sabato, Luglio 27, 2024
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Arnaldo Forlani, un uomo di Stato, un cattolico moderato

di Salvatore Sfrecola

Ho conosciuto da vicino Arnaldo Forlani, che questa mattina le massime autorità dello Stato e gli amici hanno salutato nella Basilica dei Santi Pietro e Paolo all’Eur. Era l’autunno del 1980 quando fu chiamato dal Presidente della Repubblica, Sandro Pertini, a ricoprire l’incarico di Presidente del consiglio, successore di Francesco Cossiga, ultimo premier democristiano che avrebbe lasciato a giugno del 1981 la direzione di Palazzo Chigi al Professor Giovanni Spadolini, Segretario del Partito repubblicano italiano. Gli fui presentato, giovane funzionario assegnato all’ufficio stampa della Presidenza, da un diplomatico, il Ministro Giuseppe Balboni Acqua, che avrebbe avuto incarichi prestigiosi nella diplomazia italiana, Ambasciatore a Varsavia, presso la Santa Sede, Capo del cerimoniale della Repubblica. Per una sorta di captatio benevolentiae dissi al Presidente Forlani che ero nipote di un Professore di italiano e latino del liceo classico di Ascoli Piceno che aveva insegnato a suoi illustri conterranei, il suo predecessore Fernando Tambroni ed il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Renato Tozzi Condivi.

Ricordo il Presidente come un uomo cordiale, garbato, colto, circondato da collaboratori di spessore, in primo luogo il Capo di Gabinetto, Mario Semprini, ex Prefetto di Pesaro, nominato Consigliere di Stato, con il quale avrei avuto una simpatica interlocuzione per molti anni, anche dopo la conclusione dell’esperienza governativa. Cordiale e simpatico, pronto alla battuta, ricordo che un giorno mi chiese (nel frattempo ero divenuto magistrato della Corte dei conti) se ero consigliere, come lui, o presidente di sezione. Gli risposi “consigliere con il trattamento economico di Presidente”. Fu prontissimo: “è questo che conta”.

Incontravo spesso il Presidente Forlani al primo piano di Palazzo Chigi in occasione di segnalazioni stampa o dei Consigli dei ministri, sempre cordiale, disponibile ad esaminare insieme quel che veniva all’attenzione della stampa. Era circondato dalla fama della sua lunga esperienza politica in posizione di responsabilità all’interno della Democrazia Cristiana, nella quale aveva iniziato giovanissimo a militare nel 1948 appena laureato in giurisprudenza all’Università di Urbino, quando gli fu conferito l’incarico di Segretario provinciale della Democrazia Cristiana di Pesaro, la sua città dove fu consigliere al Comune ed alla Provincia. Sarebbe stato un crescendo di incarichi di responsabilità nel partito, vice segretario, poi Segretario nazionale (dal 69 al 73 e poi dall’89 al 92) e Presidente del Consiglio Nazionale.

Prima di giungere a Palazzo Chigi era stato Ministro delle partecipazioni statali, poi della Difesa e degli Esteri, due incarichi che attestano anche dell’apprezzamento internazionale in sede atlantica ed europea.

Con un passato giovanile sportivo, quale mezz’ala della Vis Pesaro, la squadra della sua città, Forlani era immerso nella cultura e nella storia della sua regione, consapevole della sua straordinaria economia agricola, del prezioso artigianato, del turismo culturale e marino. E dei marchigiani Forlani conservava a Roma l’affezione al territorio, alla sua storia mostrando il senso di moderazione e di equilibrio che sorreggevano la sua capacità di mediare, di essere leader di una significativa componente centrista.

Era entrato a far parte della Direzione nazionale della DC nel 1954. Il 7 ottobre del 1955 ottenne il suo primo rilevante incarico di partito, arrivando a dirigere l’importante sezione “Studi, Propaganda e Stampa” (S.P.E.S.).

Dopo essere stato per molti anni il principale collaboratore di Amintore Fanfani nella corrente di “Nuove Cronache”, Forlani se ne era distaccato all’inizio degli anni ’80 per dar vita con Antonio Gava e Vincenzo Scotti alla corrente “Azione Popolare” (o “Grande centro”) che alla fine di quel decennio vedrà confluire Lorenzo Natali, Clelio Darida e Franco Maria Malfatti. Proprio in rappresentanza di quest’area, nel 1962 fu eletto vicesegretario nazionale del partito, contribuendo così alla gestione unitaria della DC lavorando assieme a tre segretari politici diversi, Aldo Moro, Mariano Rumor e Flaminio Piccoli.

Nel settembre 1969 in un convegno a San Ginesio maturò un patto generazionale, quello dei quarantenni che ricercavano un ricambio nelle posizioni di responsabilità. I dorotei di “Impegno Democratico” si divisero in due correnti. E Mariano Rumor e Flaminio Piccoli (allora al vertice, rispettivamente, del governo e del partito) si separarono da Giulio Andreotti e Emilio Colombo. Fu l’effetto del “Patto di San Ginesio”. Forlani e De Mita vennero ribattezzati ”i gemelli di San Ginesio”. Forlani tentò di evitare il disfacimento dell’alleanza politica di centro-sinistra. Mirava a rinforzare la collaborazione dei partiti di governo e ad estenderla a tutti i livelli istituzionali, comprese le neonate Regioni.

Ancora moderato e mediatore nel 1972 Forlani lancia la cosiddetta politica di centralità: le elezioni del 7 maggio 1972 confermarono la leadership della DC che ottenne il 38,7% dei voti alla Camera dei Deputati e il 38,1% al Senato. La DC varò allora una nuova alleanza centrista, riallacciando l’alleanza con il PLI nel governo. La sinistra DC si oppose e non entrò a far parte del Governo (Andreotti 2). A fine 1972 le insoddisfazioni nei confronti della politica economica del governo spinsero Forlani ad accogliere la richiesta di riaprire un dibattito interno sulla situazione politica in vista di un riavvicinamento al PSI.

Ebbe così iniziò per Forlani ed Andreotti un periodo che Fanfani definì di quaresima, che tenne per qualche tempo Forlani fuori da incarichi politici di rilievo. È il periodo nel quale il parlamentare marchigiano fu uno dei protagonisti dell’opposizione democristiana alla politica di solidarietà nazionale promossa da Moro e Zaccagnini. Alla fine la linea di Forlani risultò sconfitta, seppure solo per pochissimi voti ma il suo ruolo rimase quello di recuperare un clima di unità e di interpretare la politica estera in chiave anticomunista in grado di tranquillizzare i partner europei e atlantici sul permanere della fedeltà italiana alla NATO. Fu dunque ministro degli esteri nei successivi governi Andreotti.

Nel 1980 Forlani fu tra gli artefici della vittoria al Congresso di una maggioranza moderata che elesse e pose fine all’esperienza della collaborazione con il PCI per far posto a un nuovo rapporto organico con il PSI, ora guidato da Bettino Craxi. Eletto alla presidenza del Consiglio nazionale, Forlani fu chiamato alla Presidenza del Consiglio alla guida di un quadripartito da DC, PSI, PSDI e PRI. Il governo dovette affrontare una serie di difficili prove, dal terrorismo che continuava a colpire i democratici cristiani, all’attentato a Papa Giovanni Paolo II allo scandalo della Loggia P2. Forlani si dimise a causa del ritardo della pubblicazione delle liste a lui attribuito da alcune forze politiche. Gli successe a Palazzo Chigi Giovanni Spadolini.

Per tutti gli anni ’80 Forlani mantenne il ruolo di leader della parte moderata del partito, spingendo la DC a rafforzare il rapporto di governo con il PSI. Nel 1983 la DC guidata da De Mita subì il più significativo arretramento elettorale della sua storia. Perse il 5,4% alla Camera e il 6,9% al Senato. La sconfitta elettorale della DC determinò uno scossone politico all’interno del partito ed avviò un processo di riflessione interna sulle cause del crollo elettorale. E fu il primo Governo Craxi (4 agosto 1983). In questi anni si sviluppo una significativa sintonia tra Forlani e il Segretario socialista. Forlani ricoprì l’incarico di vicepresidente alla guida di una autorevole delegazione democristiana al governo.

La DC non rinunciò al processo di rinnovamento interno, ed avviò una riflessione sulla necessità di riforme istituzionali, per adeguare il sistema italiano alla nuova realtà del Paese. Uno dei temi sostenuti era quello della necessità di presentarsi agli elettori con patti preelettorali, per consentire di scegliere non solo il partito di appartenenza ma anche la coalizione di governo. I risultati delle elezioni regionali e amministrative del maggio 1985 confortarono le scelte interne e di governo compiute dalla DC. In molte città, fino a quel momento guidate dalla sinistra, si costituirono giunte di pentapartito. Il clima positivo nel Paese e tra le forze politiche venne confermato dall’elezione, al primo scrutinio, di Francesco Cossiga alla Presidenza della Repubblica.

Nuovamente eletto alla carica di Presidente del Consiglio nazionale della DC, al fine di garantire la massima unità possibile tra le varie anime del partito Forlani riuscì a superare i forti contrasti tra De Mita e Craxi e di dar vita a un nuovo Governo guidato dal leader socialista. Fu il governo del cosiddetto ”patto della staffetta”, avendo De Mita condizionato la fiducia a Craxi all’impegno non scritto di quest’ultimo di dimettersi dopo un anno per consentire l’avvicendamento con un Presidente democristiano che avrebbe portato a termine la legislatura. Craxi sconfessò pubblicamente quell’accordo provocando la reazione di De Mita che ritirò l’appoggio al governo. Nelle elezioni del 1983 la DC riconquistò la guida del governo, a Giovanni Goria, già Ministro del Tesoro.

Forlani rimase fuori dal Governo per dedicarsi interamente alla vita di partito nella sua funzione di Presidente, lavorando attivamente alla ricomposizione dell’area moderata della DC.

Forlani gestì allora la lunga crisi di governo che ne seguì, protrattasi sino a luglio, allorché Andreotti costituì il suo sesto Governo, con la stessa maggioranza di pentapartito. Nacque così il cosiddetto CAF, un asse politico tra Craxi, Andreotti e Forlani, che fu il perno della politica italiana per la restante parte della legislatura fino alle elezioni del 1992.

Alla fine del 1991 si riunì a Milano la Conferenza nazionale programmatica della DC che avvertiva l’esigenza di un forte cambiamento del partito. Il 1992 vide l’inizio in Italia delle inchieste della Procura di Milano che colpiranno prima il PSI e poi la DC, determinandone la crisi e la dissoluzione. In questo clima le elezioni politiche del 5 aprile 1992 videro la DC perdere quasi il 5% alla Camera e la nascita dell’ultimo quadripartito guidato dal socialista Giuliano Amato. Sconfitto dai franchi tiratori nella elezione per il Quirinale, dimessosi da Segretario, Forlani patì, con profonda dignità, i procedimenti giudiziari che nell’ambito dell’inchiesta “Mani pulite” hanno interessato tutti i partiti.

Questi eventi segneranno di fatto la conclusione della sua carriera politica. Si dimetterà da Segretario nell’ottobre del 1992 proseguendo così la sua attività di deputato in modo defilato e non si presenterà più alle elezioni politiche del 1994.

Negli anni successivi condurrà una vita ritirata, interrotta solo dalla presentazione di un libro nel 2009 e da alcune interviste.

I suoi corregionali lo ricordano con affetto e stima non solamente per aver dato lustro alla propria terra ma soprattutto per aver contribuito, con il suo costante impegno politico, allo sviluppo socio economico delle Marche che, basato su piccole e medie imprese manifatturiere di connotazione prevalentemente artigianale, per di più a conduzione familiare, ha avuto una significativa vis espansiva verso nord, fino al Veneto e all’intero litorale triestino, e verso sud sino alla Puglia e alla Basilicata.

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