martedì, Aprile 23, 2024
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Benedetto XVI un grande Papa, che mancherà a molti

di Salvatore Sfrecola

Scriveranno tanti e tanto del Papa Benedetto XVI, che ci ha lasciato “improvvisamente”, come è parso alla maggior parte dei fedeli, trascurando che fosse evidente in Lui, alla soglia dei 95 anni, il segno inesorabile del tempo. Scriveranno del Papa teologo, storico solido, come dimostrò con la sua lectio magistralis all’Università di Ratisbona, controversa solo per chi si ostina a non capire che l’Islam, nella sua versione “politica”, che è quella che vedono i popoli soprattutto d’Europa, è penetrante e intollerante. E Lui, che aveva richiamato gli abitanti del vecchio Continente alle sue radici spirituali e cristiane, non poteva tacere. Coraggioso, come chi è naturalmente autorevole, non tanto in ragione del ruolo rivestito quanto di come lo sa interpretare, con la fermezza che deve accompagnare la difesa della Fede, vero Pontifex, tramite tra Dio e l’uomo. Ed autorevole come pochi è apparso immediatamente al popolo dei credenti questo sacerdote tedesco dallo sguardo magnetico e dal sorriso accattivante, espressione di mitezza e di umiltà, quella che solo ai “forti” è dato esprimere senza che sembri debolezza.

E debole non sarebbe potuto apparire a nessuno che avesse anche solo ascoltato una Sua omelia o letto uno dei Suoi tanti libri nei quali il raffinato teologo si è trasformato in narratore delle verità religiose con linguaggio che prende, che, pagina dopo pagina, fa meditare il lettore che mai vorrebbe dover interrompere per rinviare al giorno dopo. Da “Introduzione al Cristianesimo” a “Gesù di Nazareth”, per non ricordare che due delle opere più note al grande pubblico.

Si presentò al mondo dalla Loggia centrale della Basilica di San Pietro come l’“Umile lavoratore nella vigna del Signore”, Lui che poteva vantare corposi volumi scientifici, decine di saggi e di conferenze e una cattedra di Teologia dogmatica nella prestigiosa Università di Tubinga. Umile, eppure riconosciuto da tutti come un gigante della fede, un autentico Padre della Chiesa, servitore di Dio e dell’umanità. Gentile e sereno, sapeva parlare con la gente più modesta. A Lui si deve l’approfondimento del rapporto fede-ragione, e la dimostrazione che non vi è tra loro inconciliabilità. E la “riscoperta” della natura, per troppo tempo trascurata dai cristiani che pure avrebbero dovuto da sempre esserne i primi difensori, perché il Creato è opera di Dio, ma il fatto che è a disposizione dell’umanità si è pensato che se ne possa fare più che un uso un abuso.

Non è stato semplice il Suo Pontificato, caratterizzato da malessere diffuso e strisciante nella Chiesa e da fermenti di contestazione, molti provenienti dalla Sua Germania. Dopo Giovanni Paolo II che manifestava energia ad ogni parola, che aveva fatto tremare il gigante sovietico, Joseph Ratzinger mite professore di teologia sembrava fuori del tempo. Eppure, ha saputo mantenere la barra dritta e dare al Suo Magistero un’impronta autorevole nella difesa della tradizione declinata nel tempo di oggi. La vera teologia, ricorderà più volte, la si fa in ginocchio, contemplando il mistero divino, non cercando di ridurlo secondo categorie umane. Il Papa, ricorda Roberto de Mattei, Professore di Storia della Chiesa e di Storia Moderna, e Presidente della Fondazione Lepanto, nel piego di un suo bel libro “La Chiesa fra le tempeste” (Sugarco, Milano, 2012, pp 167, € 15,00) “utilizzando la metafora applicata da San Basilio al post-concilio di Nicea, ha paragonato il nostro tempo a una battaglia navale notturna nel mare in tempesta e nell’omelia per la festa dei santi Pietro e Paolo, il 29 giugno 2006, ha descritto la navicella della Chiesa come “squassata dal vento delle ideologie”, ma inaffondabile e sicura nel suo cammino…”.

Aveva avuto un’esperienza pastorale nella Sua Baviera, Arcivescovo di Monaco, prima di approdare a Roma, Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, guardiano dell’ortodossia, quella che va oltre le mode effimere che si vorrebbe guidassero una Chiesa che si basa su una verità rivelata. Ed a Roma è rimasto sempre fedele. Ha amato la Città Eterna Papa Benedetto che sentiva essere qui il sito nel quale la storia della civiltà occidentale si è andata costruendo lungo i secoli consentendo così al Cristianesimo di diffondersi e consolidarsi, quando avrebbe potuto rimanere confinata in Palestina. Sono gli anni della stesura del Catechismo della Chiesa Cattolica, della Dominus Jesus e di tanti altri pronunciamenti che non sono piaciuti a tutti. Non ricercava il consenso preferendo la Verità questo sacerdote tranquillo e mite al quale la fede dava una forza straordinaria. Una colonna della Chiesa e per Papa Wojtyla che non a caso lo definì “il mio grande amico” affidandogli le riflessioni nella Via Crucis del Venerdì Santo.

Chiarezza delle idee, “straordinaria capacità di parlare a tutti delle realtà più complesse, la bellezza e lo splendore delle liturgie pontificie, nella convinzione che tale bellezza non è vanità ma timida eco della bellezza delle realtà divine”, ha detto all’Adnkronos Suor Anna Monia Alfieri. Aggiungendo: “davanti agli inevitabili scandali dei molti che ne avevano tradito la fiducia, il silenzio, il perdono, frutto di un cuore grande. E poi la rinuncia al ministero attivo del pontificato: un gesto inatteso ma che ne ha rivelato, se mai ce ne fosse stato il bisogno, la grande libertà di cuore e di spirito. Il ritiro presso il Monastero di Santa Marta (rectiusMater Ecclesiae), poche uscite, nessun commento: il silenzio, la preghiera, l’ascolto, l’offerta”.

Mancherà a molti Benedetto XVI, come si coglie dalle interviste della gente commossa raccolte dalle TV in piazza San Pietro. Soprattutto a quanti, frastornati dai festeggiamenti della fine dell’anno si sono ritrovati a riflettere sul senso della vita a seguito della morte silenziosa del Papa teologo, un esempio di vita spesa nel compimento del proprio dovere, lontana dalle logiche del potere, secondo l’insegnamento del Maestro nella vigna della fede. Se in quest’ora tarda della mia vita guardo indietro ai decenni che ho percorso – si legge nel “testamento spirituale”, scritto il 29 agosto 2006, ma reso noto soltanto dopo la Sua morte – , per prima cosa vedo quante ragioni abbia per ringraziare. Ringrazio prima di ogni altro Dio stesso, il dispensatore di ogni buon dono, che mi ha donato la vita e mi ha guidato attraverso vari momenti di confusione; rialzandomi sempre ogni volta che incominciavo a scivolare e donandomi sempre di nuovo la luce del suo volto. Retrospettivamente vedo e capisco che anche i tratti bui e faticosi di questo cammino sono stati per la mia salvezza e che proprio in essi Egli mi ha guidato bene”.

È stato uno dei più grandi teologi dell’epoca moderna. Abbiamo detto che amava la natura e, quindi, gli animali, in particolare i gatti che teneva accanto nel Suo studio, una presenza silenziosa e rassicurante mentre leggeva e scriveva. E amava la musica, “capace di aprire le menti e i cuori alla dimensione dello spirito”, era solito ripetere, una passione che coltivava fin da bambino, che nei momenti di relax e nel tempo libero lo portavano al pianoforte. Per Lui la musica può condurci alla preghiera: “Non è un caso – dice il Papa – che spesso la musica accompagni la nostra preghiera. Essa fa risuonare i nostri sensi e il nostro animo quando, nella preghiera, incontriamo Dio”, come ricorda Lucio Coco, che annota uno straordinario libretto (Benedetto XVI, Sulla musica, Marcianum Press, Venezia, 2013, pp. 85) nel quale ha richiamato le parole del Papa sulla musica e sui musicisti, come su Mozart: “c’è un affetto particolare che mi lega, potrei dire da sempre, a [Mozart]. Ogni volta che ascolto la sua musica non posso non riandare con la memoria alla mia chiesa parrocchiale, quando, da ragazzo, nei giorni di festa, risuonava una sua “Messa”: nel cuore percepivo che un raggio della bellezza del Cielo mi aveva raggiunto, e questa sensazione la provo ogni volta, anche oggi, ascoltando questa grande meditazione, drammatica e serena sulla morte. In Mozart ogni cosa è in perfetta armonia, ogni nota, ogni frase musicale è così e non potrebbe essere altrimenti”.

Nell’età della tecnologia e del globalismo l’uomo, frastornato dal quotidiano, sembra disattento ai valori della fede ai quali Papa Benedetto ha costantemente richiamato i cristiani trovando in alcuni ambienti ogni genere di opposizioni e critiche. “Forse per questo – ha scritto Antonio Parisi su Consult Press – alcuni poteri internazionali ma radicati anche all’interno della Santa Sede lo hanno aggredito con ogni mezzo, cercando con persistenti spallate persino di distruggere la millenaria costruzione della Chiesa Cattolica. Poteri economici, politici ma anche sistemi ideologici ed esoterici che da secoli hanno cercato di minare il cattolicesimo”.

Anche l’espressione “papa Emerito”, con la quale si è insistito in questi giorni a qualificarlo, è parso a molti servisse per sminuirne il ruolo avuto nell’esercizio concreto del Suo Pontificato e nell’insegnamento che ha continuato a dispiegare, dopo la rinuncia, sulle verità della Chiesa di Dio.

Le reazioni di leader politici, alla notizia della morte di Papa Benedetto sono state improntate a rispetto e stima. Sono state tante. Due significative. Per il Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, è stato un “Gigante della fede e della ragione”, mentre per Maurizio Lupi “Ci ha spiegato la vera laicità della politica”. 

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