di Salvatore Sfrecola
Non sente ragioni il Ministro Gualtieri. Ripetutamente sollecitato dalla Dirstat, il sindacato dei dirigenti della Pubblica Amministrazione, lui quell’“alta vigilanza” che l’art. 60 del decreto legislativo 300 del 1999 gli attribuisce sulle agenzie fiscali non intende esercitarla come, del resto, avevano fatto i suoi predecessori. E omette di intervenire, nonostante il persistente disagio dei funzionari, soprattutto di quelli che potremmo definire i “quadri”, il nucleo forte di tutte le amministrazioni, reso evidente dal contenzioso che negli ultimi anni ha coinvolto il TAR del Lazio e il Consiglio di Stato per approdare alla Corte costituzionale con definitiva pronuncia sulla illegittimità dei conferimenti di funzioni dirigenziali o di posizioni organizzative a tempo al di là delle regole del pubblico concorso cui le Agenzie sono tenute avendo “personalità giuridica di diritti pubblico” (art. 61, d.lgs. 300/1999).
Il quadro normativo è stato puntualmente illustrato dal Consiglio di Stato, Sez. IV, 6 ottobre 2015, n. 4641, in una sentenza secondo la quale “non può trovare considerazione l’argomento di una sostenuta “sfera di autonomia”, che l’art. 71, co. 3, d. lgs. n. 300/1999 avrebbe attribuito, tra le altre, alla Agenzia delle Entrate, né l’ulteriore argomento secondo il quale essa non sarebbe tenuta alla pedissequa applicazione delle norme di cui al d.lgs. n. 29/1993 (ora d. lgs. n. 165/2001)”. Perché se “è’ senza dubbio vero che l’art. 71 d. lgs. n. 300/1999 prevede che il regolamento di amministrazione è emanato “in conformità ai principi” di cui al d.lgs. n. 29/1993, ma è, innanzi tutto, altrettanto vero che, nel caso di specie, relativo alla costituzione del rapporto di lavoro dirigenziale, ciò che risulta violato non sono (solo) pur importanti disposizione del d.lgs. n. 29/1993 (ora d. lgs. n. 165/2001), ma i principi e le norme costituzionali cui tale normativa primaria si conforma. Il regolamento dell’Agenzia delle Entrate ha violato sia il principio di eguaglianza dei cittadini nell’accesso ai pubblici uffici (nella specie, dirigenziali), espresso dall’art. 51 Cost., sia il principio secondo il quale ai pubblici uffici si accede mediante concorso (ex art. 97 Cost.). Si tratta di una violazione di normativa primaria (d. lgs. n. 165/2001, appunto), e di principi costituzionali (di cui agli artt. 3, 51, 97 Cost.) di estrema gravità, in base alla quale si è proceduto al conferimento di diverse centinaia di incarichi dirigenziali, con ripercussioni evidenti non solo sul principio di buon andamento amministrativo, ma anche sulla stessa immagine della Pubblica amministrazione e sulla sua “affidabilità”, per di più nel delicato settore tributario, dove massima dovrebbe essere la legittimità e la trasparenza dell’agire amministrativo. La reiterata applicazione della norma regolamentare illegittima ha, di fatto, determinato una grave situazione di illegittimità in cui ha versato per anni l’organizzazione dell’Agenzia delle Entrate, determinandosi uno scostamento di proporzioni notevoli tra situazione concreta e legittimità dell’organizzazione amministrativa. In sostanza, l’amministrazione finanziaria nel suo complesso è stata oggetto di una conformazione che l‘ha posta, nelle proprie strutture di vertice, e per anni, al di fuori del quadro delineato dai principi costituzionali. Ciò che, dunque, è sicuramente mancato (in modo grave, ampio e reiterato nel tempo) è proprio la conformità ai principi sanciti dalla legge e dalla Costituzione, da parte del Regolamento dell’Agenzia, oggetto di annullamento “in parte qua” ad opera della sentenza impugnata. In particolare, come ha affermato la Corte Costituzionale, “le reiterate delibere di proroga del termine finale hanno di fatto consentito, negli anni, di utilizzare uno strumento pensato per situazioni peculiari quale metodo ordinario per la copertura di posizioni dirigenziali vacanti”, consentendo quindi l’attribuzione di incarichi dirigenziali senza concorso, senza criteri, e con un esercizio di discrezionalità del quale sfuggono al giudice amministrativo parametri e limiti. A fronte di ciò, non possono assumere alcun rilievo le ragioni addotte dall’amministrazione con il motivo di appello in esame, relative alla impossibilità di bandire i concorsi per assenza dell’idoneo regolamento o per impedimenti derivanti dal cd. blocco delle assunzioni o da altri casi. Per un verso, la situazione di cd. blocco delle assunzioni non distingue la posizione dell’Agenzia delle Entrate da quella della quasi generalità delle amministrazioni pubbliche; per altro verso, l’eventuale difetto di disposizioni regolamentari, stante il livello della fonte, non può che imputarsi alla stessa amministrazione”
Infatti, dalla loro istituzione le Agenzie hanno ritenuto di poter nominare dirigenti con criteri ampliamenti discrezionali, in aperta violazione dell’art. 97 della Costituzione, sì da indurre la Corte Costituzionale ad intervenire e ad annullare tutte nomine fatte senza regolari prove selettive con la conseguenza che per poter mandare avanti gli uffici è stato necessario ricorrere a fantasiose iniziative con la creazione di posizioni organizzative speciali, posizioni organizzative a tempo ed, infine, posizioni organizzative di elevate responsabilità.
Per la verità va detto che il Ministero delle Finanze, all’inizio degli anni ’90 aveva avviato varie procedure concorsuali per implementare il ruolo dei dirigenti con concorsi all’esito dei quali, oltre ai funzionari assunti, residuava un considerevole numero di idonei che avrebbero potuto essere assunti nel tempo per evitare nuovi concorsi. Ma se i vincitori sono transitati dal Ministero alle Agenzie successivamente, quando si sono resi disponibili posti di funzione, anziché fare scorrere le graduatorie validate dal Governo fino al 2011 si è preferito inaugurare la stagione degli incarichi “intuitu personae”, scegliendo chi non aveva neppure tentato un concorso dirigenziale.
In questa realtà si colloca la critica della Dirstat nei confronti dei ministri, fino all’attuale, per il mancato esercizio di quella funzione di “alta vigilanza” che avrebbe potuto indurre le Agenzie ad assumere rapidamente, quando fossero vacanti i relativi posti, personale già selezionato come sono gli idonei nei concorsi a dirigente.
La cosa grave, segnala il dottor Pietro Paolo Boiano, Segretario generale aggiunto della Dirstat, è che il silenzio del ministro, anzi dei ministri, venga avallato dall’organo tecnico del Ministero, il Dipartimento delle politiche fiscali, il quale ritiene che le agenzie abbiano autonomia di gestione in tema di personale, evidentemente trascurando che l’“alta vigilanza” attribuita al Ministro dalla norma che attiene ai “controlli sulle agenzie fiscali” se non comporta una verifica dei singoli “atti di gestione”, come spiega lo stesso art. 60 al comma 3, del d.lgs n. 300/199 assegna certamente all’autorità politica il potere di intervenire con direttive in presenza di fatti che possano essere in contrasto con i principi di “legalità, imparzialità e trasparenza, con criteri di efficienza, economicità ed efficacia nel perseguimento delle rispettive missioni” (art. 61, comma 2), come dimostra, se non altro, il rilevante contenzioso amministrativo. Non fanno un buon servigio al ministro i burocrati di via XX Settembre e lo stesso Ufficio di Gabinetto, perché in tal modo risulta limitato l’esercizio di una funzione fondamentale, prevista dalla legge.
Tuttavia non c’è da stupirsi, perché nulla accade per caso. E così, in ossequio evidente ad un indirizzo “implicito” dell’autorità politica, ignorando le sentenze, si è fatto ricorso nel tempo a vari espedienti compreso quello offerto dall’art.19, comma 6, del decreto legislativo 165/2001, con nomine di estranei o finti tali in barba al merito che hanno precluso le aspirazioni di carriera di funzionari di carriera di elevata professionalità.