giovedì, Maggio 2, 2024
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Governo-Corte dei conti: la destra di governo non somiglia alla Destra storica di Camillo di Cavour e Quintino Sella

di Salvatore Sfrecola

Consentitemi, cari lettori: anche io ho avuto un sogno. È accaduto ieri, quando, collegato al canale TV della Camera, seguivo il dibattito sul disegno di legge di conversione del decreto n. 44, recante “Disposizioni urgenti per il rafforzamento della capacità amministrativa delle amministrazioni pubbliche” (la cacofonia è nell’originale), con le nuove norme che escludono il controllo “concomitante” della Corte dei conti sui progetti finanziati dalle risorse europee del Pnrr. Approvato con 203 sì contro 134 no sulla base della questione di fiducia posta dal Governo, il dibattito nell’aula di Montecitorio è proseguito ed io mi sono leggermente assopito. E in quel momento ho immaginato che il dibattito non si svolgesse a Roma ma a Torino, a Palazzo Carignano, e il Presidente del Consiglio fosse Camillo Benso di Cavour e non Giorgia Meloni. E mi sono ritrovato a riflettere sulle differenze tra la Destra storica, di matrice liberale, e la destra di oggi, non meglio aggettivata, tanto che intellettuali orgogliosamente “di destra”, come Marcello Veneziani, preferiscono parlare di “destre”, al plurale, per ricomprendere in qualche modo anche la Lega, che si definisce di Centrodestra, e Forza Italia, che preferisce dirsi un partito moderato di ispirazione liberale, come Azione, di Carlo Calenda e, a giorni alterni, Italia Viva, di Matteo Renzi, che assumono di essere il “terzo polo”, ma solo in vista delle elezioni. Tutti liberali! E sono giunto alla conclusione che la destra di oggi non può rinvenire le sue radici nella Destra di Cavour, di Marco Minghetti o di Quintino Sella, la Destra storica, fatta di uomini che hanno messo in gioco le loro fortune personali per un amore sviscerato per l’Italia. Governando con fermezza ma nel rispetto delle regole e nella trasparenza della loro azione politica.

E come per incanto mi sono tornate alla mente le parole di Quintino Sella, tante volte rilette, il Ministro delle finanze che il 1° ottobre 1862 inaugurava, a Torino, la Corte dei conti del Regno d’Italia. “Io considero la istituzione di questa Corte come una delle più provvide e sapienti deliberazioni che la Nazione debba al suo Parlamento”, è l’incipit del Ministro. Che proseguiva rivolgendosi ai Magistrati: ”Altissime sono le attribuzioni che la legge a voi confida. La fortuna pubblica è commessa alle vostre cure… Né ciò basta:… È vostro compito il vegliare a che il Potere esecutivo non mai violi la legge; ed ove un fatto avvenga il quale al vostro alto discernimento paia ad essa contrario, è vostro debito il darne contezza al Parlamento… A voi spetta quindi il tutelare la pubblica fortuna, il curare la osservanza della legge per parte di chi le debba maggiore riverenza, cioè del potere esecutivo, senza che abbia a menomare quella energia e prontezza di esecuzione che in alcuni momenti decide dell’avvenire di un paese”.

Parole forti e attuali, per quel “vegliare a che il Potere esecutivo non mai violi la legge… senza che abbia a menomare quella energia e prontezza di esecuzione”, oggi necessarie perché i progetti finanziati nell’ambito del Pnrr vengano portati a compimento nei tempi previsti. Quelli che, secondo la versione governativa, sarebbero messi in forse dal controllo concomitate della Corte dei conti. Che, pertanto, viene abolito.

Sanno tutti che quel pericolo non c’è. Il Governo, innanzitutto, che ha ricevuto dalla Corte solamente osservazioni e suggerimenti, rimanendo impregiudicata la decisione dei ministeri competenti. Neppure i consiglieri del principe, quei professori schierati a fianco del Governo, come in passato di tutti i governi. Che ben conoscono la normativa europea (il regolamento n. 241 del 2021) che demanda alle Istituzioni di audit dei singoli stati il controllo sui progetti finanziati a carico dei fondi del Next Generation EU. Professori che sanno bene che il pericolo per le amministrazioni semmai sta nel controllo successivo, ove la Corte accertasse che le risorse sono state spese male così ponendosi un problema di recupero. Situazione evitabile sulla base del controllo in itinere.

Ma tant’è. La verità è più banale. Il Governo temeva che la Corte, evidenziando criticità nell’esecuzione dei programmi, come il mancato rispetto dei termini intermedi nella realizzazione dei vari progetti, offrisse involontariamente argomenti alle opposizioni, come voleva il Sen. Giovanbattista Fazzolari quando era schierato in quel ruolo. Divenuto Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri il medesimo Senatore ha stilato una dura reprimenda nei confronti della Corte dei conti, accusata di invasione di campo.

Le regole le decide la politica e vanno accettate. Ma in democrazia è ammesso il dissenso, anche da parte di chi ha visto con simpatia e fiducia l’attuale Governo. La maggioranza ha voluto sopprimere un controllo utile, incurante, perché non ha esperienza, che potrebbe andare incontro a brutte sorprese se la Commissione e la Corte dei conti europea accerteranno quei ritardi che già oggi nessuno smentisce. E che sono nella storia dei finanziamenti europei. Da sempre.

Infine, excusatio non petita, il Presidente del Consiglio contesta le opposizioni che, “in difficoltà”, parlano di “deriva autoritaria” se il Governo limita i controlli della Corte dei conti e proroga le norme, introdotte da Conte e confermate da Draghi, sul cosiddetto “scudo erariale” che assicura l’impunità a coloro che provocano con “colpa grave” danni allo Stato. “Sommessamente”, Giorgia Meloni osserva che sta facendo “quello che ha fatto il precedente governo”. Ma non era questo l’Esecutivo del cambiamento, quello che voleva evocare i fasti della “Destra storica” e liberale? Com’è possibile che confermi l’impunità di incapaci e disonesti?

Fine del sogno. Le parole di Quintino Sella si perdono nel tempo. E torna la deludente realtà di una destra senza aggettivi che, ponendo la questione di fiducia, ha manifestato debolezza, evidentemente incerta sull’esito di un voto. Forse temendo che qualcuno, ricordando le parole del Fazzolari oppositore del Governo Draghi in favore del controllo della Corte dei conti non avrebbe fatto in tempo a cambiare opinione e seguire il Fazzolari Sottosegretario, al quale quel controllo non piace più.

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