lunedì, Aprile 29, 2024
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Il baricentro di una indilazionabile riforma in senso garantista della nostra giustizia penale per la piena e corretta attuazione degli artt. 13, 27, 104 e 111 della Costituzione.

di Pietro Bonanni

Per connotare di coerenza con il dettato costituzionale un progetto di riforma liberale del nostro ordinamento in materia di giustizia penale, appare imprescindibile agire, tra l’altro, su alcune fondamentali direttrici: recuperare e valorizzare la centralità del principio di presunzione di innocenza fino a sentenza definitiva e, conseguentemente, limitare in modo drastico il ricorso alla custodia cautelare, separare le carriere tra magistrati  inquirenti e giudicanti, prevedere la piena, e non limitata, responsabilità personale dei magistrati.

 – Del diritto alla presunzione di innocenza, costituisce evidente ed ineludibile declinazione la limitazione, a pochissimi e gravi reati, del ricorso alla custodia cautelare in carcere o  domiciliare, a tutela del primario diritto di chiunque all’ “habeas corpus” e, cioe’, alla inviolabilità personale, a fronte di un potere statuale  che, a volte, può farsi oscuro ed incontrollabile.

Si tratta di un principio di civiltà che, in quanto tale, non tollera violazioni.

Se nel corso degli ultimi venti anni, trentamila cittadini (oltre quelli di cui non si è saputo) sono stati ingiustamente sottoposti a misure di privazione della libertà personale,  e se  lo Stato è stato condannato ad indennizzare circa un miliardo di euro di danni, vuol dire che il fenomeno ha assunto connotati di rilevante ed intollerabile  gravità.

Senza contare l’abnorme numero di suicidi in carcere che ogni anno occorre registrare (14 nel solo mese di gennaio).

– Funzionali, sia pure indirettamente, alla tutela di tali diritti sono, appunto, anche la separazione delle carriere e la affermazione della piena responsabilità in sede civile e disciplinare del singolo magistrato, atteso che le stesse, in qualche modo, possono oggettivamente e positivamente impattare sulle garanzie del cittadino all’interno di una indagine penale.

La presunzione di innocenza esige, infatti, che la difesa e l’accusa operino su un piano di perfetta parità (art. 111) la quale, se non si è ipocriti, è  evidentemente negata, nel concreto, dalla unicità delle carriere tra  inquirenti e giudicanti capace di generare squilibrio tra le parti, a nulla rilevando la distinzione delle funzioni formalmente affermata dalla norma e, ancora di meno, il ricorso all’autodisciplina ed alla vantata cultura della giurisdizione di cui sarebbe dotato il Pubblico Ministero, che i magistrati vorrebbero offrire quale garanzia della loro obiettività.

Non secondario, inoltre, appare in questa ottica l’atteso rafforzamento, nel dettato   costituzionale, del ruolo dell’Avvocatura e del difensore, meritoriamente ed insistentemente invocato anche dalle Camere Penali (art. 111).

– Per altro verso, il cittadino, che si deve presumere innocente fino a sentenza definitiva,  non può e non deve subire alcun pregiudizio dall’eventuale  cattivo esercizio dell’azione penale (la mala giustizia), ma affinché un tale pericolo, potenzialmente ed indiscriminatamente incombente su  tutti, buoni o cattivi cittadini, trovi una qualche deterrenza e possa essere, per quanto possibile, circoscritto, occorrerà finalmente stabilire che anche i magistrati che sbagliano per colpa grave, debbono risponderne in  proprio, e che non sia più lo Stato a rispondere per loro e  quasi per intero, non essendo configurabili, in linea di principio, ragioni che possano legittimare trattamenti privilegiati e differenziati rispetto al regime della responsabilità che grava su qualunque altro pubblico dipendente, come pure, per esempio, sul chirurgo, che pure rischia di prestare la propria opera sul filo della vita o della morte, l’ingegnere, il conducente di un treno, l’artigiano, l’avvocato, ecc.

Al riguardo giova ricordare che nel 1987 l’80% circa dei cittadini hanno votato a favore di un referendum che aveva questo obiettivo il quale, purtroppo, è stato poi frustrato dal famigerato “filtro” introdotto su iniziativa del Ministro Vassalli.

Il governo Renzi ha provato a fare qualcosa al riguardo e si è visto come è andata a finire.

Alcuni settori della Magistratura, e nel suo insieme l’ANM, osteggiano con fermezza qualunque proposito di introdurre una qualche ipotesi di responsabilità personale, pur potendo ogni magistrato garantirsi, come chiunque altro, attraverso la stipula di una congrua polizza assicurativa (che spesso viene invece negata, per esempio, ai chirurghi o agli ostetrici). 

Attiva

Sicché, evidentemente, molti magistrati non temono per il proprio patrimonio ma per il proprio “status” di supposta sovraordinazione, fatta derivare da una malintesa percezione della autonomia della propria funzione, in palese contrasto con la definizione fornitane  dall’art. 104 ma, ciononostante, esercitata nel concreto, in termini di potere di incidenza sull’intera collettività, grazie anche  al peculiare regime della irresponsabilità, o di una limitata responsabilità, di cui gli stessi ancora godono.

Una alterazione della percezione che non in tutti i casi sembra riconducibile  a convincimenti o sensibilità politiche, che già di per sé rappresenterebbero una arbitraria intrusione nell’equilibrio dei poteri, quanto ad una autoreferenzialità che,  a volte, sembra andare oltre la figura ed il ruolo del singolo magistrato ed anche oltre il corporativismo di tipo sindacale, per assumere le sembianze di un vero e proprio “corpo” dello Stato, capace di interloquire come tale,  dotato di una missione di governo, sia pure in senso lato.

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