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I politici e l’amicizia

di Salvatore Sfrecola

“Credevo fossi un amico”. Quante volte ce lo siamo sentito ripetere da un politico, al minimo dissenso da un’opinione o da un comportamento non condiviso, perché abbiamo il gusto di professare le nostre idee anche quando non collimano con le scelte della parte politica che poi votiamo. E questo ci convince che in politica si abusa molto del termine “amico”, che indica un rapporto importante, per certi versi raro. Come si ricava da due dei più noti proverbi, frutto della saggezza popolare: ”Chi trova un amico trova un tesoro” e “I veri amici si contano sulle dita di una mano”. Per dire che l’amicizia è una relazione rara, della quale non è facile una definizione. Che si distingue dai tanti rapporti umani, affettuosi, positivi, amichevoli. Perché si basa su un rapporto di fiducia, simpatia, in primo luogo, paritario, su una condivisione di idee e sentimenti, costruito su un idem sentire di valori spirituali e civili. In un contesto di lealtà e sincerità totalmente gratuito.

L’amicizia si fonda su una scelta, in una condizione di reciprocità, nel senso che un amico, un’amica si sceglie e ci sceglie.

Le amicizie quasi sempre durano tutta la vita. Spesso nascono sui banchi di scuola, all’università, durante il servizio militare, nelle prime esperienze di lavoro e si consolidano giorno dopo giorno. E quando gli amici li vedi poco, perché magari vivono in una città lontana, se l’amicizia è autentica basta un attimo per ritrovare l’intesa, la familiarità e la confidenza.

Il migliore amico è sempre un punto di riferimento nella quotidianità di ciascuno di noi. Dell’amico ci si fida e su di lui sappiamo di poter sempre contare. Ci offre una visione esterna di noi, delle nostre scelte e del modo in cui affrontiamo la vita. Gli amici sono complementari. Possono essere illuminanti per indirizzarci, o reindirizzarci, magari solamente guardandoci negli occhi.

Trovare degli amici veri è difficile. Non averne è un brutto segno: chi non riesce a legare con nessuno, occorre si fermi per riflettere e fare un po’ di autocritica.

Dicevo iniziando che, a mio giudizio, in politica si abusa del termine amico, amica. Il politico cerca il consenso e tende a qualificare ogni rapporto come amicizia. E passa subito al “tu”, per rafforzarlo. Difficilmente quel rapporto diventa amicizia sincera. Non che il politico non coltivi amicizie vere, ma sono in numero straordinariamente esiguo rispetto alla platea di coloro che qualifica amici. C’è un modo di capire quando questo rapporto è solo una conoscenza, anche cordiale. Ci sono frasi tipiche: “Ti aspetto”, “Ci vediamo”, “Ne possiamo parlare”, “Ho bisogno del tuo aiuto”. Poi naturalmente non accade nulla. Niente di strano, è nella logica di rapporti plurimi e variegati che i politici devono necessariamente coltivare. E non ci si deve dispiacere se, poi, preferisce a noi uno di altra parte. La politica esige anche compromessi.

Anche a Roma amicitia – scrive Emanuele Narducci storico esimio della letteratura latina – “era in buona parte la creazione di legami a scopo di sostegno politico” per cui “nel tentativo di superare questa logica clientelare e di fazione, Cicerone muove alla ricerca dei fondamenti etici della società nel rapporto che lega tra di loro le volontà degli amici”. La tesi del grande oratore è che “la vera amicizia è possibile solo tra personalità ispirate da analoghi valori di virtù e di integrità morale; e che la fedeltà verso l’amico ha il suo confine in quella, superiore, che è dovuta alla res pubblica”, come spiega in “Laelius de Amicitia”. Così legittimando il nostro dissenso anche quando non condividiamo le scelte dell’“amico” politico.

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