di Salvatore Sfrecola
Non ricordo chi ha detto che in Italia non c’è nulla di più definitivo di un provvedimento transitorio. Probabilmente perché lo hanno ripetuto in molti. E comunque è una verità indiscutibile. Come nel caso della c.d. “responsabilità erariale” che da sempre è a carico di chi, con dolo o colpa grave, ha causato un danno allo Stato o ad un Ente pubblico e pertanto è tenuto a risarcirlo. Danno significa sperpero di pubblico denaro perché un amministratore o un funzionario ha disposto un pagamento per un bene od un servizio inutile o acquisito ad un costo eccessivo. Ma anche per lavori pubblici non effettuati secondo le indicazioni del relativo capitolato eppure remunerati come fossero stati realizzati a regola d’arte. Poi vanno considerati i casi di danneggiamento o furto di beni pubblici. Ciò che accade sovente, come segnalano le cronache.
Il responsabile è stato sempre perseguito ad iniziativa del Pubblico Ministero presso la Corte dei conti, fin dall’inizio dello Stato unitario. Cambiava l’ordinamento dello Stato, cambiavano i governi ma questa responsabilità è stata sempre confermata, anzi estesa ai dipendenti degli enti locali negli anni ’90 dello scorso secolo finché nel 2020, in concomitanza con la pandemia da Covid-19, il governo Conte ha emanato il decreto-legge n. 76 del 16 luglio che, all’art. 21, ha modificato la disciplina della responsabilità prevista dall’art. 1, comma 1, della legge 14 gennaio 1994, n. 20, nel senso di limitarla ai casi di “dolo” la cui prova “richiede la dimostrazione della volontà dell’evento dannoso”. Quanto alla “colpa grave” si applica esclusivamente ai casi di “danni cagionati da omissione o inerzia del soggetto agente”. Ciò nonostante la “colpa grave” identifichi una condotta caratterizzata da gravissima negligenza, imprudenza o imperizia. Quella che la giurisprudenza chiama “inescusabile” e che per i romani, che hanno ben definito il concetto di colpa grave, consisteva nel non comprender ciò che tutti comprendono, per dirla con le parole di Ulpiano.
Insomma, con queste regole è stato da sempre difficile che ad incappare nell’azione risarcitoria erariale sia un onesto e bravo amministratore o funzionario. E così mentre in tempi di pandemia si acquistavano milioni di mascherine farlocche e banchi a rotelle in gran parte inutilizzate e spese varie inutili o eccessive la politica andava evocando il “timore della firma” per giustificare la deroga. Anzi per estenderla nel tempo. Ciò che hanno fatto i governi Conte 2, Draghi 1 e Meloni1 dando dimostrazione di palese disprezzo del pubblico denaro. Perché quelle somme che non saranno risarcite restano a carico dei bilanci pubblici, ovverosia dei cittadini che, pagando imposte e tasse, li alimentano.
Con la scusa del timore della firma, senza adeguata riflessione, è stato abolito il reato di abuso d’ufficio, una fattispecie che ricorda in qualche misura la corruzione (perché prevedeva intenzionalmente “un ingiusto vantaggio” da parte del pubblico funzionario che viola la legge), e continua ad essere esclusa la responsabilità erariale che la maggioranza si appresta a rendere definitiva sulla base di una iniziativa legislativa promossa dall’on. Tommaso Foti, all’epoca Presidente del Gruppo parlamentare di Fratelli d’Italia, oggi Ministro per gli affari europei, che limita in modo assolutamente irrazionale il risarcimento del danno nonostante preveda, opportunamente, l’intervento obbligatorio di una polizza assicurativa da stipulare da parte dei funzionari che potrebbero essere per il loro lavoro chiamati a rispondere.
In attesa, nella seduta di martedì 1° luglio l’Assemblea di Montecitorio, con 140 voti favorevoli, 68 astenuti e 33 contrari, ha approvato in via definitiva il disegno di legge di conversione del decreto-legge 12 maggio 2025, n. 68, recante differimento al 31 dicembre 2025 del termine di vigenza della disciplina “provvisoria” in materia di responsabilità erariale.
Il risultato della votazione la dice lunga della diffusa ignoranza della materia ma anche della consapevolezza che ogni partito, di governo e d’opposizione, ha a cuore, più che i tanti amministratori e funzionari capaci ed onesti, chi per gravissima negligenza, imperizia o imprudenza, o per volontà illecita causa un danno all’erario, cioè ai bilanci pubblici, in fin dei conti ai cittadini.
Che sia chiaro. Nessuno dica di avere senso dello Stato.