sabato, Luglio 27, 2024
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Cronaca di una caduta con seguito al “Pronto Soccorso”

di Salvatore Sfrecola

Ho sempre avuto dei Pronto Soccorso l’idea di un luogo, per quanto possibile, da evitare. Ne ho visitati alcuni per accompagnare amici che avevano bisogno di assistenza immediata o per recuperare qualche paziente che veniva dimesso. In veste di magistrato della Corte dei conti ne ho anche visitati in occasione di indagini su ipotesi di danno erariale. Ho sempre percepito ambienti sovraffollati nei quali spesso chi ha effettivo bisogno di assistenza finisce per essere, almeno per qualche tempo, trascurato. Troppi, infatti, si presentano al Pronto Soccorso quando potrebbero rivolgersi al medico di famiglia o alla Guardia Medica, soprattutto di notte. È un’immagine che si arricchisce anche di notizie di stampa, quando si registrano proteste di chi è stato o si sente trascurato. D’altra parte, è nota la carenza di personale sanitario, medico e infermieristico, spesso con scarsa esperienza. Che si fa proprio nei Pronto Soccorso dove ovviamente il medico, spesso alle prime armi, è chiamato ad affrontare ogni emergenza, anche se poi può avvalersi dello specialista chiamato dal competente reparto. In questo senso quella struttura è una scuola importante per giovani professionisti.

È accaduto così che, essendo malamente caduto in un ambiente sportivo che pure mi è familiare, con l’effetto di una lesione appena al di sopra del naso, con abbondante fuoriuscita di sangue, abbia tentato di sottrarmi all’affettuosa sollecitazione della mia secondogenita Maria Elisabetta e degli amici, tra cui il Presidente del Circolo Stefano Castiglione, accorsi ad aiutarmi, a raggiungere un Pronto Soccorso per farmi medicare.

Il ghiaccio prontamente applicato sulla fronte e sul naso sanguinante ha alleviato la mia condizione di persona frastornata dall’improvviso incidente, adirato tra me e me per una distrazione dall’esito sicuramente spiacevole e dispiaciuto soprattutto per la preoccupazione che percepivo nelle parole della figliola, scartata l’ipotesi di far chiamare un’ambulanza, ho ceduto ed ho accettato di raggiungere il Pronto Soccorso dell’Ospedale Villa San Pietro, sulla via Cassia, il più vicino.

Devo dire che ho trovato un ambiente molto diverso da quello che recavano le immagini che avevo memorizzato negli anni, un ambiente accogliente, ordinato e pulito, personale gentile e premuroso come ho constatato nel tempo nel quale sono rimasto su una barella in attesa del mio turno, con una borsa di ghiaccio sulla fronte, osservando come il personale medico ed infermieristico si rivolgeva ai pazienti in attesa con cortesia e attenzione. Un atteggiamento non sempre scontato, considerato che quel lavoro è particolarmente stressante, per la urgenza dell’intervento richiesto dalla condizione obiettiva di pazienti spesso insofferenti o, comunque, preoccupati come può esserlo chi viene ricoverato in una struttura di Pronto Soccorso che già nella sua denominazione rende implicito il disagio o la sofferenza.

L’attesa non è stata lunga. E sempre sulla barella, ma forse dovrei dire lettiga, sono stato accompagnato nello studio medico dove una giovane dottoressa si è presa cura con fare rassicurante della mia ferita che ha disinfettato e chiuso con l’apposizione di tre punti di sutura. Il protocollo in questi casi, trattandosi di “trauma cranico”, espressione che comunque individua una contusione della testa, prescrive una tac e una permanenza in osservazione per 24 ore. Convinto che il trauma non fosse grave, non farfugliavo, raggiungevo agilmente il naso con il dito indice, né avevo confusione mentale nonostante la caduta testimoniata, oltre che dalla ferita, da una evidente “ficozza”, come diciamo a Roma, ho chiesto di lasciare l’ospedale firmando la occorrente dichiarazione.

Ne parlo a distanza di quattro giorni, quando parenti ed amici hanno saputo dell’incidente e potuto manifestarmi la loro vicinanza, non per sollecitare ulteriori attenzioni ma perché mi è parso doveroso riconoscere efficienza e professionalità troppo spesso, a ragione o a torto, negate. È vero che fa notizia, secondo una prassi giornalistica, solo l’evento negativo che si può additare ai detentori del potere come forma di protesta dell’opinione pubblica. Ma ritengo giusto anche dare notizia di ciò che funziona, che certamente è professionalmente doveroso e, pertanto, non richiederebbe una menzione né un ringraziamento. Che, invece, faccio volentieri all’indirizzo della dottoressa Domitilla Gaia Passantino, della quale conosco il nome per aver firmato il referto, ed al personale dell’accettazione ed infermieristico del quale non ho potuto memorizzare il nome anche se probabilmente indicato sui camici.

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