venerdì, Marzo 29, 2024
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Intercettazioni, tra realtà e fumo negli occhi

di Salvatore Sfrecola

Intervenendo al Senato e poi alla Camera sul tema delle intercettazioni, il Ministro della Giustizia, Carlo Nordio, nel ribadire l’indispensabilità del loro utilizzo nelle indagini su mafia e terrorismo, ha affermato con veemenza che obiettivo del Governo è quello di combattere gli abusi nella diffusione dei testi raccolti attraverso l’ascolto delle persone. Preoccupazione, questa, unanimemente condivisa, come ha scritto Goffredo Buccini sul Corriere della Sera che, richiamando l’episodio dello scontro tra Luca Zaia e Andrea Crisanti, nato da una frase del Presidente della Regione Veneto “rubata” da una microspia, dimostra “l’invasività politica dello strumento e la debolezza delle riforme fin qui fatte per limitarlo”.

Giusto, giustissimo. Ma l’impressione è che la questione degli abusi sia in realtà del fumo negli occhi, un argomento, mi si perdoni, abusato per attirare consensi da parte dell’opinione pubblica distraendola dall’argomento centrale nelle dichiarazioni del Ministro, l’omissione di qualunque riferimento, se non è sfuggito a me ed ai tanti altri che hanno commentato le sue parole, ad un reato particolarmente odioso, la corruzione che scredita le istituzioni agli occhi del cittadino. Non solo. La corruzione è uno dei c.d. “reati spia”, uno di quelli che sono “spesso spie di contesti mafiosi”, come sottolinea Lia Sava, Procuratore Generale a Palermo, intervistata da Giuseppe Salvaggiuolo per La Stampa. Sono i reati, in particolare la corruzione, appunto, ma non solo, o la truffa ai danni dello Stato, attraverso i quali si è spesso identificato il coinvolgimento della criminalità organizzata nella gestione illecita del pubblico denaro, anche di derivazione europea, dacché, nella sua più recente evoluzione, sappiamo che le organizzazioni criminali perseguono lauti guadagni attraverso l’ingresso nel mondo degli affari. Con “un effetto devastante – ha scritto su La Repubblica Raffaele Cantone, Procuratore della Repubblica di Perugia e già Presidente dell’Autorità Nazionale Anticorruzione (A.N.A.C.) – perché mina il fondamento dell’attività di impresa andando a cancellare il principio della concorrenza: la disponibilità di capitali enormi, di fondi cash che sfuggono al fisco, di reti di collusione offre alle cosche un vantaggio su qualunque imprenditore corretto”. Un danno evidente per il Paese perché non solo impedisce lo sviluppo di attività imprenditoriali da parte di imprese oneste, ma tiene lontani dall’Italia investitori stranieri. È uno dei motivi per i quali esiste un’Autorità garante della concorrenza e del mercato (Antitrust) che recepisce anche principi di diritto europeo. Di più, la Procura europea, istituita per perseguire i responsabili delle frodi comunitarie, collabora con le magistrature dei singoli paesi dell’U.E. ed in Italia anche con la Corte dei conti, giudice del danno erariale anche europeo. Pensare che in questi casi non siano utili le intercettazioni significa negare la realtà.

Nella polemica sulle ipotesi di modifica della disciplina delle intercettazioni, è stata richiamata più volte in questi giorni una frase del Ministro Nordio, secondo la quale “i mafiosi non parlano al telefono”, per ricordare che, invece, come ha fatto Liliana Milella, sempre su La Repubblica, che a raccontare fatti rilevanti sono stati proprio eminenti esponenti della Mafia. E come ha ricordato Piercamillo Davigo giudicando, in un intervento su Il Fatto Quotidiano, “totalmente errata” la tesi del ministro, “come sa bene chi ha trattato procedimenti di criminalità organizzata”. Ricordando intercettazioni che hanno rivelato lo stesso organigramma delle organizzazioni mafiose e la Convenzione di Merida, adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni unite il 31 ottobre 2003, ratificata dall’Italia con legge 3 agosto 2009, n. 116 che, all’art. 50, comma 1 stabilisce che “per combattere efficacemente la corruzione, ciascuno Stato, nei limiti consentiti dai principi fondamentali del proprio ordinamento giuridico interno, e conformemente alle condizioni stabilite dal proprio diritto interno, adotta le misure necessarie, con i propri mezzi, a consentire l’appropriato impiego da parte delle autorità competenti della consegna controllata e, laddove ritenuto opportuno, di altre tecniche speciali di investigazione, quali la sorveglianza elettronica o di altro tipo e le operazioni sotto copertura, entro il suo territorio, e a consentire l’ammissibilità in tribunale della prova così ottenuta”.

È chiaro che i criminali, qualunque sia il reato per il quale vengono indagati non manifesterebbero apertis verbis in una telefonata l’intento di delinquere e non ne racconterebbero gli effetti. Ed è proprio questo che rende complessa l’attività di intercettazione perché essa esige l’ascolto di conversazioni di persone che in qualche modo operano e vivono nell’ambito delle attività delle persone che si sospetta siano coinvolte in iniziative illecite per cogliere degli indizi che possono poi trovare conferma in altri strumenti di investigazione, per esempio nelle banche dati che consentono di verificare l’andamento di operazioni finanziarie collegate ad illeciti, mettendo a confronto trasferimenti di capitali ingenti in determinati contesti e condizioni.

Quindi non soltanto nei casi di mafia e terrorismo sono utili le intercettazioni perché esse consentono un notevole aiuto agli inquirenti nella individuazione di condotte che possono essere prodromiche di attività illeciti corruttive o rilevarne gli esiti. Queste passano attraverso relazioni con parti delle amministrazioni pubbliche, soprattutto degli enti locali, che attuano il coinvolgimento di politici e dipendenti nel consorzio illecito da individuare attraverso una serie di indici importanti che possono essere tratti ad esempio dalla definizione di bandi di gara confezionati ad hoc perché prevalga un determinato concorrente, o dalla inadeguata effettuazione dei controlli sulla esecuzione delle opere in sede di collaudo. È in questi contesti che si può delineare un quadro di vantaggi conseguenti, ad esempio, alla esecuzione di un’opera pubblica, con utilizzazione di materiali scadenti rispetto a quelli di capitolato, fatti trascurati nei controlli in corso d’opera e nei collaudi finali che possono costituire sintomi di una partecipazione illecita di un pubblico funzionario alla finalità dell’impresa mafiosa di trarre un vantaggio dall’aumento dei costi o dal risparmio sulla esecuzione dei lavori. Del resto, alcuni giornali hanno ricordato come, da Procuratore della Repubblica di Venezia, Carlo Nordio non abbia, giustamente, esitato a dar corso ad intercettazioni estese, quanto ai soggetti coinvolti ed alla durata degli ascolti, quando ha dovuto accertare fatti corruttivi gravi, con la partecipazione di soggetti operanti in vari ambienti, nella costruzione del MOSE.

A contraddire il Ministro, che ha cercato una tardiva correzione di rotta, richiamando non meglio individuati “reati satelliti”, anche la Sen. Giulia Bongiorno, Presidente della Commissione giustizia del Senato, e nota penalista, la quale non ha avuto dubbi: la corruzione “è un reato grave per cui non si può escludere l’uso delle intercettazioni” (La Repubblica).

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