del Prof. Avv. Massimo Luciani
“In data odierna è stata depositata la sentenza n. 234 del 2020 della Corte costituzionale, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 261, della legge n. 145 del 2018 – relativo al “taglio” – nella parte in cui stabilisce la riduzione dei trattamenti pensionistici ivi indicati “per la durata di cinque anni”, anziché “per la durata di tre anni”.
Più specificamente, la Consulta ha ritenuto che la durata quinquennale del prelievo “non solo risulta esorbitante rispetto all’orizzonte triennale del bilancio di previsione, fissato dall’art. 21 della legge 31 dicembre 2009, n. 196 (Legge di contabilità e finanza pubblica), ma costituisce anche un indice di irragionevolezza per sproporzione, poiché riguarda una misura che persegue le sue finalità proprio nell’arco del triennio”.
A tal proposito è stato ricordato che nell’ambito strettamente previdenziale si registra “la tendenza dell’ordinamento a non proiettare oltre il triennio valutazioni e determinazioni cui si addice uno spazio di osservazione più circoscritto, come testimonia l’evoluzione della disciplina del coefficiente di trasformazione del montante individuale dei contributi, di cui all’art. 1, comma 11, della legge n. 335 del 1995”.
La Consulta ha infine aggiunto che la durata quinquennale del contributo risulta eccessiva anche in considerazione del fatto che la riduzione delle pensioni di importo elevato è stata introdotta quale misura emendativa al disegno della legge di bilancio 2019 nell’ambito dell’interlocuzione del Governo italiano con la Commissione europea, sulla base di impatti finanziari stimati, appunto, per il solo triennio 2019-2021.
Con la sentenza in commento la Corte costituzionale ha dichiarato, invece,non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 260, della legge n. 145 del 2018, relativo al blocco temporaneo della perequazione.
A tal proposito, il Giudice delle leggi ha ritenuto, tra l’altro, che la predetta misura non avrebbe “l’effetto di paralizzare, o sospendere a tempo indeterminato, la rivalutazione dei trattamenti pensionistici, neanche di quelli di importo più elevato, risolvendosi viceversa in un mero raffreddamento della dinamica perequativa, attuato con indici graduali e proporzionati”. Tale misura, in ogni caso, sarebbe giustificata dalla finalità di concorso agli oneri di finanziamento della c.d. “quota 100”.
La sentenza in commento – benché piuttosto “indulgente” nei confronti del legislatore – ha però specificato, a proposito della reiterazione di misure a carico dei trattamenti pensionistici (che è il profilo maggiormente interessante de futuro) che ogni prelievo di solidarietà deve fondarsi “su ragioni in grado di giustificarlo” e che “il ripetersi delle misure” fa emergere “l’esistenza di una debolezza sistemica, difficilmente governabile per il tramite di interventi necessariamente temporanei,per di più operati soltanto sui redditi pensionistici, «ormai consolidati nel loro ammontare, collegati a prestazioni lavorative già rese da cittadini che hanno esaurito la loro vita lavorativa, rispetto ai quali non risulta più possibile neppure ridisegnare sul piano sinallagmatico il rapporto di lavoro» (sentenza n. 116 del 2013)”.
Da tali affermazioni si desume che la Corte costituzionale, con la sentenza in esame, non ha inteso avallare la pratica di reiterazione di contributi – foss’anche “solo” triennali – a carico dei trattamenti più elevati.
Dal passaggio riportato, anzi, sembra emergere la piena consapevolezza, da parte del Giudice delle leggi, dell’impossibilità di far fronte a una situazione di “debolezza sistemica” con interventi temporanei, peraltro gravanti esclusivamente sui redditi pensionistici (e non anche sui titolari di redditi diversi). Tanto, in prospettico accoglimento delle considerazioni svolte nelle difese scritte e in discussione orale sulla problematicità del mancato ricorso alla fiscalità generale.
La decisione, quindi, non legittima,pro futuro, decurtazioni a carico dei trattamenti pensionistici col solo vincolo della loro durata triennale.
Il passaggio segnalato, dunque, sembra poter allontanare le pur legittime preoccupazioni sorte – sul punto – a seguito della pubblicazione del Comunicato Stampa, che anticipava il contenuto della decisione.