giovedì, Ottobre 10, 2024
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I test psicoattitudinali per i magistrati sono probabilmente inutili e potenzialmente pericolosi

di Salvatore Sfrecola

Nel dibattito che si va sviluppando in questi giorni a proposito dei test psicologici previsti per i magistrati all’atto della selezione concorsuale, si è inserito ieri Pietro Dubolino, Presidente di Sezione a riposo della Corte di cassazione, editorialista de La Verità, che ne afferma la legittimità, concludendo che “la protesta dell’Anm è infondata”. Così titola il pezzo il quale spiega anche che “la selezione avviene sì per concorso, ma non ci sono limiti sui requisiti che i partecipanti dovrebbero rispettare né sulle prove che devono sostenere. Il governo ha facoltà di introdurre i controlli psicologici”.

Il tema è complesso e di grande interesse per l’opinione pubblica, per cui va trattato con adeguato approfondimento, anche ad evitare che gli italiani possano ritenere che la decisione governativa sia in realtà una scelta politica diretta, in qualche modo, ad influire sulla selezione dei candidati, non sulla base della loro conoscenza delle materie professionali e all’attitudine a svolgere la delicata funzione, ma delle loro idee, degli orientamenti politici desumibili dalle risposte ai test. E siccome, per dirla con il Presidente Andreotti, a pensar male si fa certamente peccato ma spesso si indovina, torna il ricordo di quel che disse Silvio Berlusconi, sul finire dell’agosto 2003, in una conversazione a Villa La Certosa a due giornalisti britannici, Boris Johnson, direttore di The Spectator, futuro Primo Ministro di Sua Maestà, e Nicholas Farrell, editorialista de La Voce di Rimini.

Il Cavaliere, venendo a parlare del processo Andreotti (a proposito!) confidò ai due giornalisti cosa pensava dei giudici: “sono doppiamente matti. Per fare quel lavoro – aggiunse – devi essere mentalmente disturbato, devi avere delle turbe psichiche. Sono antropologicamente diversi dal resto della razza umana”. Una frase certamente inopportuna soprattutto perché in bocca al Presidente del Consiglio, che qualche problema con la giustizia aveva avuto, tanto da costringere il Portavoce di Palazzo Chigi, Paolo Bonaiuti, ad intervenire ridimensionando quelle parole considerate “battute sul filo del paradosso pronunciate nel corso di una chiacchierata estiva con un amico del partito conservatore inglese”, un resoconto probabilmente viziato “dalla differenza di lingua” e da una “coloritura giornalistica”. In serata giungeva anche una nota del Quirinale per il quale, “con riferimento alle polemiche suscitate dalle dichiarazioni attribuite al Presidente del Consiglio, si sottolinea la ferma convinzione del Presidente della Repubblica che i cittadini italiani guardano alla Magistratura con piena fiducia”. Un giudizio ottimistico, quello del Presidente Ciampi, perché, come ho ricordato più volte, quella fiducia si è nel tempo ridotta, tanto che è stata misurata come la metà di quella che gli italiani riservano alle Forze dell’Ordine, un settore, la tutela della legalità, che dovrebbe vedere magistrati, poliziotti e carabinieri allo stesso livello.

Le ragioni di questo squilibrio sono molte. Riguardano soprattutto i tempi della giustizia, la certezza della pena e la tutela delle vittime dei reati, e sono conseguenza delle regole processuali e dell’organizzazione giudiziaria, stabilmente inadeguate. Infatti, le “riforme” si rincorrono con effetti assolutamente irrilevanti rispetto alle esigenze ed alle aspettative, la “riforma Cartabia”, adesso il “decreto Nordio”, come l’ho sentito definire in televisione dallo stesso Ministro. Ma tra passi avanti e retromarce di significativo non c’è molto.

Così siamo costretti a dedicare un tempo certamente eccessivo ai test psicoattitudinali che, come ricordavo, il dottor Dubolino considera “legittimi”, come spiega nel suo editoriale con dovizia di riferimenti alla Costituzione. Mentre assistiamo ad un confronto tra le forze politiche nel quale finiscono per apparire a fianco dei magistrati, in questa come in altre circostanze, partiti della sinistra con scarso senso dello Stato e con una cultura non di rado illiberale, con effetto boomerang per il Centrodestra che si muove con un fare a tratti grossolano che inevitabilmente evoca il classico elefante nella cristalliera e finisce per apparire ingiustamente ostile alla magistratura. Sicché alla fine, quello che viene definito “il partito dei giudici”, sembra incarnato dalla sinistra mentre, chi conosce quell’ambiente, sa che non c’è niente di più lontano dalla mentalità dell’assoluta maggioranza dei magistrati dalla filosofia politica dei sinistri nostrani.

Tornando alle ragioni giuridiche della scelta del Governo, il dottor Dubolino critica le motivazioni con le quali l’Associazione Nazionale Magistrati (A.N.M.) ha censurato la scelta di introdurre dei test psicoattitudinali che ritiene in contrasto con l’art. 106 della Costituzione, nella parte in cui prevede che l’accesso alla magistratura è consentito solo “per concorso”, e con gli artt. 76 e 77, comma primo, Cost. per eccesso di delega per il fatto che i test non sono espressamente previsti nella delega conferita al governo con la legge n. 71/2022 per la riforma dell’ordinamento giudiziario. Osserva giustamente Dubolino che l’art. 106 Cost., nel prevedere come forma ordinaria di accesso alla magistratura quella del concorso, “non fornisce alcuna ulteriore indicazione” quanto al “contenuto delle prove da superare”, dando ovviamente, per scontato che queste “debbano avere per oggetto materie tecniche, ma questo non può affatto significare che, in base alla norma in discorso, debba ritenersi “quale unico criterio di accesso alla magistratura professionale quello tecnico”, come avrebbero sostenuto, secondo notizie di stampa, alcuni componenti del C.S.M. togati e laici. “Si deve quindi ritenere – prosegue Dubolino – che rientri nella piena discrezionalità del legislatore ordinario fissare i requisiti soggettivi per la partecipazione ai concorsi di ammissione alla magistratura, con l’unico limite costituito dalla necessità che essi non comportino violazione del principio di uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge”. Per cui “non potrebbe certo sostenersi che darebbe luogo ad una tale violazione il prevedere che i candidati risultino in possesso di quel minimo di equilibrio mentale che comunemente e ragionevolmente si ritiene necessario per l’esercizio delle funzioni giudiziarie e che può mancare in qualunque soggetto, pur in assenza di vere e proprie affezioni patologiche della sfera psichica”. D’altra parte, è già previsto per gli appartenenti alle Forze dell’Ordine l’esame psicoattitudinale, come ricordato dal Ministro Carlo Nordio in conferenza stampa, “e nessuno ha mai sostenuto che ciò sia contrario alla citata norma costituzionale. Nulla impedirebbe pertanto, sotto il profilo formale, neppure che il possesso del requisito in questione venisse posto addirittura come precondizione, al pari dell’incensuratezza e dell’idoneità fisica, per la partecipazione al concorso in magistratura, potendosi semmai discutere sulla opportunità ed efficacia di una tale previsione senza tirare in ballo, però, né l’articolo 106 né altra norma di rango costituzionale”.

Anche il preteso eccesso di delega non è condiviso da dott. Dubolino, non certo perché “il ministro lo ha escluso richiamandosi al fatto che proprio dalle competenti commissioni parlamentari, in sede di formulazione del parere sullo schema di decreto legislativo di attuazione della delega, era venuto l’invito a valutare l’eventuale introduzione dei test”. Infatti, se il provvedimento esorbitasse effettivamente dai limiti della legge delega “sarebbe costituzionalmente illegittimo, pur se munito del parere favorevole delle commissioni parlamentari”. La delega è generica e non figura l’introduzione dei test ma sarebbe arduo deferire la questione all’esame della Corte costituzionale secondo la quale la delega legislativa non fa venir meno ogni discrezionalità del legislatore delegato da valutare in rapporto alla ratio della delega che nel nostro caso mira ad accrescere l’efficienza e l’affidabilità del servizio giustizia, anche intervenendo sui meccanismi di selezione degli aspiranti magistrati. Appare, dunque, arduo affidare a tale contestazione una efficace censura della legittimità costituzionale della norma che introduce i test. Sulla cui efficacia, invece, si possono nutrire dubbi quanto alla loro affidabilità ai fini della individuazione dell’equilibrio psichico del soggetto destinato a svolgere funzioni giudiziarie, mentre ai fini della valutazione della professionalità del magistrato, il Consiglio giudiziario e il Consiglio superiore potranno acquisire, oltre ai provvedimenti a campione, anche ulteriori specifici provvedimenti oppure intere categorie di provvedimenti. Non è dubbio, infatti, che esista un problema di produttività dei magistrati, non solo legato alla loro capacità di scrivere gli atti giudiziari in tempi brevi e con adeguata motivazione ma anche di capacità direttiva dei capi degli uffici.

Quanto ai “test psicoattitudinali” all’ingresso in magistratura la normativa preannunciata è estremamente generica sicché il Consiglio Superiore sarà libero di confezionare i test che saranno affidati a docenti universitari. Inoltre, dovranno assicurare la par condicio a tutti i candidati evitando che, pur in presenza di test uguali, i giudizi siano diversi se residua, al di là delle risposte ai questionari, una qualche discrezionalità agli esaminatori. Ciò che è possibile in quanto la verifica dell’attitudine ad esercitare funzioni giudiziarie non potrebbe essere affidata a domande preconfezionate per l’ovvia considerazione che potrebbe essere semplice impararle a memoria così frustrando la finalità del test.

Queste considerazioni, necessariamente generiche in mancanza di elementi ulteriori rispetto allo scarno comunicato del Consiglio dei ministri, dimostrano che la decisione riguarda materia complessa, non facile da definire, come attesta il fatto che il tema della verifica dell’attitudine psicologica di un candidato all’esercizio delle molteplici funzioni giudiziarie accompagna da anni il dibattito sulla Giustizia.

Infatti, i test attitudinali dovranno accertare non solamente se il candidato magistrato è consapevole della necessità di dimostrare assoluta indipendenza nell’esercizio delle sue funzioni, di non essere influenzabile da condizioni personali e ambientali, ma anche la capacità di valutare con equilibrio fatti e comportamenti oggetto delle decisioni da assumere nell’esercizio delle funzioni requirenti o giudicanti, al di là delle condotte che, ai sensi dell’art. 43 del Codice penale, sono qualificabili come colpose o dolose. I fatti e le relazioni che fanno da contorno all’atteggiamento psicologico dei soggetti in qualche modo presenti sul campo fanno parte della capacità di assumere con piena consapevolezza gli elementi necessari per decidere, che possono attenere a questioni anche di rilievo amministrativo o contabile che l’esperienza ci dice essere spesso di non facile percezione. I test accerteranno la capacità di andare a scavare nella realtà dei fatti, anche al di là della pedissequa applicazione di una norma di legge?

Insomma, la questione è seria, considerato il “potere” dei magistrati di adottare decisioni che incidono sui diritti delle persone, per cui non sarà agevole confezionare test che diano la certezza che, al momento dell’ingresso in carriera, il candidato abbia un profilo psicologico adeguato alle funzioni che dovrà svolgere. Allo stesso tempo dovrà essere assicurata a tutti i candidati la stessa valutazione perché non possiamo nasconderci che il giudizio sulla idoneità psicologica, posto a garanzia della delicatissima funzione, potrebbe prestarsi a possibili manipolazioni, enfatizzando o trascurando taluni profili psicologici del candidato. E comunque, come già accennato, non dovrà accadere che, ad esempio, un candidato non superi il test che, nelle stesse condizioni, sia superato, invece, in presenza di un altro esaminatore.

A tale riguardo ho da tempo suggerito di considerare la possibilità che l’obiettivo di accertare il livello di attitudine dei candidati all’esercizio delle funzioni giurisdizionali possa essere raggiunto con altri metodi, ad esempio inserendo nelle commissioni giudicatrici uno psicologo e modulando le prove scritte in modo che dalle risposte al quesito giuridico, da formulare in termini teorici e pratici, ad esempio confezionando un atto giudiziario significativo, si possa comprendere se, oltre alla conoscenza del diritto e della giurisprudenza, il soggetto abbia quell’equilibrio che è richiesto dalla delicatissima funzione per la quale si candida. La valutazione collegiale sul candidato darebbe certezze sul punto della sua attitudine all’esercizio della giurisdizione. Ad esempio, nei concorsi per l’accesso alla Corte dei conti o ai TTAARR è prevista la stesura della parte in diritto di una sentenza che indubbiamente consente di capire se l’aspirante magistrato ha una capacità di giudicare con equilibrio fatti e comportamenti rilevanti ai fini della decisione.

È noto come l’Associazione Nazionale Magistrati (A.N.M.) abbia da tempo manifestato perplessità sull’introduzione dei test psicoattitudinali perché se diffusa è la consapevolezza della necessità di disporre di magistrati dotati della capacità di analisi e di elaborazione degli elementi che emergono nel contesto esaminato, dubbi riguardano soprattutto il meccanismo di verifica che ancora oggi risulta un oggetto misterioso in quanto l’espressione contenuta nel comunicato stampa di Palazzo Chigi non fuga tutte le variegate perplessità registrate nel dibattito. Anche sotto questo versante il contrasto delle opinioni è notevole per le molteplici implicazioni che ne derivano perché qualcuno potrebbe essere indotto ad eliminare un magistrato incomodo od a salvare un soggetto amico ma incapace. In entrambi i casi sarebbe un danno grave per l’immagine della funzione, certamente la più delicata tra quelle affidate da sempre agli ordinamenti statali.

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