenza, prevenendo quando è possibile. E qui va detto che i partiti politici hanno il dovere di distinguersi dai violenti, prendendo le distanze da iniziative che si sa o che si immagina sono destinate a degenerare. È un dovere di tutta la classe politica, soprattutto di quella parte che opera all’opposizione la quale deve dimostrare di avere “cultura di governo” che significa saper guidare i fenomeni sociali garantendo la libertà di tutti. Cedere al desiderio di cavalcare la protesta è ammissibile purché mai attui forme violente a danno dei beni pubblici e privati, salvaguardando le Forze dell’Ordine che sono “al servizio esclusivo della Nazione”, cioè di tutti.