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Frammenti di riflessioni

FRAMMENTI DI RIFLESSIONI

del Prof. Avv. Pietrangelo Jaricci

Giustizia amministrativa

Nel processo amministrativo la revocazione ex art. 395, n. 5, c.p.c., (per contrasto giudicati) non è proponibile nel caso di contrasto tra sentenza definitiva e sentenza parziale (c.d. giudicato interno).

Ha chiarito la Sezione che il contrasto di giudicati deducibile quale motivo di revocazione ex art. 395, n. 5, c.p.c., è solo quello (c.d. esterno) relativo a sentenze pronunciate tra le stesse parti ma in un diverso giudizio e non quello (c.d. interno) relativo al contrasto tra la sentenza definitiva e quelle non definitive o parziali pronunciate nel medesimo giudizio.

Ne consegue che il (supposto) contrasto con il giudicato interno, quale species di errore di diritto, è, al pari di tutti gli altri errori di diritto che il Consiglio di Stato possa compiere, sottratto al controllo di ulteriori istanze giurisdizionali: ciò, del resto, risponde e consegue tanto all’autonomia costituzionalmente riservata al Consiglio di Stato (artt. 103 e 111 Cost.), quanto, prima ancora, al fondamentale principio costituzionale di “ragionevole durata del processo”.

La Sezione ha osservato che per consolidata giurisprudenza civile, il contrasto con un giudicato interno, ossia maturato nell’ambito della medesima vicenda processuale, non è censurabile con l’azione di revocazione ex art. 395, n. 5, c.p.c., bensì con l’ordinario ricorso per cassazione ex art. 360, n. 4, c.p.c., poiché concreta un errore di diritto (processuale).

Anche nel processo amministrativo la revocazione non si applica nei casi di (supposto) contrasto con il giudicato interno: oltre i due gradi di giudizio (ambedue con cognizione di merito) in cui si articola l’attuale assetto della giustizia amministrativa, infatti, non è funditus data altra istanza giurisdizionale di controllo, ad eccezione del mero sindacato, da parte della Corte di cassazione, circa il rispetto dei limiti esterni della giurisdizione (Cons. Stato, Sez. IV, 27 marzo 2020, n. 2137, con commento di Licia Grassucci, “Violazione del giudicato interno: non è censurabile con l’azione di revocazione”, in www.italiappalti.it, 14 maggio 2020).

Vigilare

“Sembra essere legge di natura che nei momenti di svolta o di crisi, quando ‘cresce il pericolo’, e massimamente dovremmo impegnarci per comprenderne cause e conseguenze, la nostra attenzione, la nostra voglia di pensare, invece, vadano rapidamente affievolendosi. La fatica del giorno per giorno, il duro mestiere di tirare avanti in qualche modo, divorano lo spazio che, in momenti più normali, destiniamo qualche volta anche all’esercizio dell’analisi e della critica. E diventiamo propensi ad affidarci ai cosidetti ‘dati di fatto’, a volte comunicati da esperti veri, altre volte decretati a mo’ di dogmi dal Condottiero di turno, e dalle sue task force”.

“In questi giorni abbiamo accettato necessarie limitazioni di libertà e diritti. Occorre vigilare perché non dilaghino” (Massimo Cacciari, “Pensiamoci!”, L’Espresso, n. 20/2020, 26 s.).

Ancora le mascherine

          Una oscena pantomima.

Anarchia dei grillini

“Per il M5S si è aperta una fase di crescenti incertezze, acuite anche dallo strano silenzio di Beppe Grillo in queste settimane e appena compensate dalle numerose poltrone che, nel giro delle nomine pubbliche, i grillini sono riusciti ad occupare in continuità perfetta con la vecchia politica tanto biasimata nei comizi e nelle dichiarazioni pubbliche. Incertezze alle quali s’è cercato di rispondere come sempre fanno i partiti che, dopo aver annunciato di voler cambiare il mondo, scoprono di non saperlo fare: ci si riscopre intransigenti, si prova a tornare alla purezza delle origini dando la colpa al mondo se le cose vanno male” (Alessandro Campi, “Il governo è appeso all’anarchia dei grillini”, Il Messaggero, 13 maggio 2020).

Giustizia collassata

          Sarebbe quanto meno doveroso ridurre il periodo feriale dei magistrati.

Gli italiani secondo Gervaso

“Siamo fatti male, ma potremmo essere fatti peggio. Non ci perdiamo mai d’animo perché siamo pieni di risorse, non sempre oneste, ma sempre utili. Tiriamo a campare e, alla fine, il lunario lo sbarchiamo. Crediamo in poche cose, ma in queste crediamo ciecamente. Almeno finché ci conviene credere. Niente ci scandalizza, ma ci piace fare la morale, anche se siamo i primi ad aggirarla e a raggirarla. Non siamo un popolo serio, e anche per questo siamo un popolo simpatico. Amiamo la vita, e ne siamo ricambiati. Se ci chiede un sacrificio, lo facciamo. Se ce lo richiede, cerchiamo di farlo fare a un altro. Viviamo su una gran bella ribalta, dove, consumati commedianti, recitiamo la nostra parte. Sempre la stessa da duemila anni” (Roberto Gervaso, “Italiani pecore anarchiche”, Milano, 2003, 137).

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