lunedì, Aprile 29, 2024
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Il fascino perenne delle monarchie

di Salvatore Sfrecola

Al “fascino della monarchia” ha ceduto anche Antonio Caprarica, “fieramente repubblicano”, come scrive nell’Introduzione al suo “Carlo III”, il successore di Elisabetta II. Repubblicano e, ricordiamo, già comunista, un’appartenenza politica che non rinnega, comune a molti delle generazioni del dopo fascismo, cresciuti tra le illusioni del credo di Karl Marx e le utilità fornite dal vasto mondo politico-culturale messo in piedi dal Partito di Togliatti e Berlinguer che ha assicurato posizioni lavorative nelle università, nelle amministrazioni pubbliche, nella stampa. Si facevano chiamare “democratici” per aprire a realtà diverse dal comunismo: giuristi, giornalisti, genitori, tutti rigorosamente “democratici”.

Adesso quel mondo è finito, come dimostra l’annaspare, a volte patetico, di Elly Schlein tra compagni di varie obbedienze, ma giornali e televisioni continuano a richiedere cosa pensino degli argomenti del giorno i vari Caprarica che ascolto volentieri anche quando, con non celata supponenza, dispensano all’inclita e al volgo, pillole di presunta saggezza. 

Sanno tutto loro. Premessa un po’ lunga, ma i miei lettori non se ne lamentano mai quando abbondo, per tornare all’iniziale “fascino” di una istituzione della quale, purtroppo, il più delle volte si parla ricorrendo a preconcetti od a nostalgie, gli uni e le altre non idonei a farci comprendere il presente e ad immaginare il futuro delle istituzioni statali.

Ho letto, pertanto, con grande interesse l’editoriale di ieri del Prof. Alessandro Campi su Il Messaggero, “I caratteri monarchici delle moderne democrazie”. Storico, politologo, ordinario di Scienza politica Relazioni internazionali e politica globale presso il Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università di Perugia, autore di importanti studi, Direttore della Rivista di Politica, edita da Rubbettino. Ma anche editorialista brillante che porta a conoscenza del più vasto pubblico dei lettori di un quotidiano idee e riflessioni che stimolano sempre ulteriori approfondimenti. Come nel caso dell’editoriale che molto mi ha interessato perché non sfiora neppure i pur diffusi luoghi comuni antimonarchici per arrivare al cuore dell’istituzione, per comprenderne le ragioni “nelle moderne democrazie”, appunto. Le quali, sottolinea il Professor Campi “sono sopravvissute all’avvento prima del costituzionalismo liberale, poi della democrazia basata sulla sovranità popolare, divenendo, proprio grazie al formalismo e alle ritualità che ne scandiscono ogni procedura e attività pubblica, un fattore di stabilità istituzionale, coesione sociale interna e continuità storico-identitaria al di là delle divisioni ideologiche tra partiti e delle congiunture sociali critiche”.

C’è tutto in questa frase. Tutto il senso della funzione delle attuali monarchie le quali, in un ordinamento costituzionale moderno nel quale la sovranità appartiene al popolo, garantiscono proprio quella indipendenza del Capo dello Stato che nelle repubbliche è sostanzialmente una finzione, perché il Presidente della Repubblica, sia eletto dal Parlamento o dal popolo, è pur sempre espressione di una parte politica, anche se rappresentata da una coalizione di partiti. Può sembrare scontato, ma non lo è perché l’elettore inglese, danese o svedese quando va a depositare la sua scheda nell’urna e sceglie destra o sinistra sa che lo stato non è in discussione, perché è incarnato dal sovrano il quale rappresenta, anche in ragione della Casata, quasi sempre coeva alla formazione dello stato, la continuità istituzionale della nazione lungo i secoli.

La monarchia è “un fattore di stabilità”, scrive il Professor Campi, il cui valore può sfuggire a chi lo considera una naturale conseguenza della regola della successione al trono (“il Re è morto, viva il Re”) ma è anche un fattore di unità in molti paesi. Lo vediamo in alcune realtà, in Belgio, ad esempio, dove valloni e fiamminghi, se non ci fosse la monarchia, probabilmente avrebbero scelto di separarsi. O in Spagna dove, dopo la guerra civile e la lunga dittatura di Francisco Franco, la monarchia ha assicurato il ritorno alla democrazia senza contraccolpi, tanto che si sono alternati al governo il partito popolare ed il partito socialista, e dove la rivolta dei baschi è rientrata e le inquietudini che scuotono la Catalogna, se non ci fosse la monarchia, probabilmente avrebbero dato luogo ad una secessione. 

Naturalmente nelle democrazie “col crescere del pluralismo interno e della conflittualità sociale” il fatto che ci sia “uno spazio politico simbolico sottratto alla lotta tra partiti e alle dispute ideologiche”, ha un rilievo importante “percepito come autorevole e super partes dai cittadini, in grado di garantire l’unità e la stabilità del corpo politico, dotato di un suo apparato anche simbolico-coreografico esclusivo”. L’unità alla quale il Presidente Mattarella ha fatto di recente riferimento, forse perché percepisce tensioni diffuse connesse alla, promessa o minacciata, “autonomia differenziata” che hanno dato voce ad antiche insoddisfazioni, frutto avvelenato di politiche incapaci di assicurare un omogeneo sviluppo lungo tutto lo stivale.

La gente sente il valore della identità incarnato dal sovrano. Abbiamo visto in occasione dei funerali della regina Elisabetta centinaia di migliaia di persone passare la notte all’addiaccio per rendere omaggio alla sovrana che ha rappresentato nel corso di settant’anni la Gran Bretagna, la sua storia politica e culturale, l’identità di un popolo composito. Per un saluto, poco più di un secondo davanti al feretro della regina.

E non è solo questo. La monarchia sarà pure “formalismo e ritualità”, consuete alle espressioni di un potere o di una funzione, come le toghe di giudici e avvocati o il camice dei medici, o un’attrattiva turistica, ma sta di fatto che assicura un significativo apporto al PIL. Visitare i luoghi del potere sovrano è un desiderio di chiunque si reca a Londra, come acquistare i gadget più vari, dalle tazze con l’immagine dei sovrani a tutta quella serie di oggetti che troviamo nei negozi e sulle bancarelle. Qualcuno può immaginare, con tutto il rispetto che si deve al Capo dello Stato, che qualcuno, in visita a Roma, vada alla ricerca di un gadget con l’immagine del Presidente. Se non lo trova vuol dire che nessuno lo cerca e conseguentemente nessuno lo produce. E, poi, la fila a farsi fotografare accanto alle guardie del Re che di buon grado accettano che un bambino o anche un adulto accarezzi il cavallo che sembra consapevole del suo ruolo. E se un bambino un po’ timido stenta ad avvicinarsi è la guardia che si accosta e, spesso, sorride. La monarchia accanto al popolo!

Da ultimo, si è spesso letto che quella inglese, dalla Magna Charta (1215), è la più antica democrazia moderna, dove si conosce il nome del nuovo Primo Ministro un minuto dopo la conclusione dello scrutinio elettorale. Ed è il leader del partito che ha vinto le elezioni. E questo ci fa dire che il segreto della governabilità è in una regoletta semplice, ma invisa ai partiti, quella di una legge elettorale che consenta all’elettore di scegliere chi lo rappresenterà alla Camera, un’assemblea di eletti e non di nominati.

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