venerdì, Aprile 19, 2024
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Giorgia Meloni e il bilancio dello Stato: il coraggio della prudenza

di Salvatore Sfrecola

All’inizio di una legislatura condizionata dall’eredità dei governi che hanno gestito una crisi economica e sociale che, tra pandemia e guerra, ha pesato sui conti pubblici, Giorgia Meloni si è trovata a delineare una manovra di bilancio tra spazi estremamente angusti. Ha, dunque, optato per alcune decisioni necessarie, come l’intervento sul caro bollette, e su alcuni “segnali” che debbono essere considerati anticipatori di scelte nel tempo a venire, come la “mini stretta”, per dirla con Barbara Flammeri, che ne ha scritto su Il Sole 24 Ore, sul reddito di cittadinanza, certo il capitolo che ha destato più contrasti anche nella maggioranza preoccupata, in particolare Forza Italia e la Lega, di possibili perdite di consensi elettorali al Sud. I “segnali” delineano un’idea di quel che va fatto in misura più ampia, dall’aumento delle pensioni minime, oggi modesto, all’incremento del 100% della maggiorazione forfettaria riconosciuta dal 1° gennaio 2023 alle famiglie dai 3 o 4 figli che dunque incasseranno 200 euro rispetto ai 100 attuali. Forse si poteva partire da due figli, che già è una scelta impegnativa per molte famiglie al giorno d’oggi.

Convinto che non potesse fare di più per la pesante eredità lasciata dai governi della legislatura e per il tempo troppo breve per una revisione della spesa pubblica, che certamente avrebbe consentito di individuare maggiori spazi per una manovra più incisiva, debbo tuttavia dire che qualche ulteriore segnale sarebbe stato necessario, come quello di un riconoscimento della condizione di disabilità che, come ho scritto ancora di recente, deve essere gestita dal fisco attraverso il riconoscimento della detrazione delle somme corrisposte ai badanti, in uno alla loro qualificazione professionale da attuare attraverso un minimo di formazione, perché coloro che assistono persone deboli debbono avere una professionalità adeguata a questa difficile e preziosa attività. Qualcuno dirà che la misura avrebbe determinato una riduzione del gettito, qualche altro farebbe notare che vasta è l’area dell’evasione fiscale e contributiva in un settore nel quale il lavoro nero è diffuso, proprio in considerazione degli oneri che gravano sul disabile e sulla sua famiglia.

Poi forse sarebbe stata necessaria una più coraggiosa riduzione dell’imposta sui carburanti, considerato che, in un Paese come l’Italia, dalla difficile configurazione orografica, il trasporto delle merci avviene prevalentemente su gomma e il costo del carburante si riversa inevitabilmente sui prodotti e quindi sul carrello della spesa.

Devo dire, in contemporanea, che mi lascia molto perplesso il tono dell’opposizione che parla di “mini manovra”, nonostante questi partiti fossero al governo solo qualche giorno fa senza avere impostato una legge di bilancio come oggi dicono che avrebbero voluto fosse realizzata dal governo Meloni. Un bilancio prudente, dunque, riconosciuto anche da un commentatore che sta sempre sul piedistallo della critica come Massimo Franco il quale sul Corriere della Sera scrive di “ritorno alla realtà” di “duro impatto con la concretezza dei conti e dei vincoli europei (che) costringe tutti a rivedere parole d’ordine utili a prendere voti ma scivolose quando si tratta di governare”. Quando si deve fare i conti con le regole ferree della copertura finanziaria, per la quale “ogni legge che importi nuovi o maggiori oneri provvede ai mezzi per farvi fronte”, ai sensi dell’art. 81, comma 3, della Costituzione. Mezzi che, com’è noto, vanno individuati in nuove entrate o in minori spese. Ed è questa, solamente questa, la possibilità concreta per il Governo di disporre di nuove risorse. Rivedere l’ammontare delle spese statali è possibile, ma non facilissimo. Oltre mille miliardi annui sono una cifra imponente che attiene al funzionamento degli apparati ed agli investimenti, necessari in un Paese fragile, con gravi carenze infrastrutturali, periodicamente costretto, dalla mancata cura del territorio, a fare i conti con eventi naturali solo in parte imprevedibili. Infatti, perfino gli effetti dei terremoti possono essere limitati dalla cura delle prescrizioni stabilite per le costruzioni e le ristrutturazioni di immobili nelle aree a rischio sismico, mentre la furia distruttiva delle acque è in gran parte conseguenza della trascuratezza dei bacini imbriferi quando non di opere irresponsabili dell’uomo. Nell’un caso e nell’altro è mancata la prevenzione ed il controllo dell’autorità pubblica.

Ridurre la spesa si può ma non è facile perché ogni euro soddisfa esigenze, vere o presunte, di amministrazioni ed enti mediante acquisto di beni e servizi realizzati da imprese grandi e piccole che costituiscono il tessuto produttivo del Paese e assicurano benessere in aree spesso lontane da quella Roma che la Lega al governo ha smesso di definire “ladrona”, avendo imparato che di quel denaro che proviene dal bilancio dello Stato le imprese del territori a maggiore presenza leghista non possono fare a meno. Tuttavia, si possono rivedere molte scelte di spesa ed eliminare sprechi, soprattutto quelli che si annidano nell’inefficienza degli apparati che costituiscono un costo, anche in termini di tempo.

Giorgia Meloni, con la prudenza che ha dimostrato governando la stesura del bilancio di previsione dello Stato per il 2023 e per gli anni 2023-2025, ha dimostrato di avere la stoffa per affrontare la difficile sfida della revisione degli oneri che ricadono sulla finanza pubblica, per far emergere risorse necessarie a trasformare i “segnali” in realizzazioni. Lo dovrà fare riordinando i ministeri ed il loro modo di lavorare. Puntando alla crescita economica, come ha detto il Ministro Lollobrigida intervistato dal Corriere della Sera, “testando e sperimentando soluzioni”. Perché l’obiettivo è importante e l’impegno gravoso. Partendo dal bilancio. Diceva il Conte di Cavour, il più grande statista non solo italiano ma europeo, “di tutti i tempi”, secondo il grande storico inglese George Trevelyan, “datemi un bilancio ben fatto e vi dirò come un paese è governato”. È dalle migliaia di voci di spesa che il Governo Meloni potrà ricostruire giorno dopo giorno un efficace modello di crescita che possa, alla scadenza del quinquennio della legislatura, essere apprezzato dall’elettorato. Perché non si possa dire di “un’occasione mancata”, come fu all’indomani delle elezioni del 2006, quando il Governo Berlusconi-Fini fu mandato a casa per una manciata di voti.

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